di Luca Fontana
A tavola con I Signori
Maggio 2015
Il Giappone è una terra straordinaria, in cui enormi e moderne metropoli come Tokyo (che ha ormai superato i 40 milioni di abitanti, con l’agglomerato periferico) stanno mutando una cultura fatta di tempi lenti e grande legame con la terra, che ormai si trova solo in remote campagne. Tuttavia è incredibile notare come questo mutamento sia avvenuto, ed avvenga ancora oggi, in maniera del tutto graduale, con ordine ed armonia.
La cucina dei grandi chef Giapponesi è in bilico tra questi due mondi: qualcuno ha deciso di buttarsi in francesismi, qualcun’altro ha creato nuovi stili o reintepretazioni della tradizione, altri invece hanno seguito la linea tracciata dai loro avi, concentrandosi a migliorarla giorno dopo giorno, in un processo quasi identico, ma con piccoli cambiamenti che tendono verso la perfezione.
Yamamoto-sano (curiosità: in Giappone -san si aggiunge ai nomi dei propri pari, -sano si aggiunge alle persone per cui si porta un grande rispetto) appartiene a quest’ultima categoria. Egli stesso definisce la sua cucina Kaiseki di stile Zen, in cui porta massimo rispetto alla tradizione, celebrando le usanze e le materie prime del suo popolo e della sua terra. Giusto per avere un ordine di pensiero, la cucina Kaiseki nasce nel 1550 circa, come complemeto alla cerimonia del Tè.
L’ispirazione dichiarata della sua cucina è una frase altisonante degli insegnamenti Zen, che recita “Quando una persona eroica prende una decisione e si mette all’opera, i suoi compagni risponderanno alla sua chiamata ed accorreranno”.
L’obiettivo che lo chef si pone è altissimo, la sua chiamata è stata udita, e siamo accorsi alla sua tavola.
Prima di prenotare consiglio la lettura delle “regole” per stare da Ryugin, presenti sul sito del ristorante.
Il menù a disposizione è uno solo: 10 portate all’insegna della bellezza della natura giapponese. Ogni portata viene indicata sul menù come calda o fredda, le temperature, scopriremo, sono molto importanti.
Per preparare il palato: bevanda, fresca e frizzante, al mango.
(Caldo) Riccio di mare, ginger e piselli verdi. Un inizio morbido ed accomodante.
Come accompagnamento alla cena scegliamo la selezione al calice di tè, il primo, un rosè frizzante, richiamo agli champagne.
(Caldo) Seppioline grigliate e yuzu. Le seppioline hanno gusto di griglia prorompente, a cui la dolcezza acida dello yuzu non è sufficiente a fare da delicato contrappunto.
Proseguono gli abbinamenti al calice col Tè Shion.
(Caldo) Pesce persico grigliato con radice di loto e misticanza. Altro piatto in cui prevale il gusto quasi bruciato di griglia.
Tè Yuan, l’abbinamento più interessante della cena, antico ed intenso, che richiama vagamente al “cartone bagnato”, ci accompagnerà per molte portate.
(Freddo) Sette delicatezze oceaniche. Un classico della cucina Kaiseki, materie prime molto fresche e minimamente trattate. Interessante il fegato di rana pescatrice e l’abalone (un enorme mollusco di cui vanno pazzi in oriente, ancor più che per il suo sapore, probabilmente, per la sua forma che richiama proprietà afrodisiache. Lo troverete praticamente in ogni ristorante di lusso), servito col suo fegato.
(Caldo) Kinki fish alla melanzana con verdure primaverili al sesamo. Un passaggio che non lascia il segno.
Una linea netta di demarcazione a metà cena, che ci risveglia da un certo torpore, dato dalle precedenti portate. Mela e zenzero, un vero reset per il palato.
(Caldo) La primavera in pieno fiore. Reintepretazione di Yamamoto-sano della zuppa Shabu-Shabu (piatto importato dalla Cina solo ad inizio ‘900, che solitamente prevede anche la carne). Le verdure e la zuppa bollente, delicatissime, fanno da contrasto ad una crema di sesamo e pinoli con fiori di pepe. Parliamone…
…incredibile. Una base delicatissima, i fiori di pepe che vanno a risvegliare il palato e l’olfatto ad ogni assaggio, con una sensazione quasi elettrica, in un climax ascendente spettacolare. La portata è veramente trascindentale, un autentico capolavoro contenuto in una piccola ciotola di porcellana. La sua forza e la sua persistenza non coprono minimamente il sapore delle delicate verdure, anzi, lo esaltano alle stelle. Magistrale.
(Caldo) Carne Sanuki in stile Sukiyaki. Ottimo passaggio, che va a toccare tutti i gusti con la giusta forza. Ottimo il posizionamento più grasso e soddisfaciente, unica strada per seguire degnamente il capolavoro precedente.
