di Gianmarco Nulli Gennari
Per ripercorrere la storia di Montalcino e del suo vino principe, il Brunello, l’azienda Col d’Orcia rappresenta una tappa obbligatoria. Quindi non ci siamo fatti ripetere due volte l’invito a partecipare a una storica verticale allestita all’Hilton di Roma dalla federazione Italiana Sommelier per celebrare i cinquant’anni del marchio.
Qualche dato per sottolineare l’unicità delle dimensioni della cantina, in un terroir dove sempre più emergono realtà piccole e piccolissime: tenuta di 540 ettari, di cui 150 vitati, per un totale di circa 750 mila bottiglie all’anno tra Brunello, Rosso, supertuscans, Chianti, bianchi, Moscadello… e per concludere, quattro tipi di grappe e l’olio dalle tradizionali cultivar frantoio, leccino, moraiolo e olivastra. La vigna è posizionata nel quadrante sud della denominazione e sale dal fiume Orcia fin quasi a Sant’Angelo in Colle, a circa 450 metri d’altitudine, è protetta dalle correnti fredde dal vicino monte Amiata ed è beneficata dalle correnti marine provenienti dal Tirreno. I terreni sono caratterizzati da calcare e argilla. Dal 2010 l’azienda ha avviato, con grande impegno viste le dimensioni, la conversione al biologico grazie alla collaborazione dell’Università di Firenze. Da quest’anno il Rosso annata 2013 si avvale della certificazione.
La degustazione, condotta da Paolo Lauciani in compagnia del conte Francesco Marone Cinzano, la cui famiglia è proprietaria di Col d’Orcia dal 1973, parte proprio dal Rosso di Montalcino Bio 2013. La nota fruttata e floreale è evidente, parte fresco, buona sferzata acida ancora leggermente scomposta, tannino lieve, bella sapidità stemperata dall’alcool. 85. Il Brunello di Montalcino 2010 presenta all’olfatto un lato minerale, quasi affumicato, poi alloro e menta, frutti di bosco, frutta secca. In bocca è molto succoso, con tannino di grana finissima, già in beva, molto fresco, chiusura su sale e agrumi. “Equilibrato”. 89. Il Brunello di Montalcino 2006 ha un naso molto diverso, con note di tostatura, spezie come noce moscata, resina, ruggine. Al palato è molto saporito, materia leggiadra e puntiforme ma anche tanta “ciccia”. Paradossalmente meno pronto del 2010 ma più profondo in allungo. 90.
Poi si passa all’alfiere di Col d’Orcia, la celebre riserva Poggio al Vento, frutto di una selezione durissima da un vigneto del 1974 e progressivamente reimpiantato, unico, diverso dagli altri, spiega il conte, “sette ettari ricchi di fossili e calcio”. L’edizione 2007 è la più recente e ha un carattere boschivo, liquirizioso, leggermente vegetale, poi arriva un refolo di macchia mediterranea e la frutta (mela e ciliegia). In bocca si distende bene, la materia è enorme e ancora un po’ asciugante ma si avvia a un’ottima fusione, ritorni di cannella e tabacco nella lunga persistenza, “sporcata” solo da un filo di calore. Per il conte si tratta di “un’annata piccola”, per noi è un 90 pieno. La 2004 nel bicchiere è più scura, tabacco e camino spento all’olfatto, poi legno nobile, spezie dolci, tracce di salsedine. L’ingresso in bocca è sulle prime un po’ contratto ma poi allunga bene, con un tannino più muscoloso, di grande impatto. Ritorni ferrosi e di chinotto in chiusura. “The bomb”. 91.
Ancora qualche anno a ritroso, ed ecco la 2001. Non sappiamo dire se sia all’apice, di certo è in stato di grazia: cuoio, caffè in polvere, frutti rossi in confettura, viola appassita al naso, ma è al palato che rapisce e conquista, con un tannino saporitissimo e completamente integrato, forse con meno materia della 2004 ma con una spinta fresca e acida inesauribile, PAI da fuoriclasse. “La seduzione”. 93.
Ultima etichetta di Poggio al Vento in verticale, la 1995 è testimone fedele di un’altra epoca. Il conte racconta infatti che negli anni Novanta si osava un po’ troppo in termini di macerazione ed estrazione dei tannini e che all’inizio del nuovo millennio i protocolli aziendali hanno gradualmente virato verso uno stile meno muscolare. E infatti: alle note integre, dopo vent’anni, di timo e liquirizia, sottobosco e tabacco, succede una bocca più problematica, con tannino un po’ sabbioso e sorso meno sciolto del previsto; la chiusura è segnata dall’acidità ancora viva ma anche da una curiosa nota di cipria. “Fuori moda”. 86.
Il gran finale, culmine della celebrazione delle nozze d’oro tra questo storico marchio e il Brunello, è proprio la Riserva 1965. La bottiglia che ci è capitata, a differenza di altre meno fortunate, è di una bontà commovente: al naso si inseguono suggestioni varie, dalla nobiltà della china, delle radici amare, del tè nero, delle spezie (sembra di entrare in una kasbah…) a note meno invitanti di salsa di pomodoro. Ma è in bocca che fa emergere tutta la sua forza, con una freschezza grandiosa e un’energia trascinante, dalla struttura tannica ancora non domata. “Emozionale”. 94.
Col d’Orcia è in Via Giuncheti – 53024 Montalcino – Tel. 0577 80891 – www.coldorcia.it – info@coldorcia.it
Dai un'occhiata anche a:
- Etna e Barolo a confronto: eleganza e potenza da Nord a Sud
- Dieci Vini Bianchi della Campania interna del Mangia&Bevi 2024
- Cirò Revolution in dieci etichette in vetrina a La Botte di Caserta
- Dieci Taurasi da non perdere nella guida del Mattino 2024
- Vini Feudi Spada – Nuove annate
- Sagrantino Montefalco, report sull’Anteprima
- Fiano di Avellino: le 10 etichette selezionate dalla guida del Mattino Mangia&Bevi 2024
- “Tenuta Collazzi“ verticale in cinque annate