di Francesco Raguni
Lo scorso sabato si è svolto presso il Parco urbano “Peppino Impastato” di Belpasso la terza edizione dell’evento “Grappoli”, winefestival etneo che, quest’anno, ha scelto come temi i vulcani del mediterraneo. All’ombra dell’Etna fumante, causa recentissima eruzione, si sono ritrovati produttori di vino e di olio di diverse provenienze, dalla stessa provincia di Catania alle isole Eolie, per un totale di 70 aziende.
“Ad ogni edizione vedo Grappoli crescere, diventando sempre più punto di riferimento per gli appassionati, gli esperti e per i produttori di vini. La presenza delle numerose aziende partecipanti, provenienti da territori diversi lo dimostra. Grappoli è un evento che parla di Etna, la nostra grande opportunità. Il vulcano è quel quid, quella linfa vitale che scorre dentro il nostro modo di essere e che si riflette inevitabilmente anche dentro a questi vini” ha affermato Carlo Caputo, sindaco di Belpasso.
A scandire poi i ritmi della serata sono stati sia degli spettacoli di musica dal vivo che dei talk, che hanno visto come ospiti il Consorzio Etna DOC, Le Donne del Vino – Delegazione Sicilia, l’Ordine degli Agronomi di Catania. La proposta food è stata curata, invece, dal ristorante “Mien” di Nicolosi. “Non di secondaria importanza reputo la cornice di questo evento, il nostro Parco Urbano: luogo che ho fortemente immaginato e voluto come inclusivo di eventi e persone, aperto, dinamico, creativo, attivo, vivo. Spero Grappoli possa legarsi indissolubilmente a Belpasso, e a questa location, anche quando le cantine ospiti saranno davvero moltissime e arriveranno da tutta Italia e oltre. Cresciamo insieme per diventare il punto di riferimento per il settore, in Sicilia orientale” ha concluso il primo cittadino.
Come di consueto, per il nostro giro, abbiamo scelto di iniziare con le bollicine e i bianchi, per poi spostarci sui rosati ed i rossi. Ed effettivamente la proposta di metodi classici e charmat era davvero interessante.
I metodi classici provati, che ci hanno colpito di più sono stati il “Gambino Maria”, 55 mesi sui lieviti prodotti dalla cantina Gambino e “Filici” di Nicola Gumina.
Si tratta di due vini spumante metodo classico, ambedue brut, con differenti periodi di sosta sui lievi. Il primo regala al naso note importanti di pasticceria, con sfumature di nocciola e fiori bianchi, il secondo invece porta all’olfatto un connubio di note floreali e agrumi. Interessante anche la versione bianca e rosata di Mirantur, il metodo Charmat di Serafica.
In questo caso ci troviamo sul versante Sud dell’Etna, il bianco spumante è realizzato con catarratto in purezza, il rosato con nerello cappuccio. In comune, oltre il metodo di spumantizzazione, i due vini hanno anche il nome: “Mirantur”, forma passiva del verbo latino “Miro” (guardare con stupore, sorprendersi). Grande freschezza in bocca e frutta gialla al naso da un lato, profumi di piccoli frutti rossi e importante sapidità dall’altro.
Direttamente dai territori di Salina e Milazzo abbiamo invece le cantine Colosi, con i loro tre bianchi in degustazione: Mar’è, Salina Bianco e Secca del Capo.
I primi due sono dei blend di Inzolia e Catarratto, usati in parti uguali. Differiscono per sistema di allevamento, tempi di macerazione e periodo di affinamento (che avviene in acciaio). Si tratta di due vini sapidi, dalla bocca agile e fresca, di pronta beva, che raccontano bene il territorio da cui provengono: l’isola di Salina. Il terzo vino, invece, è una Malvasia vinificata in purezza. La nota aromatica spicca – com’è naturale che sia – sugli altri sentori del vino, offrendo un naso che invoglia alla beva.
Tornando sull’Etna, per chiudere il primo giro di boa, abbiamo invece i Etna Bianco DOC firmati Palmento Costanzo:
“Mofete” e “Bianco di Sei”. Il primo vino è un blend di Carricante (70%) e Catarratto (30%), prodotto da viti giovani, che affina 4 mesi in acciaio e poi 2 in bottiglia. Il secondo, con lo stesso uvaggio, ma in percentuali differenti (90 – 10), fa un affinamento più lungo: 10 mesi in acciaio e fino a 8 in bottiglia. E così mentre “Mofete” ha un naso più giovane e una bocca maggiormente agile, “Bianco di sei” regala maggior complessità (erbe aromatiche, agrumi), con una nota minerale e sapida in bocca non indifferente.
Sul fronte dei rossi abbiamo provato, in primis, “Etna Rosso” di Giovanni Rosso, produttore originario di Serralunga d’Alba che ha espanso i suoi orizzonti qui sull’Etna. Le sue origini vengono riverberate dal suo rosso: un vino che necessita attesa, il cui tannino è presente, ma che – nel lungo periodo – può dare grandi soddisfazioni.
Successivamente troviamo “Contrada San Lorenzo” di Camporè, un Etna rosso con una predominanza netta in uvaggio di nerello mascalese (il Nerello Capuccio è inserito solo in minima parte) che affina in botti di rovere per 12 mesi e poi per 3 in bottiglia.
Alla bocca il tannino non risulta essere aggressivo, anzi, il vino scorre sinuosamente sulla lingua. Infine, “Ninù” di Tenute Foti – Randazzese, il cui nome è un omaggio dei produttori ai nonni. Si tratta di un nerello mascalese in purezza coltivato in una vigna vecchia in quel di Nicolosi tramite sistema ad alberello. Note di frutta sotto spirito e more al naso, buona freschezza in bocca.
A chiusura del percorso si torna sulle Eolie, sempre con le cantine Colosi, con Najm, un passito di Malvasia delle Lipari in purezza. Profumo di miele e albicocca, grande acidità per un vino dolce il cui sorso non stanca, anzi, ne chiama un secondo.
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