Serata Slow Food con Nicodemo Librandi
di Giulia Cannada Bartoli
Nicodemo Librandi, Ingegnere mancato, Professore di matematica e ufficialmente viticoltore dal 1971, trasmette amore e passione per la sua Calabria da tutti i pori. Un progetto lungimirante che vede gli albori nel 1955, quando in tutta Italia c’èrano a stento una decina di aziende degne di tale nome.
La Calabria sconta ritardi economico sociali ormai atavici, mentre altre regioni del sud sono riuscite ad affermare una propria identità territoriale, qui le aziende, nate in seguito alla viticoltura pioneristica dei Librandi, fanno fatica ad affermare un’identità legata a territori o vitigni. Nicodemo Librandi, dopo aver viaggiato il mondo per promuovere i propri vini, ha compreso di dover compiere il percorso a ritroso: affermare un marchio per poi discendere al territorio ed ai vitigni di riferimento.
Il Professore ha intuito la necessità di esprimere la Calabria con qualità, rigore scientifico e commerciale ci è riuscito, nonostante il fatto che a Cirò non esiste mercato interno, ognuno produce per autoconsumo. Sono molto poche le aziende di questo calibro (2, 5 mln di bottiglie di alta qualità) nel Mezzogiorno.
Seconda serata Slow Food dopo quella dedicata al Muffato della Sala.
Nella degustazione condotta da Mauro Erro all’Hotel Romeo nove annate storiche di tre crus aziendali: Duca San Felice, Magno Megonio e Gravello. Quest’ultimo è stato il primo vino calabrese che si è imposto fuori regione ed è nato sotto la spinta del sistema delle guide. Il Duca San Felice costituisce invece l’aggancio con il Cirò Classico, gaglioppo in purezza, la Riserva 1995 è semplicemente straordinaria per trasparenza e fascino di colore, eleganza e finezza dei tannini e soprattutto, elevatissima acidità che tiene il tempo alla grande, parliamo di un vino che del legno non ha visto neanche l’ombra. Il grappolo del gaglioppo è molto compatto, dire vitigno al singolare è difficile, poiché si trovano grappoli da 250 gr a 1 kg, l’uva non soffre per le muffe grazie al clima estremamente ventilato, ha solo un problema che è dato dalla compattezza del grappolo, gli acini interni non arrivano a completare la maturazione fenolica dando vita a quelle note verdi vegetali che non sono note varietali ma solo il risultato di una maturazione incompleta.
Il Magno Megonio rappresenta la fase nuova, la volontà di ancorarsi ulteriormente al territorio, di sperimentare e ricercare diversità ed eccellenza di uve autoctone in un momento in ci si fa un gran discutere circa la possibilità di “ammorbidire” il disciplinare del Cirò, consentendo l’ingresso di vitigni internazionali da affiancare al gaglioppo. Superfluo dire che Nicodemo Librandi è fortemente contrario a tale modifica, la sua visione del vino calabrese è estremamente realistica, non osteggia per principio i vitigni internazionali, l’azienda agli inizi degli anni ’80 acquista a Strongoli 40 ettari di vigneto dove impianta chardonnay, sauvignon blanc e cabernet sauvignon. Nel 1988 esce la prima annata di Gravello, ( 60- 70% gaglioppo e 4°-30% cabernet sauvignon) e salta agli onori delle guide con grappoli e bicchieri. Nel 1993 Nicodemo Librandi degusta a Dusseldorf una batteria di 25 cabernet diversi non percepisce differenze! Decide quindi, senza perdere d’occhio la logica commerciale dell’azienda, di ritornare all’antico e avvia l’insediamento dei primi campi sperimentali di magliocco, mantonico e greco di bianco.
La sperimentazione supera ogni aspettativa, con l’arrivo in cantina di Donato Lanati che succede a Severino Garofano, grande personaggio enologico del mezzogiorno ma poco incline alla ricerca. Il nuovo arrivato è entusiasta del progetto, parte la ricerca, Librandi coinvolge enti pubblici, università, istituti specializzati, in pratica fa per la viticoltura calabrese quello che avrebbero dovuto fare le istituzioni, arrivando a circa 190 ettari di uve calabresi. Nicodemo è molto motivato, non perde di vista il mercato, si continuano a produrre Gravello e Critone (chardonnay). Basta saper comunicare, sostiene il professore, dichiarare apertamente quello che si vuol fare: io produco Doc Cirò e Melissa e Igt Val di Neto. Nelle doc i vitigni si dichiarano, il gaglioppo è scarico di colore? Chi se ne frega! Va solo comunicato e spiegato al consumatore. Questo si chiama coraggio, lungimiranza e orgoglio di fare vera agricoltura. Oggi la ricerca portata avanti dall’azienda ha identificato 21 cloni diversi di gaglioppo, da quest’anno si procede con le micro vinificazioni e certamente ne vedremo delle belle. Tra l’altro, la carenza di antociani per certa parte di intenditori è un punto di forza, vedere il fondo del bicchiere intriga gli appassionati e gli esperti stanchi di vini da tagliare a fette ed alla ricerca di trasparenze cromaticamente seducenti.
