di Marina Alaimo
Ammetto che quando leggo o sento il termine “terra dei fuochi” mi ribolle il sangue e lo sdegno brucia più della rabbia. L’uso smodato ed incosciente di questa espressione, utilizzata troppe volte per fare notizia e poche per cercare di risolvere il problema, ha riversato uno tzunami devastante sull’immagine dei prodotti della terra campana e di quanti vi si dedicano con fatica e passione. Ha fatto bene Gigi D’Alessio a ribadirlo nella sua fortunata chiusura di fine anno a Piazza Plebiscito: Campania terra dei cuori. Ma dove si trovano prodotti così buoni e salubri se non qui?
Sono tanti, tantissimi gli agricoltori, agronomi, vignaioli, produttori della filiera agroalimentare che compiono giorno per giorno il miracolo di preservare i meravigliosi prodotti della terra campana che puntualmente riscontrano grande successo ovunque vengano proposti.
Il suolo vulcanico, la vicinanza al mare, e quindi un clima mite e favorevole, lo scambio di culture e colture continuo nell’arco della storia con altri popoli, ha favorito una ricchezza di biodiversità straordinaria. La grande offerta di prodotti della terra, ma anche del mare, ha poi consentito lo sviluppo di una gastronomia particolarmente vivace ed espressiva. E’ sulle storie positive legate alla terra che voglio soffermarmi, visto il momento difficile conseguito al martellamento mediatico spregiudicato, spesso pericolosamente superficiale, sulla condizione del settore agro alimentare campano. Parto proprio da uno dei territori più martoriati, Acerra, dove la cooperativa Arca 2010, fondata da un gruppo di ricercatori EURECO, ha istituito la banca del seme di numerose varietà di verdure ed ortaggi tipici della Campania. Un patrimonio culturale legato alla salvaguardia e valorizzazione della biodiversità di grande rilevanza, al quale molti agricoltori si rivolgono perché intenzionati a portare avanti prodotti che abbiano una identità territoriale legata alla storia dei luoghi di appartenenza. Proprio qui si sono fatti importanti studi sul miglioramento dei pomodori san marzano e pomodorino del piennolo del Vesuvio, il nostro oro rosso richiestissimo in tutto il mondo.
Da questa banca molto singolare, preleva i suoi semi Bruno Sodano, anche lui agricoltore nel territorio tanto demonizzato dai paroloni sensazionalistici, Pomigliano d’Arco, mentre nei fatti le accurate analisi condotte sui suoli e sui prodotti dichiarano sano tutto ciò che qui la terra dona con generosità. E’ custode dei semi di due cultivar storiche del suo territorio, la papaccella napoletana, il peperone tondo e riccio, gustoso e delicato alla stesso tempo, e del fagiolo cannellino dente di morto, ma anche del peperone cornetto, della zucchina San Pasquale, della zucca lunga napoletana, degli antichi pomodori di Napoli. Mani e viso segnati dal lavoro nei campi e dalla frequente esposizione al sole, prodotti dal sapore indimenticabile, dalle forme inconsuete e spesso sconosciute a chi acquista dalla grande distribuzione. Eppure sono ortaggi, legumi e verdure che appartengono alla nostra cultura, ma che l’omologazione dei sapori ha cancellato velocemente dalla memoria.
Con lo stesso impegno, Marialuisa Squitieri, dopo la laurea in storia medioevale, torna all’agricoltura di famiglia a Poggiomarino, altra terra fertilissima e generosa, fondando Madrenatura. In questo periodo dell’anno è possibile trovare nel suo punto vendita L’Orto va in città, a Napoli in via Santa Chiara, le torzelle, antico cavolo acefalo, solo foglie dalla divertente forma a ventaglio, protagoniste della minestra maritata, alias pignato grasso, piatto di antica memoria contadina. Da lei si può assaporare ancora un dolce che fino a qualche tempo fa si incontrava con facilità nelle zone di campagna della provincia di Napoli: ‘o paniello, fagottino di foglie di fico ripiene di fichi secchi (rigorosamente della varietà “signorelle”), uva sultanina, noci e prugne secche, tutti coltivati e raccolti nelle ricche terre del Vesuvio, selezionati sin dai primi di agosto e lasciati essiccare naturalmente, scaglie di cioccolato fondente, scorzette di arancia candite, il tutto condito da vin cotto. Sia Bruno che Marialuisa lavorano secondo i principi di una agricoltura sostenibile, che investe sul rispetto dell’ambiente perché intendono tramandare ai postumi un territorio sano, o almeno ci sperano. Troverete l’esile Marialuisa in bottega di buon mattino scaricare personalmente le cassette con i prodotti che ha raccolto insieme alla madre ed al padre all’alba in campagna. Poi parte per le consegne al gruppo di acquisto solidale e poi organizza incontri nel suo negozio con altri produttori perché crede molto in quello che fa e ci tiene a comunicarlo a quanti passano in zona.
