di Giancarlo Maffi
Fino a quando non sono arrivato a pagina 80 non avevo pensato di scrivere qualcosa su “L’Ispettore Michelin” di Scarpato. Sul blog di Luciano ne avevo distrattamente letto solo alcun pagine, non perché fosse scarsamente interessante. Il computer, o l’ordinateur come direbbe l’ispettore, non rende. La carta stampata non morirà mai, ne sono certo ancor di più dopo aver preso in mano questo breviario laico! Conosco Fabrizio da qualche anno. Ci litigai parecchie volte, quando si battagliava sul “Papero Giallo” di Bonilli. Mi stava anche un po’ sui cabbasisi (il suo ispettore li chiama camemberts, ma sempre di palle si tratta), con quel suo fare un po’ snob un po’ saccente.
Nello scritto, intendo, che di persona è una pasta d’uomo. Ma la mia è e sarà sempre una tattica: cerco di litigare con tutti, all’inizio. E’ un buon viatico per una discreta amicizia. Oppure vuol dire che non ci si piglia, e in fondo è meglio cantarsele subito, come due molossi maschi che si ringhiano. Con una delle mie mosse del cavallo, a scacchi, lo presi in contropiede, facendogli arrivare una bottiglia di champagne al tavolo, quando se ne stava in allegra compagnia da Uliassi con il presidente del Fan Club Ciomei e altri. E amicizia fu, o almeno così mi sento io, perché lui è un pochino più distaccato, per carattere. Però mi pare leale, che è tanta roba, di questi tempi.
Lo spiaggiai di forza sul Wine Blog e iniziò a scrivere di cibo e di vino delle Cinque Terre e di pesto. Poi buttò lì questo strambo ispettore di polizia normanno, Gustave Michelin, e mandò i pezzi da terza pagina a Luciano Pignataro che li accolse a braccia aperte. Il cacciatore di contatti Bernardi di Dissapore a Fabrizio non l’aveva capito e lo teneva a stecchetto. Da “Ministro degli Esteri del blog salernitano” non fu difficile per me strapparlo all’oblio, anche se il “genovese” (spezzino in realtà) non ci dormì su qualche decina di notti, rischiando di rimanere come l’asino di Buridano.
Insomma, per non tirarla in lungo Luciano e io lo stimolammo a farci sopra una serie di racconti, definitivamente sfociati in questo delizioso romanzo che ha finalmente visto la luce alla edizione appena conclusa de Le Strade della Mozzarella. Certo, fra la pigrizia di Luciano, i lunghi tempi morti e pensanti dell’autore e quelli del prefattore Vizzari, siamo andati lunghi un annetto buono, ma la barca dell’ispettore alla fine è andata in porto, contrariamente a quella finita sugli scogli normanni del personaggio immaginato.
Gustave Michelin è un ispettore della Gendarmerie di Honfleur, in Normandia. Praticamente la versione francese dei nostrani Carabinieri. Coltiva crisantemi che gli servono pure per lanciare messaggi d’amore alla signorina Paulette, il suo amore di paese. Passa il tempo a “non fare un cazzo e bere sidro” al bistrot Le Chat qui Pêche: un sidro, sei ostriche e una birra. Capisce di vino e Calvados e, pare, pure di cibo. Appassionato di rugby e di gnocca (bisogna pur dirlo, perché nel romanzo ne passano diverse), soffre certo di melanconia e misoginia, il che pare affascinare molto una giovane, brava e ambiziosa chef provenzale, Mariana Burruciaga, del tutto chiaramente simile alla nostra Marianna Vitale, un amore passionale e anche un po’ violento del nostro ispettore e forse anche una simpatia un po’ decadente ma certo romantica del Fabrizio autore.
Fra crevettes e fricassee, homard e rugby, andata e ritorno Stade de France e Olimpico di Roma, Scarpato ci infila magnificamente un amore mancato a Piazza Navona a causa di bocconi di mozzarella di bufala di Paestum che ingolosiscono il grosso cane di una dama, pagg. da 179 a 187 non perdetevele, campani, c’è la citazione di un piatto di Marianna: spaghettoni con acqua di mozzarella, lupino e aglio bruciato. Poi L’Ispettore Michelin si rivela anche un discreto figlio di puttana prendendo a testate sul naso un tipo che cerca di appropriarsi di una proprietà, lassù nello Chateneuf du Pape. Un gendarme borderline ma sempre gentile, che in fondo si muove per il bene del mondo. Lui alla Diaz di Genova non sarebbe mai entrato. Tra francesismi italianizzati-va senza dire- per esempio, puntate nella lavanda e nella Rue Saint Louis en l’Île parigina, scorre veloce un romanzo spiritoso, colto, melanconico, anche astruso, forse molto interessante anche per il mondo femminile e che si mangia in due orette e mezzo di goduriosa lettura e che consiglio a tutti quello che l’anno avuto in dono o che possono richiederlo a Pignataro.
L’ultimo capitolo e’ dedicato a una insalata normanna, che compare anche sul quadrante di un orologio, i MIEI orologi, quelli per gli chef. Lo considero un onore, ma anche un doveroso riconoscimento per quello che ho fatto affinché questo romanzo vedesse la luce. Voi non avete idea di come sia difficile anche solo comunicare telefonicamente con Fabrizio Scarpato, il genovese :)
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