Fin qui la parola al Professore, adesso parla il vino, introdotto da un appassionato quanto preciso Mauro Erro. La descrizione dei territori viene affrontata seguendo criteri geo pedologici e micro climatici per sottolineare le diversità. Cirò è il polmone della viticoltura calabrese, qui le temperature medie sono le più alte di tutta la regione: circa 16 gradi di media e 750 mm/ anno di piogge, decisamente una zona calda… ma il ‘95 del Duca San Felice non ci riporta ad un vino caldo, ci dà invece l’idea di mediterraneità, naso elegante e impressionante acidità, tutto solo in acciaio. Al naso si susseguono note di frutta sotto spirito, fiori e i sentori tipici del cirò, l’agrumato quasi candito e erbe aromatiche con sniffate di finocchietto. I terreni sono a base di argille marnose di origine ovviamente marina. La quantità di argilla in climi come quelli calabresi è fondamentale, poiché serve a trattenere l’acqua e rilasciarla alla pianta quando ne ha bisogno. Erro etichetta le annate: la 95 rappresenta il tempo, la 2004 territorio, la 2007 il vitigno. Naturalmente oggi le uve non arrivano tutte dalle tenute aziendali, la famiglia Librandi ha promosso la nascita dell’associazione dei viticoltori di Cirò, istituendo una sorta di decalogo agronomico da rispettare per poter essere con feritori e per fare in modo che i piccoli agricoltori ricavino un degno reddito dalla produzione che non li induca ad abbandonare le vigne.
Questo significa essere una grande azienda che fa crescere il proprio territorio
Il recupero del gaglioppo a Cirò ha modificato il paesaggio, nelle vigne c’èra di tutto per garantire redditi di sussistenza, il disciplinare ha imposto regole rigide eliminando le varietà che non possedevano le caratteristiche del gaglioppo, magliocco e greco nero.
“Non ho mai seguito le mode, prosegue Librandi, ho cercato di rispettare le regole basilari di economia aziendale: il gaglioppo è un vino da amatori, ha una rendita costante con crescita graduale e regolare in qualità e quantità. Cabernet e merlot si producono in tutto il mondo, il gusto globalizzato ha stancato, si apprezza invece il circolo virtuoso tra identità territoriale e vitigno.
Passiamo al magliocco: Magno Megonio igt Val di Neto, notiamo subito una progressione qualitativa costante dal 2004 al 2008 in termini di definizione aromatica, perché – sostiene Mauro Erro, l’azienda si specializza e la vigna del 1995 diventa più vecchia. Il magliocco è un vitigno molto difficile, per avere la qualità nel bicchiere bisogna selezionare in vigna, individuare le zone e i terreni più adatti e mantenere basse le rese. Il colore qui è più carico poiché la percentuale di antociani è decisamente superiore a quella presente nel gaglioppo. Il magliocco è presente in tutta la Calabria, il gaglioppo solo nella zona di Cirò.
Il Magno Megonio si è affermato gradualmente sul mercato, è un vino che ha bisogno di almeno 4 anni di invecchiamento, il naso è decisamente elegante, nella 2004 si sente fortemente il territorio, note di bruciato, sale, terra, la permanenza in legno di quasi 2 anni non si avverte per niente.
Il 2008 ha un naso spettacolare, fresco, e decisamente più sapido perchè
il magliocco è un pò meno acido rispetto al gaglioppo, avvertiamo anche la frutta scura, che nel gaglioppo non si percepisce.
Si passa al Gravello, i Librandi hanno sempre anticipato i tempi, nel 1955 il primo imbottigliamento, in quegli anni erano circa una decina le aziende imbottigliatrici in tutta Italia. Gli studi universitari romani hanno offerto a Nicodemo Librandi – il Professore – la possibilità di confrontarsi ed accrescere la consapevolezza del vino e della qualità che intendeva raggiungere.
Rientra nel 1971 in Calabria e negli anni ‘80 acquista la Tenuta Critone: 40 ettari a Strongoli dove pianta chardonnay, sauvignon blanc e cabernet franc. Ancora capacità visionaria, agli inizi degli anni ‘80, poiché i vitigni internazionali esploderanno solo negli anni ‘90. Tornando al vino, la caratteristica varietale del cabernet sauvignon, sarebbe il famoso peperone, ma qui le note verdi non appartengono al varietale, c’è un problema di maturazione fenolica del gaglioppo non raggiunta, in questi calici di gravello la nota di peperone non c è, si assaggia un vino integrato dove il cabernet è profondamente territoriale.
Chiudiamo con uno dei giochini “pignateschi”, dopo i tre Gravello ci rituffiamo nel 95 Duca San Felice, il palato si rinfresca d’incanto completamente pulito.
Questo ci porta alle considerazioni finali, Librandi oltre all’incommensurabile merito di aver ridato grinta alla viticoltura calabrese, ha saputo sviluppare, indipendentemente dai vitigni utilizzati, un fingerprint olfattivo dell’azienda, c’è uno “stil de maison” preciso: pulizia estrema, eleganza, nettezza e precisione olfattiva ossessivamente ricercata
Queste bottiglie potete dimenticarle ovunque, sono come gli eroi western, prendono botte, ma l’ultimo colpo spetta sempre a loro: vini di grande forza interiore che valorizzano la biodiversità.
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