di Marina Alaimo
Cetara è uno dei miei luoghi del cuore, custode di ricordi gioiosi e intensi legati all’adolescenza e non solo. Con Gennaro Castiello, proprietario del ristorante Acqua Pazza, ci conosciamo da tantissimo tempo, siamo coetanei e ci frequentavamo ai tempi delle mie estati con la famiglia in costiera amalfitana. Andare a cena presso il suo ristorante, tinto in ogni piccolo particolare della cultura del mare e della pesca cetarese, ha riacceso con vigore tantissimi ricordi. Noto con immenso piacere che quel piccolo presepe fatto di case di pescatori, incastrate l’una sull’altra, una nell’altra spesso senza pudore alcuno, come in un puzzle fiabesco, è diventato un luogo del buon mangiare.
Già nel bar Miramare sulla spiaggia, il punto di riferimento un po’ per tutti gli habitué del paese, ci sono delle piccole, ma significative novità. Con l’aperitivo non si servono più patatine, arachidi o altri snacks confezionati, bensì le alici sotto sale preparate dalla nonna, come è consuetudine in gran parte delle famiglie del luogo. Questo particolare quasi banale sta a significare che la gente qui ha preso coscienza del grande valore delle tradizioni locali legate alla pesca ed agli usi gastronomici e le ha sapute esaltare con grande rispetto, ottenendo risultati entusiasmanti. Dico così in quanto negli ultimi anni il paese si è acceso di osterie, ristoranti, botteghe dei sapori, bar che in questo periodo dell’anno, e non solo, sono stracolmi di ospiti. Dai tavolini del Miramare lo sguardo si perde nell’ampio orizzonte che solo il mare sa donare e i pensieri volano lontano, leggeri e sereni. Si vede anche il porto dove sono ormeggiati i grandi pescherecci: le tonnare che hanno reso benestanti nel tempo la maggior parte delle famiglie di Cetara. Qui era fortemente in uso investire i propri soldi in carati sulle tonnare, fonte di ricchezza sicura e allo stesso modo si sosteneva l’economia della propria comunità e non quella di gelide banche affamate. Da ragazzini ci salivamo di notte in bilico sulle ripide passerelle e seduti sulle grandi reti guardavamo le stelle lasciandoci andare a racconti personali o ai programmi per i prossimi giorni. Non si stava mai fermi ed ogni mattina si partiva alla scoperta di questa o quella caletta rocciosa, ognuno con la sua canoa, chi con il windsurf o con il piccolo gozzo strappato con prepotenza ai genitori. Ho ordinato una granita di limone, come faccio ormai da … lasciamo perdere quanti anni. Era questo il bar di Pierino che oggi si è dedicato con successo alla produzione di ottimi spumoni, sì quelli che andavano di gran moda ai matrimoni negli anni 50 e 60. Mi convinco sempre più che invece di girovagare cercando spunti per scrivere, dovrei investire in una attività del gusto qui. Proprio con Gennaro ed altri amici, in alcuni giorni speciali, quando si riteneva necessario allontanarsi dal vociare del paese, raggiungevamo la parte più alta, rifugiandoci sotto i bellissimi limoneti a terrazza.
La salita a piedi era faticosa, ma una volta arrivati il piacere di godere di tanta bellezza, dei profumi intensi dei limoni, del silenzio, era profondamente appagante. Erano per lo più le donne a trasportare sulla testa le grandi ceste colme di limoni dalla buccia spessa e saporita che Pierino al bar Miramare mi aveva insegnato a tagliare a fettone e cospargerle di zucchero; diventavano un dessert prelibato. Nella piazzetta dove prendevamo in affitto la casa per le vacanze adesso c’è la Cuopperia della famiglia Torrente ed un gran via vai di clienti, ma anche una certa puzza di fritto. Mi ricordo molto bene di loro, con mia madre andavamo a comprare i piatti pronti di ritorno dalla spiaggia e già allora era famosissima la parmigiana di mamma Gilda, persona squisita e generosa. Poi hanno messo su il ristorante Il Convento che, come tutti sappiamo, Pasquale ha reso famosissimo facendo da traino a tutti gli altri luoghi del gusto nel piccolo borgo. La sua genovese di tonno è ormai un must della cucina campana, imitatissim da tanti. E ci sta. Proprio da lui ho incontrato una vecchia amica che frequentavo insieme a Gennaro. Ci siamo ritrovate dopo un bel po’ di anni, ci guardavamo incuriosite senza riconoscerci, poi l’ho inquadrata, mi sono presentata e lei è Mila Vuolo, produttrice di fiano dei Colli di Salerno presente in tutti i locali di Cetara. Ho voluto rivedere uno dei laboratori di trasformazione delle alici dove spesso andavo ad osservare per ore come le donne scapezzavano abilmente i pesci per poi disporli con mani sicure e sapienti sotto sale, nei tipici contenitori di terracotta. E qui gli odori non sono proprio piacevoli. Arrivo quindi a cena all’Acqua Pazza, il ristorante di Gennaro, i tavoli sono tutti prenotati, ma in due riusciamo comunque a sederci. E’ molto curato, di un verde brillante, elegante e tipico nelle ceramiche vietresi utilizzate per il pavimento. Sul tavolo due simboli emblematici di Cetara disponibili sempre per gli ospiti: i limoni e la colatura di alici.
Ho del buon tonno in tartarre, lo vuoi? Mi rendi felice perché io ne vado matta ed effettivamente è strepitoso. Non mi sono fatta mancare in antipasto le acciughe sotto sale condite con un olio extravergine di oliva delle colline salernitane davvero eccezionale.
Ancora il polpo lessato, pressato e poi affettato come fosse un salume, secondo una vecchia ricetta in uso lungo le coste campane, condito sempre con quell’olio buonissimo, e arance e mele a piccoli tocchetti per dare una bella spinta in acidità.
Poi gli spaghetti con le alici, uvetta, pinoli e colatura, dal sapore intenso, salino, di mare.
Il tonno e le acciughe sono il tema ricorrente sia nel menù che nei bellissimi racconti fotografici esposti alle pareti. C’è tanta gente e questo particolare ancora una volta mi fa notare quanto siano cambiate le cose perché quando trascorrevo qui le mie estati eravamo in pochi fortunati. Anche se in effetti il paese e gli abitanti hanno saputo preservare gelosamente, e diciamo pure con la loro tipica testa dura, la propria identità, lasciando intatto il fascino della loro amatissima Cetara. La torre angioina che dà il benvenuto all’entrata del paese è stata restaurata ed è proprio un bel vedere. E’ fiancheggiata da una lunga scalinata che conduce ad una bella spiaggia dove andavo in genere a fare il bagno il pomeriggio ed ero così ebbra delle bellezze della costiera che non mi è mai pesato salire e scendere quei gradini, anche più volte in un giorno.
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