di Antonio Di Spirito
I corsi di “Avvicinamento al Vino” sono molto diffusi e, di conseguenza, molto frequentati. L’offerta è molto ampia e soddisfa sia le necessità professionali, sia il solo interesse personale.
Maurizio Valeriani e Stefano Ronconi offrono un corso strutturato in otto serate, nelle quali, oltre ad apprendere i primi rudimenti sul vino, alla fine di ogni lezione teorica, si consumano due piatti in abbinamento con i vini della serata. E non sto parlando di frittatina fredda o di grana padano!
Alla fine del corso, poi, viene organizzata una cena-degustazione, con la presenza dei produttori dei vini della serata, non per i soli corsisti, ma aperta anche appassionati ed amici.
A metà dicembre si è svolto una di questi eventi-degustazione presso la “Taverna Portuense” ed al quale ho partecipato.
La locandina elenca le portate ed i relativi abbinamenti, programmati, ma durante la cena ci sono state delle piacevoli sorprese per la presenza aggiuntiva di qualche vecchia annata e di bottiglie extra.
Cominciamo dal cibo. Graziano Di Lorenzo, lo chef con la bandana, è un giovane appassionato del proprio lavoro, maniacale e perfezionista fino al punto che se la materia prima non gli consente la perfetta riuscita di un piatto, cambia tutto in corso d’opera. Cinque anni fa ha rilevato questo locale insieme alla giovane moglie, Delia Giri, che si occupa delle sala e della cantina: ottima ed azzeccata la scelta dei vini in carta. Il menù, oltre i piatti classici, è ricco della Cucina Tipica Romana: gricia, carbonara, amatriciana, cacio e pepe, coda alla vaccinara, pajata, ecc.; quasi tutti i piatti sono stati rivisitati ed alleggeriti secondo gusti più moderni; e non mancano proposte al limite del temerario: delizioso il Crudo di baccalà su crostini di guanciale croccante!
I vini degustati
Come buona abitudine, si comincia con un aperitivo, un vino bianco “easy” (come dicono gli americani) semplice ed accattivante dell’Azienda Agricola Camerlengo di Rapolla; una malvasia di Rapolla, “rinforzata” da due vitigni autoctoni: cinguli, una varietà locale di trebbiano, ed il Santa Sofia; ambedue concorrono per il 20%. Il produttore è l’Architetto Antonio Cascarano, un uomo esuberante, estroverso, dalla risata fragorosa e contagiosa; un uomo “verace” ed i suoi vini gli assomigliano! Accamilla 2013, (il vino è stato dedicato ad una dolce cagnetta, non più in vita) ha un colore dorato intenso; è stato prodotto seguendo metodi naturali-tradizionali: leggera surmaturazione delle uve, breve macerazione sulle bucce e nessuna filtrazione. All’olfatto le caratteristiche della malvasia dominano la scena, ma non coprono leggere note erbacee, profumi di fieno e miele. Le note fruttate invadono piacevolmente la bocca, ben accompagnate da una buona freschezza; è abbastanza secco ed equilibrato ed in chiusura c’è un ritorno di frutta molto dolce.
Angelo Muto sembra uno di quegli atleti che ha smesso da pochi mesi l’attività di lancio del peso e si è, più proficuamente, dedicato ai propri vigneti; con la consulenza dell’enologo Luigi Sarno, ha interrotto la tradizione della famiglia di conferire le uve ai grandi produttori della zona ed ha iniziato a vinificare le proprie uve sin dal 2006, valorizzando l’Azienda Agricola Dell’Angelo. I suoi vigneti insistono sulle vecchie miniere di zolfo e risentono delle caratteristiche minerali del terreno. Il Greco di Tufo 2012 ha il classico colore giallo oro e si concede pigramente al naso; dopo un po’ di ossigenazione, però, sprigiona profumi di mandarino, tiglio e salvia. In bocca è la frutta matura a tenere banco; è sontuoso, minerale e secco; i sapori sono molto distinti e la sapidità e la freschezza sono elevate; le note agrumate accompagnano le note di mandorla matura nel lungo finale.
Il Torrefavale 2012 è un vino meno complesso e più immediato; propone profumi di agrumi e di canapa. Alla gustativa è fruttato e fresco, è sapido e leggermente tannico e nel lungo finale c’è il ritorno della frutta dolce e succosa.
La differenza espressa tra i due vini, ovvero, la maggiore finezza e complessità del primo, è sicuramente attribuibile al dislivello tra i due vigneti: il primo sta più in alto, anche se di soli cento metri.
Abbiamo assaggiato anche il Greco di Tufo 2009 ed abbiamo potuto constatare con … naso e lingua cosa diventano questi vini dandogli un tempo di maturazione un po’ più lungo! E’ proprio vero: ad ogni stagione, ad ogni età il suo frutto! Un qualsiasi vino, finché non comincia la parabola discendente, migliora sempre e ti regala sempre emozioni e sensazioni differenti.
Avvicinando il calice al naso sembra di annusare la canna di un fucile appena dopo lo sparo; poi arrivano fiori gialli, salvia e melone. In bocca è fruttato, fresco e secco; è sapido e speziato e, pur non avendo la consistenza e la complessità del primo, le note evolutive ed ammandorlate ci regalano un finale piacevole e lungo.
