di Albert Sapere
Ho conosciuto Cristoforo Trapani in una sera piena di neve a Rivoli. Io ero a cena al Combal.zero, cena veramente deliziosa da Davide Scabin, sicuramente la migliore di quell’anno, invece il giovane cuoco originario di Meta di Sorrento stava completando uno dei suoi percorsi formativi.
E’ la seconda volta che ceno a Piazzetta Milù, la prima giusto un anno fa mi aveva lasciato delle perplessità, luci e ombre. Vicino ad una tecnica notevole e un paio di guizzi interessanti, qualche idea forse troppo confusa e dei piatti quasi mai legati al contesto territoriale.
La seconda volta segna una crescita decisa. In quello che ho mangiato c’era appartenenza territoriale, maggiore personalità e la confusione via via svanisce, qualche ombra rimane, probabilmente nel suo futuro rimarrà solo qualche peccato di gioventù, ma il tempo ci dirà se è così.
Il merito della crescita di Cristoforo è da attribuire sicuramente al suo talento e caparbietà, ma anche alla famiglia Izzo, che gli ha affidato la cucina e lo ha lasciato tranquillo, consentendo di esprimersi, qualche volta anche di sbagliare, oggi una fortuna per pochi cuochi. Sicuramente questa liason ha fatto e farà molto bene a entrambi.
In sala Emanuele è una solida certezza, diventa sempre più bravo, la mamma e Valerio lo assecondano, lo accompagnano, tanti sorrisi e poche sbavature.
Avvio molto convincente l’aguglia e la triglia fritta convincono, asciutte, la buccia di arancia lo rende profumato, bene così.
Il piatto del viaggio. Tecnica, territorialità, eleganza gustativa, essenzialità e gioco. Il carciofo è simbolo di festa in questo Territorio. Il fumo delle foglie esterne del carciofo e le erbe aromatiche portate a parte sotto una campana servono a ricordare l’odore dei classici carciofi che si trovano a ogni angolo di strada in Penisola. Piatto ricco di spunti tecnici, dalla pancetta liquida alla spugna di prezzemolo, interessante.
Piacione, goloso, ben fatto, lasciare spazio anche alla pancia non è un peccato mortale.
Rivisitazione personale di un piatto classico campano, la cottura del polpo avviene prima sottovuoto e poi scottato a fuoco forte, ricerca e tecnica nell’utilizzo delle patate, un’acidità più marcata nella maionese di polpo avrebbe fornito maggiore brio ed un carattere più deciso al piatto.
Il risotto è veramente risotto, a queste latitudini non è quasi mai così, la scelta del riso acquerello invecchiato sette anni sicuramente aiuta. Il gusto marino, iodato, ritorna tutto al palato. Ben fatto è meglio di ben detto.
Mare e orto con un sottofondo di pasta secca, da buon terrone, spesso sono preparazioni che adoro, ma in questo caso tendevano a coprirsi a vicenda. Magari trattare questo piatto più come una minestra di pasta, più brodosa per intenderci, aiuterebbe a trovare l’equilibrio perfetto.
Una versione elegante, delicata e allo stesso tempo decisa, di un grande classico della cucina tradizionale napoletana, centrato.
Morbido, fin troppo, la crema di formaggio ingrassa, il crumble di cioccolato non apporta il cambio di ritmo sperato, il raviolo era ben fatto. Non mi è piaciuto insomma, capita.
Tra i dolci il babà era notevole, per elasticità e bagna, davvero molto buono, carina l’idea del cappuccino e cornetto, meno nelle mie corde gli altri dolci.
A 27 anni, aumentano le luci e restano poche ombre.
Piazzetta Milù
Castellammare di Stabia, Corso A. De Gasperi 23
Tel. 081 871 5779
Chiuso domenica sera e mercoledì tutta la giornata
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