AGRICOLE VALLONE
Uva: negroamaro
Fascia di prezzo: da 20 a 25 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno
Severino Garofano
Determinazione di tracce storiche e prima nota sul 2004
Ora che davvero si è definito un grande ciclo vitivinicolo, quello sostanzialmente aperto dalla crisi del metanolo e chiuso con questa, determinata dal surplus della offerta rispetto al consumo, si può iniziare a storicizzare un po’. Come sempre avviene, ogni generazione ha la sua biblioteca mnemonica di profumi, ricordi, sapori, situazioni, paesaggi e non c’è alcun dubbio che i vini di Severino Garofano fanno parte dell’affetto di tutti coloro i quali hanno approcciato il vino proprio durante la lunga cavalcata trionfale che ha portato al ridisegno di gran parte della ruralità italiana. Un ciclo durato quasi vent’anni.
Riflettevo qualche tempo addietro come sia cambiato il meccanismo di rapporto con il vino. Sino alla rivoluzione vitivinicola ognuno viveva la sua vita con il suo bicchiere e solo pochi esperti conoscevano il mondo francese, poi è subentrata una voracità onnivora, le etichette sono uscite dal mercato della memoria collettiva locale per entrare a far parte di un circuito più grande, almeno nazionale. Grazie alle guide ma anche al grande interesse che per la prima volta ha visto i giovani protagonisti, proprio come continua ad accadere adesso. Vent’anni fa, ma anche sino alla fine degli anni ’90, in ogni vendemmia di ciascuna regione spuntavano innumerevoli vini-evento, capaci di accendere i riflettori su una bottiglia, un’azienda, un territorio, un enologo, un territorio. Adesso la misura della crisi è data anche dal fatto che il bisogno di novità costringe tutti non a guardare avanti, bensì a voltarsi indietro per capire cosa mai fosse sfuggito. Ai vini simbolo sono subentrati vini coltivati dalle diverse tribù di pensiero e non esistono quasi più bottiglie capaci di mettere tutti d’accordo.
E’ il segno di un ripiegamento, necessario ma non salutare, la marea che si ritira lasciando i cercatori di conchiglie all’opera sulla spiaggia dopo che i pescatori hanno portato via il pesce.
In Puglia nessuno, dopo le creazioni di Severino, ha saputo sinora fare vini dello stesso impatto mediatico e papilloso. Ora che il grande enologo si è praticamente ritirato per curare esclusivamente la sua azienda di famiglia, Masseria Monaci, insieme ai figli Renata e Stefano, non si registrano più vini capaci di fare tendenza. Ma non perché non ci siano bravi winemaker: semplicemente perché un vino-evento, come tutte le creazioni umane, è il risultato di combinazioni economiche, astrali, culturali, che vengono poi modellate dallo sciamano del momento, da chi cioé riesce ad avere il dono della sintesi.
La sintesi di Severino era la possibilità di capire il mercato in quale direzione andasse e quali vini nuovi la Puglia doveva cercare di fare rispetto al suo nebuloso e incerto passato.
"Ho una idea, facciamo un vino con l’appassimento delle uve. Il Graticciaia nacque così, durante un viaggio in aereo". Negli occhi di Donato Lazzari, l’agronomo-direttore delle Agricole Vallone, 65 ettari di cui 170 vitati tra Castel Serranova dove abbiamo bevuto il 1998, Flaminio a Brindisi e Iore a San Pancrazio Salentino, c’è il film del successo: "I vini di un tempo forse non erano buoni come i nostri, ma era tutt più bello. Durante la vendemmia le masserie di popolavano di centinaia di persone, animali, carri, commercianti venuti dal Nord, la vita di tutti noi era come sospesa, il profumo dei mosti stordivano anche le piante".Ora è tutto più ospedaliero, vero Donato? Come nei caseifici. Non c’è più l’odore.
In sostanza, la rivoluzione vitivinicola italiana ha significato la cancellazione di questo mondo e il trasferimento, diciamo anche l’acquisizione, del saper fare vino ad una cerchia più ristretta di persone. Il passo è stato tutto qui: oggi la gente di fronte ad un bicchiere la prima cosa che sente il bisogno di dire è "Io non ne capisco".
Con cari amici e maestri, Pasquale Porcelli, Franco Ziliani, Carlo Macchi e una bella pattuglia di colleghi stranieri proviamo i nuovi vini dell’azienda pensati dalla giovane e brava enologa Graziana Grassini, mi piacciono i suo Cacc’ e mitte e la Falanghina di Alberto Longo. Ma il bicchiere dell’emozione è il Graticciaia 1998.
Sarà la suggestione territoriale, ma la prima cosa che mi viene in mente quando lo bevo è la cotognata, la nota dolce ma non zuccherina, tipica di uve surmaturate. Già, ma qual ‘è il colpo da maestro di Severino? Riuscire a preservare l’acidità per poter regger la massa enorme le cui dimensioni determinano sempre nuovi prospetti olfattivi. Spuntano note di macchia mediterranea, rosmarino, tiglio, poi balsamiche, conifere, e poi ancora prugne ipermature, quelle che si dimenticano per qualche giorno sul tavolo del soggiorno.
In bocca scatta la differenza, il Graticciaia si impone con una occupazione strategica di tutto il palato che non lascia margini di manovra, l’acidità lavora sin dalle prime battute impedendo all’approccio dolce di dominare la beva proseguendo invece con i richiami olfattivi conforati dall’alcol abbondante e dalla struttura. Così, per gradire, gli esratti iaggiano tra quota 36 e 38, la freschezza parte da sei. Donato ci spiega che il segreto è prendere uve mature, non surmature, sane, poi appassite allegramente all’aria aperta per una quindicina di giorni sfruttando i venti di terra e di mare e il sole generoso. Il residuo zuccherino non supera i 4 grammi, le vigne al lavoo invece hanno circa 70 anni, di recente è morto, a 87 anni, il colono che contribuì a piantarle quando nasce l’azienda nel 1934. Insomma, davvero un grande vino, centrato ed euqilibrato, capace di andare avanti ancora per molti, molti anni. Donato promette una verticale, a Pasquale, Enzo Scivetti e Nicola Campanile il compito di realizzarla.
Le aspettative di tutti erano rivolte alla 2004, la prima di Graziana. La sensazione di fondo è che, così come s deve sempre fare in questi casi, l’impostazione di partenza sia stata rispettata, con un accento leggermente posto sull’attacco morbido, lasciando all’annata, grande 2004, sempre più grande, la possibilità di esprimersi al meglio: resta infatti a dare il tempo dela beva la freschezza complessiva del bicchiere. Ma avremo modo di riparlarne.
Vi consegno l’emozione di aver bevuto un grande vino con grandi amici in una grande azienda.
Tutto il resto va in cavalleria.
Sede amministrativa a Lecce, via XXIV luglio.
Tel. 0832.308041
Sito: http://www.agricolevallone.it
Enologo: Graziana Grassini
Bottiglie prodotte: 500.000
Ettari: 660 di cui 170 vitati