di Giancarlo Maffi
Certo, per me questo e’ stato un incredibile ritorno a casa. Premessa: “tenevo” (uso questo termine perché tutta la giornata e’ stato un continuo rimando fra Bergamo e Campania), negozio in centro, per dieci anni, fra il 1989 e il ’99. A destra, cento metri, casa mia. A destra, svoltato l’angolo a sinistra, cento metri, sul viale principale della città, Da Vittorio. Erano anni ruggenti. Gli orologi giravano, e’ veramente il caso di dirlo, vorticosamente.
Clienti, fornitori, amici, nullafacenti ricchi e scassapalle andavano e venivano in continuazione. Giocoforza invitare o farsi invitare a pranzo. Dove? Non era neanche il caso di chiederselo. Vittorio stava li, a due passi, con il suo vocione e l’asciugamano svolazzante, simpaticamente ascellare. Godurie stagionali e certezze consolidate: in autunno il profumo dei tartufi, con il vento giusto, ti prendeva girato l’angolo.
Voi campani scherzate sui risotti ma chiedete ai Salvo che ne pensano di quelli che hanno provato l’altra sera. Insomma, e chiudo, ho fatto un conto: solo in quegli dieci anni, poi c’è un prima e un dopo, almeno, ma dico almeno, 700 volte ho passato quella soglia, mangiato quei paccheri al pomodoro golosi al di la’ di ogni limite, rubato le ricette, goduto dei tartufi, degli scampi, di tranci di pesci giganteschi.
Questo era Vittorio e tutta la sua famiglia, per me. Anni, anni prima, Mario Donzelli, quartieri spagnoli, aveva portato la pizza e la Campania in città. Prima a Bergamo Bassa, poi lassù, alla Montanina fra Bergamo Alta e il colle di San Vigilio.
Da lui avevo imparato cosa e’ una pastiera, una crocchetta di patate, una vera pizza napoletana. Il pensiero e’ corso a lui, quando a bordo di una strepitosa Porsche turbo che mi era stato concesso l’onore di guidare dalla sua proprietaria, ho varcato, perfino emozionato, uno dei cancelli d ‘ingresso della Cantalupa, la splendida tenuta dove ora opera la famiglia Cerea.
Si chiudeva un cerchio, in modo clamoroso, e Mario Donzelli, sono sicuro, mi guardava dall’alto e sorrideva felice: almeno un cazzo di bergamasco magna polenta gli aveva dato retta! Io non è che non voglia parlare dei fratelli Salvo, di Francesco e di Salvatore. Li conoscete. E’ che mi si sovrappone l’ombra di Chicco Cerea. Caxxo, questi sono tutti giganti, anche nel fisico. I due Salvo e due dei Cerea, appunto Chicco, e Roberto, l’autore di uno dei piatti più partenopei della serata, il raviolo caprese.
Comunque una bella storia, questa. L’idea delle pizze gourmet, firmate dagli chef. E la inarrivabile cosacca, tutto insieme qui in un ristorante tre stelle Michelin e mille altri riconoscimenti. Che belli i due Salvo. Professionali si, ma io ci ho letto anche un po’ di bella emozione. Lucciconi quando Francesco mi parla di suo padre, seduti in giardino. Si accalora sui temi della pizza, ma io lo porto sul personale e lì sbarella. Faranno un lavoro bellissimo, l’altra sera…
Pizze perfette, pochissime sbavature. Duecentocinquanta persone, ai bei tavoli all’aria aperta. Non sono paglia Lo dico senza pudore perché nei complimenti non devi essere peloso, finto: io i due fratelloni di San Giorgio a Cremano, letteralmente, li amo.
Dall’altra parte la corazzata Cerea produce anch’essa meraviglie, tutte in onore della Campania, fino ai loro straordinari dessert, che mi sono perso, perché, con una bottiglia di Ferrari gentilmente e ironicamente fornita dal mio amico Francesco Cerea, io e la deliziosa proprietaria di quel rombante quattroruote, ce ne stavamo andando…
La notte e’ giovane, ma va bene anche per i cinquantenni inoltrati. Piccionamenti, cit. Fabrizio Scarpato, piccionamenti….Bravi Salvo/ Cerea: l’altra sera mi avete dato delle bellissime emozioni. Rifatela, vi supplico!!!
Foto di Sergio Cima
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