La famiglia Sarno coltiva da oltre un secolo una proprietà che comprende 2,5 ettari di vigneti sulle colline di Cesinali; l’Azienda Agricola Cantina del Barone, un tempo proprietà di un barone di Napoli, oggi è condotta dal giovane enologo Luigi Sarno. Un solo vitigno coltivato, il fiano di Avellino, per le due etichette prodotte in azienda; lavorazioni manuali, come da tradizione; vinificazione (solo acciaio) in bianco e senza utilizzare lieviti selezionati, ma sfruttando il “pied de cuve” preparato in precedenza.
Paone 2012 è un vino prodotto con uve fiano, ha tipico colore giallo intenso con riflessi dorati; emana intensi profumi di fiori gialli e lavanda. Al palato porta tanta frutta a pasta gialla, note agrumate e tanta freschezza.
Particella 928 2012 è l’etichetta più importante dell’azienda. Viene ottenuto dalle uve provenienti da una singola particella (la 928, appunto) che gode di una particolare esposizione. Negli anni precedenti ha raggiunto notevoli traguardi e ricevuto importanti riconoscimenti; questa annata stenta un po’ a raggiungere le posizioni che gli competono: è un po’ in ritardo. Impeccabile nella sua veste dorata; i fiori bianchi e gialli sono accompagnati da note agrumate e da un leggero sentore di salvia. Al palato è la frutta gialla a manifestarsi per prima; è fresco, sapido e, di tanto in tanto, si affacciano delle note sulfuree. La sua trama non è molto fitta, ma è speziato e chiude il sorso con una nota ammandorlata.
Abbiamo potuto gustare anche alcune annate precedenti: Particella 928 2011, Particella 928 2010 e Particella 928 2009.
Sublime la 2011, sicuramente la più riuscita ad oggi, in splendida forma e nel miglior momento per il suo godimento! Sono proprio tante, intense ed immediate le sensazioni che regala al naso: frutta gialla, agrumi e mandorla fresca. In bocca è fruttato e fresco, piacevolmente agrumato e molto equilibrato nei sapori; la mineralità si esprime con note solfuree; la fitta trama sapida e la speziatura che si manifesta già sulla lingua portano a gustare un finale lungo ed ammandorlato.
L’annata 2010, che probabilmente è stata un’annata più siccitosa, offre meno sfaccettature, ma l’anno in più si manifesta con le note sulfuree già al naso, insieme alla frutta gialla e profumi di salvia e tiglio. In bocca è più essenziale, ma la stoffa è la stessa della 2011!
La 2009 si manifesta al naso ancora pimpante, con la stessa intensità dell’annata 2011, ma con qualche nota di evoluzione. In bocca la notevole morbidezza e rotondità è data da una minore acidità e l’innata speziatura chiude il sorso in bellezza.
Un’incursione improvvisa durante la cena; una bellissima sorpresa! I fratelli Gianfranco e Giuseppe Paddeu, invitati alla cena, hanno portato la loro creatura che incomincia a muovere i primi passi. Nei primi anni del Duemila rientrano in possesso di una proprietà di famiglia ormai in abbandono, ma che già dagli anni trenta del secolo scorso, curata da un fattore, produceva un ottimo vino rosso. Nel 2008-2009 reimpiantano poco più di un ettaro di vigneto con la consulenza dell’agronomo ozierese Gavino Bellu. Il terreno, sito in una zona denominata Suelzu che in sardo significa “sughereta”, è ricco di minerali; insiste, infatti su una vecchia miniera in disuso di piombo argentifero; il vitigno, naturalmente, è il cannonau con piccole percentuali di alicante e bovale. Le operazioni di cantina sono guidate da un altro nome di spicco della enologia ozierese: Tonino Arcadu.
Sono state presentate tre annate: 2011, 2012, 2013. La 2011 è stata la prima annata di produzione in assoluto, quindi non molto indicativa. L’annata 2013 è troppo prematuro da giudicare, visto che ha solo un mese di bottiglia, sui dodici previsti. Suelzu 2012, che ha da poco ottenuto la Denominazione di Origine Controllata, mostra con immediatezza tutte le sue potenzialità ed i suoi pregi. Ha colorazione rubino chiaro; i profumi sono decisamente mediterranei: lauro, mirto, fiori rossi e piccola frutta rossa. Il sorso è agile e scattante, fresco e fruttato, un tannino vellutato, è consistente e nocciolato, molto minerale e persistente.
Ed arrivarono, infine, i rossi dell’ Azienda Camerlengo! Vigneto di 5 ettari ad aglianico, suolo vulcanico fra i 400 ed i 500 metri s.l.d.m..
Antelio 2012 è un vino che fermenta in botti troncoconiche di castagno e matura in legno per almeno dodici mesi. Il colore è rubino cupo; al naso è vinoso e giovane, si caratterizza con frutta rossa, rosa canina e petali di viola. In bocca è fruttato e molto fresco, ha una fitta trama, è cinerino e persistente.
Camerlengo 2006 è l’etichetta più importante dell’azienda. Le uve provengono dalla parte più alta del vigneto, a circa 500 metri di altitudine, e le viti hanno un’età di 40 anni. Dopo lunga e lenta fermentazione in legno, il vino matura per circa due anni in barriques di secondo e terzo passaggio. Si presenta in una belle veste rubino cupo e profuma di frutta rossa e cenere; il lungo passaggio in legno non è del tutto riassorbito e si avverte al naso insieme a note balsamiche. In bocca frutta e freschezza sono in bella evidenza; poi melograno, cenere e tannini morbidi portano ad una piacevole chiusura del sorso.
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