Via San Giovanni del Toro, 28
www.palazzoavino.com
Aperto solo la sera
Ferie da novembre a marzo
Prezzo alla carta 120 circa, menu degustazione a 85 e 95 euro
Sarà l’età, il profondo disgusto per la volgarità e l’approssimazione dilagante, ma è a Ravello che vorrei trascorrere l’ultimo giorno prima della Fine del Mondo. Ovviamente in coppia perché in questi posti è facile passare dall’atarassia alla depressione e un persona da sola è come uno che non segue il calcio in uno stadio durante la finale di Champions.
Nel corso di questi anni Palazzo Alvino e Villa Cimbrone sono i due ristoranti che più hanno spinto sulla ristorazione e sono un punto di riferimento sicuro per gli appassionati e i gourmet. Palazzo Alvino ha Michele De Leo, carattere non facile, una sorta di Cassano della gatsronomia del Sud, ma tanto, tanto bravo. Starei per dire geniale. Ristorante gourmet, tradizionale, club sandwich: un executive con i controfiocchi.
Il piacere di sostare nell’albergo è inesauribile. Ogni scorcio ispira sentimenti, ricordi, benessere.
La cucina di Michele è matura, completa, aggiornata, ricca di spunti e capace anche di andare incontro alle diverse esigenze. La cornice sono gli acidificanti tipici della Campania, limone e pomodoro, ma non più usati come soluzione unica per risolvere un piatto: si punta a spezie, erbe, odori, abbinamenti in un crescendo da manuale.
Purtroppo i pani sono buonissimi ma il consiglio è di farseli portare la mattina a colazione. Basterebbero il burro di bufala di Barlotti e l’olio ravece per saziare e il viaggio è molto lungo.
La novità è la portata dell’aperitivo: ciascuna cosa potebebe essere un piatto, dalla parmigiana nel bicchiere al fritto dall’hamburger di pesce all’arancino. Tutto buonissimo e divertente, da passarci un pomeriggio.
Gli starter sono poi perfetti, nonostante una venatura dolce che a noi non garba mai molto, sono ben giocati di freschezza e di consistente. Le nespole con il gambero sono insuperabile, il caviale amaro di rucola mette a posto la bocca e la pulisce.
Apoteosi con la pasta e piselli, apoteosi. Michele dimostra come si usa la pasta in una grande cucina.
Il ricordo di lasagna è un esplicito riferimento a bottura, ma il ragù è bello tosto, napoletano. Forse il formaggio è superfluo.
Anche il riso è semplicemente da manuale. ormai i cuochi più bravi sanno bene come si gestisce la cottura e sfruttano questo elemento con la freschezza del mare ottenendo dei risultati insuperabili.
Di nostro gisto, pieni e robusti i due secondi di mare, mentre quelli di carne evidenziano grande scuola.
Il pre dessert alle patatine fritte è una bella trovata, spezza il pranzo e prepara al dolce.
Il finale dolce rimanda ad un appuntamento successivo
CONCLUSIONI
Michele Deleo è ormai nel pieno della sua maturità espressiva. Padronanza di tecnica e di elementi ne ganno un fuoriclasse grazie alla esperienza e alla crescita costante nel tempo. La sua creatività è ancora molto ben accesa, la cura per la estetica del piatto non è mai fine a se stessa, ma subordinata alla ricerca del sapore. Sapore che si trova sempre e comunque nell’ingrediente principale.
A differenza di molti, la pasta non è qualcosa di avulso dal contetso, nè in male, nè in bene. Non è un elemento di recupero o di svantaggio: si usa quella di grano duro senza tema e molto bene in una sequenza che non ha gerarchia, ma armoniosa e crescente musicalità.
Una grande esperienza, non si può dire di conoscere i vertici della cucina campana senza essere stati qua.
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