di Gemma Russo
Scendo i tre piani in silenzio, perché il momento lo permette. Guardo intorno e mi sento in un’arnia. Modo improprio per definire ciò che vedo. Ad abitare ogni celletta, è un innumerevole numero di bottiglie. La musica classica mi afferra il braccio ed io lascio fare. Viaggio! Attraverso il mondo leggendo le etichette, ne immagino la diversità. Così, dalla ben fornita cantina de La Fattoria del Campiglione, inizia questa nuova tappa del “viaggio” con la Condotta Slow Food Campi Flegrei. Appuntamento importante questo, che segna un anno di lavoro e d’attraversamento lento di una Terra complessa, ma estremamente preziosa.
Ad interpretarla, è questa volta la cucina di Nicola Buono e Michele Sgamato.
I chicchi di Cicerchia flegrea soffiata da sgranocchiare e le volteggianti bollicine della Falanghina spumantizzata Extra Dry di Cantine Grotta del Sole accolgono i “viaggiatori Slow”, introducendoli alla tavola. Cicerchia Flegrea, Cozza e Melannurca, gli ingredienti filo conduttore della serata, combinati all’interno di piatti che ripercorrono la linea del tempo, da prima a dopo Cristo.
Sì, perché Nicola è tra quei cuochi flegrei che si sono cimentati nel far rivivere antichi sapori, supportati da studi scientifici fatti all’interno di scavi archeologici. Antichi piatti quindi, che parlano d’eterogenei popoli, di una ricca varietà di prodotti, arrivati in tempi diversi.
Si inizia dalla preistoria, con una minestra neolitica di Cicerchia Flegrea, accompagnata da un ottimo pane pita. Avvolgente nel sapore è la ricetta micenea, le cui tracce sono state ritrovate sulla vicina Isola di Vivara. Alloro, rosmarino, costine di maiale affumicato addolciscono e smorzano la granulosità della Cicerchia. Si abbandona il cucchiaio. Nel piatto, il polso compie un angolo di 360 gradi, raccogliendo il cibo con il pane pita.
Beviamo vitigni autoctoni portati in loco da quelli stessi Eubei esuli di Samo che approdarono a Cuma dalla vicina Pithecusa. Falanghina e Piedirosso di Cantine Grotta del Sole, illustrati da Salvatore Martusciello, la cui famiglia ha posto le basi alla viticoltura flegrea.
Tra i primi a credere circa le potenzialità dei vitigni, d’avere nelle mani un prodotto differente, dall’enorme valore aggiunto, fatto dal territorio stesso. Persistente è l’insalatina di Cozze e Melannurca, con porro, cipolla novella, carote, sedano e buccia disidratata di arancia. Da una cornucopia, punzecchiamo zeppoline di pasta cresciuta, impastata con acqua di cicerchia. Nella morbida pasta, pezzettini della dolce Melannurca, proveniente da Quarto, zona Macchia. Hanno il sapore della Baia Imperiale, le cozze stufate riprese dal ricettario di Apicio. La dolcezza del porro sfida con polso il salato della cozza, sfumata al vino ed al passito. Confondono ed ammaliano le spezie utilizzate, quali la santoreggia ed il cumino.
Il Piedirosso volteggia aggraziato nel bicchiere. La buonissima pasta dei ravioli ripieni con crema di Cicerchia, su salsa di Melannurca, traghetta al secondo primo, pacchero al ragù di Cozze alla puteolana. E qui, arriviamo alla bella Pozzuoli, a quelle tradizioni gastronomiche scivolate per l’aver perso il senso d’appartenenza, per non averlo saputo custodire in seguito all’evacuazione del Rione Terra e del Centro Storico, tra ’70 ed ’80. Mia nonna così cucinava le cozze con la pasta. Le lessava appena appena e poi le immergeva in un generosa salsa, che cuoceva a lungo. Mia mamma ancora le prepara così. Ѐ un piatto incontro tra le due anime puteolane, quella marinara de O’Valjone, detta Darsena, e quella invece contadina del Rione Terra. Il palato degusta con il cuore, perdendo per strada l’obiettività, perché riconosce nel piatto di più di quello che si vede.
Crostone di pan di Cicerchie con zuppetta di cozze e una insolita Melannurca al forno, con rosmarino, porro ed olio extravergine d’oliva, conducono il “viaggiatore Slow” al dolce. Un tris tutto da scartare.
La Melannurca grattugiata con la cannella è posta su una fettina disidratata del frutto, rinfrescando il palato di chi degusta.
A fermare la freschezza ed a rendere la lingua terrosa, ci pensa la crostata di Cicerchia, simile nel gusto alla classica pastiera. Per ultimo, lascio la pralina. Chiudo gli occhi, la posiziono sulla lingua, la rompo. Ѐ morbida! Cos’è? Riconosco il rum, è ripiena con un’amarena? No, sa quasi di mare. Ѐ una Cozza! Questo viaggio è una continua scoperta!
Foto di Marina Sgamato
Regia di Costantino Sgamato
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