Un bicchiere per due / Cinque Terre Sciacchetrà 2010, Cantine Litàn

Pubblicato in: TERZA PAGINA di Fabrizio Scarpato

di Fabrizio Scarpato

La cena per farli conoscere. Tra i pochissimi fastidi del vivere da single, gli inviti degli amici appositamente ideati per farti prender moglie sono lo scassamento più devastante che possa capitare. Perché innaturali, come un teatrino delle marionette fatto di gesti automatici e sorrisi larghi e gutturali.Vado a fare il cicisbeo con la morte nel cuore e la sottile, vigliacca cattiveria della quale fanno le spese donne innocenti, magari sincere, sicuramente più sincere di me, destinate a soccombere in questa lotta crudele di solitudini. Perché finisce sempre che rimando, rinvio a data da destinarsi, ci devo pensare, si vedrà, forse, chissà. E poi, finalmente libero.

La giovinotta quella sera finì col sorprendermi. Solita situazione, per fortuna in un ristorante, dove non è mai possibile tirare tardi: e lei che invece di farsi bella, nel solito desolante panorama di stronzate e ovvietà da mezze stagioni che non ci sono più, se ne sta zitta, in disparte, ma attenta, a suo modo partecipe. Non era una marionetta, sapeva ascoltare e sembrava non aver bisogno di nessuno. Senza infingimenti, quasi liberato, finii con l’azzardare una possibilità di incontro, cascandoci come una pera cotta, tuttavia sapendo di cadere. E lei rispose “vedremo”. Mandarla affanculo fu un tutt’uno, e in qualche modo la cosa mi sollevò da un’ansia sottile, che di primo acchito sembrava non poter consentire di aspettare domani.

Ma domani arrivò, e poi un’infinità di altri domani, di altri rinvii, cambiali in bianco su un futuro divenuto impalpabile, perché senza presente. La incontrai in una pasticceria alla fine dell’inverno: le dissi che era tempo di zeppole, che non poteva non assaggiarle, magari quelle piccole, purché ci fosse l’amarena, beninteso. Lei sorrise, per il fatto dell’amarena. Ordinai due bicchieri di Sciacchetrà: bellissimi, piccoli bicchieri finemente incisi come quelli da rosolio di un secolo fa, in cui il vino risplendeva brillando limpido tra infinite sfaccettature color mogano, con riflessi aranciati quasi ruffiani e infantili, per quanto belli.

Rimanemmo in silenzio, soli, senza dover render conto a nessuno, e liberi di farlo. Tanto c’era il vino che parlava per noi, che urlava al nostro posto, con note maschili di sigaro e tabacco olandese, di cuoio e alghe salmastre, mischiate a profumi femminili di albicocca disidratata, di datteri e noci, fichi e cipria. Eravamo noi due, chi poi fosse dominante, chi avesse il coltello dalla parte del manico, al momento era ancora da stabilire, ma lo Sciacchetrà, quello Sciacchetrà così violento cercava di dirci qualcosa.

La dolcezza truffaldina della zeppola non spostò di un millimetro il fendente di un sorso tagliente, salato e balsamico come di una ventata sotto costa, tra la macchia e il mare. Il tannino che ripulisce la bocca, la freschezza che ti fa bere ancora e una salivazione lunghissima attraversata da qualcosa di acidulo e pungente, un fico d’india, o uno stecco di liquirizia. E lei che beve, quasi con ingordigia, inconsapevolmente attratta dalla leggerezza alcolica e da un’ampiezza lieve e circoscritta, più rinfrancante che masticabile. Poi a un tratto dopo un ultimo sorso si passò lentamente la punta della lingua sulle labbra.

Pensai che quel vino era frutto di una lunga attesa, in cui ogni domani avrebbe portato qualcosa di nuovo da fare, da scoprire, da accudire, da lavorare. Eppure, forse proprio per questo, adesso poteva permettersi di essere così sincero, irruento, immediato. Così sfrontato. Passato e futuro che si incontravano nel presente, il mio. Posai il bicchiere e la baciai.


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