di Stefano Tesi
Frontaliero è un aggettivo che oggi suona male per chi, come gran parte di noi, non è più abituato all’idea della frontiera. La frontiera in senso antico, intendo, dove per passare ci voleva un passaporto pieno di timbri, le guardie erano arcigne e di là si parlava un’altra lingua. Anche se alla fine le culture erano quasi le stesse e le abitudini idem. Quando, insomma, la frontiera era politica e tagliava in due comunità più antiche di lei.
Nasce da questa “convivenza divisa”, se mi si passa il termine, l’idea di una cultura transfrontaliera, che unisce – nel nome di ciò che c’è, ma risulta, o era, diviso fa un confine – un insieme di sentimenti e d’usi comuni sui quali la presenza della frontiera ha un peso tale da diventare essa stessa parte della condivisione. E che rimane come impronta anche quando la cortina sparisce, o diventa permeabile. Perfino su versanti apparentemente più leggeri, come quello dell’enogastronomia e della produzione agroalimentare.
E’ stato grazie a un progetto, l’Enjoy Tour, che mira proprio a promuovere e a rafforzare il turismo enogastronomico attraverso azioni di sviluppo e valorizzazione di prodotti tipici locali dell’area transfrontaliera italo-slovena, che ho avuto recentemente l’opportunità di assaggiare i formaggi di un produttore che incarna bene, per il suo vissuto, l’idea della traversalità. E che avevo da tempo nel mirino: Dario Zidarich di Prepotto (TS). Un autentico personaggio, ma in verità non il solo che abbiamo incontrato nel corso di un viaggio a zig-zag sulle due sponde del “border”, toccando luoghi singolari come Ajdovščina (il villaggio “dove si produce vino e bora”), la valle del Vipàva, Idrija (dove hanno un apiario comunale dipinto e dove è veramente nato P.P.Pasolini), Cormons, l’Abbazia di Rosazzo.
Ma si diceva di Zidarich.
Chi ha presente quel gran film di Giorgio Diritti, intitolato “In vento fa il suo giro”, ambientato dalla parte opposta delle Alpi, in Occitania, ma per atmosfere niente affatto diverso da certe arie “transfrontaliere” che si respirano sul Carso?
Ecco, Dario sembra uscito – e non solo fisiognomicamente – da lì.
Oggi fa il produttore di formaggi, prima faceva l’allevatore di mucche (“poi mi sono accorto che quell’ambiente virava in peggio e l’ho mollato”, racconta) e ma nasce da genitori i cui padri erano scappati dalla campagna (“quando gli dissi della mia scelta, inorridirono”). Ha un’ottantina di capi frisoni “che puliscono circa 300 ha di terra tutto intorno”, all’interno di un sistema pedecollinare a cavallo tra Italia, Slovenia e Austria, terra arida e poco produttiva, spazzata dalla bora, ma dove “nascono oltre 1600 specie botaniche spontanee, più di quante ce ne siano nell’intera Germania”. Tra esse la Santoreggia, da cui sprigiona “l’odore del Carso”.
Un posto insomma in cui le sue (poche) frisone vanno a nozze.
Ognuna di loro non produce più di 20 lt di latte al gg. Dario e Anna Zidarich non ne lavorano più di 150 litri per volta. Risultato: massimo 12 qli di formaggio al mese, cioè circa 144 l’anno.
“Produzione di nicchia per forza”, commenta lui, “che vendiamo in tutta Europa ma in piccole partite, solo direttamente, senza intermediari”.
Sulle tecniche di produzione e di stagionatura ci sarebbe molto da raccontare. Per brevità dirò che come starter usano il latte del giorno prima, riscaldato e poi raffreddato per aumentare la carica batterica, e che il cacio matura in grotta (quelle naturali carsiche, dove si va con attrezzature da speleologo, o scavate con la dinamite nella roccia) oppure in asciutto, al sospirare della bora.
Noi abbiamo assaggiato, dopo l’eccellente ricotta e la caciotta aromatizzata alla santoreggia, prima un Tabor di 2 mesi, a pasta compatta, semidura, dal colore paglierino, un gran sentore di latte al naso, gusto fine e asciutto, quasi pungente. Poi un Tabor di un anno, di colore giallo opaco, occhieggiatura piccola e rada, un profumo erbaceo di rara fragranza e vivezza, bella consistenza in bocca con un palato ricchissimo, esplosivo per quantità di sentori. Quindi uno Yamar – il tipo di formaggio forse più famoso del Carso – di un anno, stagionato in grotta a 12°: di consistenza friabile, perfino sbriciolosa, di un bel giallo dai riflessi appena rosati e di un sapore delicatissimo, miscela oronasale di erbe e di prato, con un ingresso lieve ed un crescendo che matura in acutezza e in sorprendente lunghezza. E’ toccato infine al Mlat, frutto di Tabor di tre diverse stagionature prima sbriciolato e quindi ricompattato a mano con l’aggiunta di pepe: di aspetto granuloso, ma coeso, si distingue per le tonalità gialloverdi, un profumo acuto reso pungente dal pepe e una bocca pastosa, molto consistente ed alastica, che rilascia un gusto ricco e marcato, godibile e persistente.
Giudizio? Emozionante.
L’atmosfera transfrontaliera che, tra le chicchiere, si respirava tutto attorno, faceva il resto. Spiegando molte cose, semplice e complesse al tempo stesso da capire. Non a caso, anche da queste parti il vento fa sempre il suo giro. Bora compresa. E compresi i visitatori occasionali che, per trovare il caseificio lasciato voluntamente senza troppe indicazione, devono girare parecchio.
Dario Zidarich
Duino-Aurisina (TS)
loc. Prepotto
Tel. 040201178
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