di Marina Ciancaglini
Si può coltivare Pinot nero in Toscana senza andare all’inferno (anche in un’annata calda)? Forse sì, ce lo dimostrano i Vignaioli di Pinot nero dell’Appennino toscano
Il concetto di tradizione è difficile da definire: se preso alla lettera rischia di portare a una certa staticità ma che, se visto in modo dinamico, può diventare un contenitore di usanze, il nuovo che si amalgama e stratifica con il vecchio.
Parlando di vino, negli ultimi anni, si è assistito a un ritorno al passato, visto come una valorizzazione del vitigno autoctono e molte realtà vinicole, figlie di quegli anni ’80 e ’90 dove si è scelta una strada dettata più dalle mode o da fittizie esigenze di mercato, oggi si sono trovate a essere fuori contesto, omologate e, soprattutto, estranee al proprio territorio. Parlando di Toscana, prova ne sono stati i Merlot e Cabernet piantati in varie zone con ben altre vocazioni, che adesso faticano a trovare una propria collocazione identitaria, se non in blend dove, comunque, sono presenti in percentuali sempre minori.
Ovviamente, è stata la volta anche del vitigno dei vitigni, il Pinot Nero, tentato qua e là soprattutto da blasonate aziende con, spesso, l’unico risultato di far rimpiangere l’originale francese. Dobbiamo quindi sposare l’idea che il binomio autoctono/belloebuono vada sempre all’unisono? Ma, soprattutto, cosa vuol dire autoctono, parlando di una pianta che ha seguito, spesso e volentieri nella storia, i continui spostamenti umani? Un caso recente che potrebbe fare scuola è costituito dalle valli dell’Appennino toscano, le meno famose della mappa enologica toscana. E non a caso, visto che l’uva, il Sangiovese in particolare, fatica ad arrivare a maturazione. E’ qui che è nato, negli ultimi anni, un movimento di vignaioli che hanno capito che, in queste fresche valli, il nordico Pinot Nero non solo riesce a dare frutti ma ha anche un carattere unico e personale, un vino “diversamente toscano”. A chi già storce il naso, c’è da dire che il Pinot nero, qui, era stato portato dai Francesi al seguito di Napoleone e aveva anche attecchito ma era stato, in seguito, abbandonato a causa delle scarse rese. Gli 8 Vignaioli di Pinot Nero dell’Appennino Toscano, associati dal 2011, provenienti dalle valli montane della Garfagnana, Lunigiana, Mugello e Casentino, sono accomunati oltre che da una produzione artigianale (di media, sono aziende di 2/3 ettari), spesso biologica o biodinamica, anche da un intento di valorizzazione dell’intero territorio. Anche per questo hanno deciso di ospitare annualmente, in una location sempre diversa dell’Appennino, un’anteprima della nuova annata, simpaticamente chiamata Eccopinò. Nell’edizione 2014, dove è stata presentata la vendemmia 2011 agli addetti ai lavori, è stata la volta del suggestivo Castello di Poppi, nel Casentino.
Eccopinò 2014 – Appunti di degustazione
L’andamento climatico del 2011 è stato tutto meno che facile, con una fioritura che già aveva giocato in accelerazione, poi un inizio di estate buono, con temperature nella media e un clima secco, fino al grande caldo a partire da inizio agosto, che ha costretto alla raccolta a fine mese, una delle più anticipate nella memoria dei vignaioli presenti. In generale, nel bicchiere si ritrova un’annata calda, che riesce a contenere i toni sovra maturi – siamo comunque a qualche centinaio di metri sul livello del mare – ma che comunque tende a difettare in acidità e freschezza.
Ventisei – Il Rio (Mugello). Paolo Cerrini è stato il pioniere del Pinot Nero nel Mugello nei primi anni ’90 e il suo vino è forse quello che, più degli altri, ha trovato una quadratura del cerchio in termini di qualità e personalità. Il colore è quello che più “pinotteggia” della batteria, il naso è delicato, di fiori di geranio e petali di rosa appassiti che si lasciano inseguire dall’amarena e da piccoli frutti rossi. In bocca entra dolce, il tannino è fine, sul finale rimangono le spezie dolci e il tabacco. 90/!00
Silene, Voltumna (Mugello). Colore rosso rubino, leggermente scarico, il naso è di frutta matura, con qualche nota vegetale. Il vino è strutturato, con un tannino un po’ ruvido, non elegantissimo, un attacco morbido e prorompente, riequilibrato in parte da una punta di sapidità che, però svanisce sul finale. 78/100
Pinot Nero, Fattoria il Lago (Mugello). Un colore rosso porpora luminoso, al naso si sente la ciliegia, prima di tutto, successivamente emergono aspetti più balsamici e, infine di tabacco. In bocca c’è un buon equilibro tra dolcezza e sapidità, sul finale lascia un buon sapore leggermente speziato. 80/100
Gattaia, Terre di Giotto (Mugello). Bella scoperta il vino di questa giovane azienda, nata nel 2006. Di materia ce n’è: un naso dinamico, con fiori di geranio, ciliegia matura, china, caffè. La bevuta è fresca, sapida, il tannino ancora un po’ ruvido e il finale chiude con dolcezza. 89/100
Pinot Nero, Podere della Civettaia (Casentino). Forse il vino più pronto ed equilibrato in questa fase. Frutta, note balsamiche, timo, cacao danno un naso piacevole; in bocca la freschezza riesce a trovare da subito un amalgama con la dolcezza (che comunque caratterizza la 2011). Un vino che non difetta di niente ma che, in quest’annata, manca un po’ di “guizzo”. 88/100
Pinot Noir, Podere Concori (Garfagnana). Sorprende subito all’olfatto, l’unico che una volta lasciato ossigenare non si è aperto a sentori di tostatura e di spezie ancora poco amalgamati. Un campo di fragoline di bosco e di erbe aromatiche, con rimandi balsamici. In bocca si avverte la sapidità, il tannino è presente ma senza quella rusticità che avevo riscontrato nelle annate precedenti, il finale è vagamente dolce e lascia una bocca buona e pulita. 89/100
Pino Nero, Macea (Garfagnana). Un naso inizialmente non pulitissimo, che però recupera nel tempo lasciando spazio a frutti leggermente sovramaturi, stemperati di una certa balsamaticità. In bocca la piacevolezza è maggiore, con note calde e dolci supportate da una lieve sapidità anche se rimane un vino che ha risentito particolarmente dell’annata calda. 76/100
Melampo – Casteldelpiano (Lunigiana). Il frutto fatica a emergere sulle note eccessivamente vegetali, con qualche punta acidula. All’assaggio si riprende decisamente, con un impatto al palato leggero, fresco, un frutto dolce, peccato per la chiusura leggermente amarognola. 75/100
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