(Caldo) Riso al tè di fiore di ciliegio, gamberetti Sakura e verdure crude. In una cena Kaiseki dell’antico giappone, questo sarebbe stato il fine pasto, a base di riso. La sua funzione tradizionale è dare un finale soddisfacente dopo un pasto a base di prodotti freschi e leggeri, con le verdure, anch’esse fresche, che ripuliscono il palato come gran finale.
Il tutto servito con pregiato tè Oolong taiwanese.
Cambio del tè, arriva il classico tè verde, che andrà ad accopagnare un dolce decisamente poco tradizionale.
(Freddo – Caldo) “Fragola”. Il moderno dessert secondo Yamamoto-sano. L’idea, di filosofia molto Giapponese, è di portare un semplice elemento alla sua massima espressione. E’ così che dapprima ci troviamo di fronte ad una “fragola” (in realtà un contenitore edibile risultato di una lunghissima preparazione molecolare)…
….che contiene gelato all’azoto liquido, sempre alla fragola…
…su cui vengono adagiate, chi l’avrebbe detto, fragole calde. La materia prima è assoluta, la preparazione molto complessa, l’intento del piatto lodevole e molto in filosofia Zen. Tuttavia, agli occhi di un occidentale, questo semplice gioco di temperature sullo stesso ingrediente, sa di già visto e non ci colpisce particolarmente, risultando piuttosto rindondante ed inutilmente complicato.
(Caldo – Freddo) Sake caldo e sake freddo. Il secondo dessert della serata. A destra uno straordinario soufflé al sake, che rientra sicuramente nella nostra personale classifica dei migliori mai provati; a sinistra troviamo un gelato di sake a cui viene aggiunto del freddo sake giovane, la cui breve fermentazione lo rende torbido, sin troppo invasivo.
Il finale, tè macha, preparato secondo la cerimonia del “Cha No Yu”. Di una tipologia piuttosto anomala, dal sapore molto intenso, ma molto (molto, credetemi…) tendente all’amaro, perfettamente preparato con la tipica frusta di bambù.
Il percorso di Yamamoto-sano ci ha spiazzato, ci saremmo aspettati una sequenza perfetta, tradizionale e soprendente. Le altissime aspirazione e i pomposi obiettivi proclamati dallo chef (come si può dedurre dalla sua eroica frase Zen ispiratrice, in apertura) hanno creato in noi aspettative altrettanto alte.
Avremmo immaginato un martello che batte costantemente l’incudine senza esitazioni, educando il nostro palato passo dopo passo, catturandoci nel mondo del Sol Levante.
Un monaco Zen, che ai suoi iniziati spiega, attraverso emozioni gustative, la tradizione Kaiseki (la struttura tradizionale di un pasto giapponese cerimoniale, fatto di tanti piccoli assaggi, a cui in parte si ispira anche la cucina contemporanea occidentale), indossolubilmente legata al Cha No Yu (la cerimonia del Tè, che prevede nella sua forma più estesa una serie di portate, prima del Macha).
L’impressione dopo questa cena, tuttavia, è che lo chef strizzi eccessivamente l’occhio alla cultura occidentale, ammorbidendo la sua cucina rispetto a quanto può arrivare ad essere profonda e sfaccettata la tradizione giapponese.
Soprattutto la prima parte della cena risulta sottotono, fatta di materie prime eccellenti, ma poco rispettate nei piatti alla griglia, e non così incisive negli assaggi freschi.
La seconda parte è tutta un’altra storia, con uno shabu-shabu che monopolizzerà i nostri discorsi sino a notte fonda, una portata di altissimo calibro, che, insieme alle portate successive, risolve le sorti della cena, facendoci comprendere i numerosi riconoscimenti internazionali di questo ristorante.
Anche l’ambiente non aiuta a calarsi in quel mondo sublime e così diverso dal nostro: i tavoli sono all’occidentale, si mangia seduti su delle normali sedie, la carta dei vini è sterminata (la nostra scelta di pasteggiare a tè, seppur prevista dalla carta, è apparsa quasi inusuale) e la maître, gentilissima, parla un’ottimo italiano.
Consiglio Ryugin come prima esperienza di grande cucina giapponese, un approccio soft, che permette di entrarvi passo a passo, e prepara egregiamente a scoprire lo sterminato background culinario, culturale e filosofico di questa nazione.
Rientrando in albergo il nostro sguardo volge ai giardini dell’imperatore, attraversati da una delle principali arterie stradali di Tokyo, delicati contrasti di un paese in contino cambiamento, ma sempre fedele a se stesso.
Menù “Celebrando la meraviglia della natura Giapponese” di 10 portate: 27.000 JPY + servizio 10% + tasse 8% (circa 240€), bevande escluse
Chef: Seiji Yamamoto
Ryugin
7-17-24 Roppongi,
Minato-Ku, Tokyo
Foto di Luca Fontana
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