Un’altra piccola e grande storia legata all’agricoltura è quella di Silvio Carannante che ha inseguito il proprio sogno di trasferire in Giappone una importante rappresentanza di biodiversità campana fino a fondare Tenuta Campi Flegrei con incredibile successo. Inseguendo l’amore per la sua Ai Hanada, a Fukuoka comincia a coltivare su terreno in affitto friarielli, broccoletti neri, broccolo di Natale e ravanelli. L’impatto sulle papille gustative dei giapponesi è stato folgorante ed oggi è arrivato a produrre circa cento varietà di ortaggi e verdure per lo più tipiche della provincia di Napoli, molto richiesti nella ristorazione ed in importanti punti vendita giapponesi.
A Castel Volturno, nel terreno confiscato ai Zaza, oggi presìdio Libera, i ragazzi delle Terre di Don Peppe Diana si sono inventati un metodo singolare e goloso per diffondere i princìpi della legalità in casa del boss. Producono ottima mozzarella di bufala campana dop, biologica, richiestissima. Hanno imparato personalmente a filare e mozzare questo latticino dal sapore irresistibile, che riscontra sempre grande successo.
A San Sebastiano al Vesuvio c’è Domenico Filosa con l’associazione UNIPAN, di cui è presidente, a riscattare il valore di questo pane straordinario sul quale spesso la camorra impone il controllo. Oggi nel suo panificio c’è sempre la fila, un po’ perché il suo pane è buonissimo, un po’ perché il sapore della legalità piace sempre di più alla gente.
Spesso le storie dal risvolto straordinario hanno inseguito l’amore, come è successo a Silvio Carannante, ma anche ad Ida Budetta e Mario Corrado che a Punta Tresino, piccola frazione di Castellabate in Cilento, hanno impiantato una delle aziende vitivinicole più affascinanti d’Italia dove producono Tresinus
, un fiano di straordinaria bellezza, venduto ad un prezzo ridicolo. I vigneti dell’Azienda Agricola San Giovanni guardano il mare dalla ripida collina sulla quale Ida e Mario hanno scelto di vivere a contatto con la natura, dopo aver abbandonato Salerno e le rispettive professioni di avvocato ed architetto.
Sempre in Cilento c’è Giovanna Voria che a Corbella ha salvato il cecio di Cicerale, riproducendolo con proverbiale pazienza e dedizione, raccontandolo nelle molteplici ricette proposte nel suo agriturismo e nei tanti viaggi in giro per il mondo. Anche i suoi ceci sono ricercatissimi e non riescono a ricoprire la crescente richiesta. Giovanna è estremamente umile e generosa, di personalità forte e sensibile allo stesso tempo e non si stanca mai di parlare dei suoi ceci e dei meravigliosi fichi bianchi cilentani con i quali produce un pane appena dolce dal sapore memorabile.
In uno spazio caratterizzato da forti contraddizioni, Raffaele Moccia cura le sue vigne centenarie dalle quali ricava vini che nessuno immaginava così straordinari. Forse nemmeno lui. Siamo ad Agnano, quartiere a nord di Napoli, devastato dalla speculazione edilizia e proprio sulla bocca del cratere Agnanum, su strette terrazze sabbiose e particolarmente friabili, Raffaele, insieme al padre ultraottantenne, si dedica ai vecchi filari a ritmo di zappa, per evitare che franino. Pur essendo il suo vino così coinvolgente, emozionante nelle lunghe evoluzioni, non ha incuriosito le istituzioni locali. Eppure questa realtà dovrebbe essere motivo di orgoglio per la città di Napoli che possiede i terreni confinanti con quelli di Raffaele, totalmente abbandonanti e quindi spesso causa di pericolosi incendi e di diffusione di malattie infestanti per la vegetazione. Basterebbe darli in affido a questo bravissimo vignaiolo perché li trasformi in bellissimi vigneti cittadini, capaci di generare ottimi vini che parlano di Napoli.
Uno dei migliori oli extravergini di oliva italiani si produce sulle Colline salernitane: l’olio Torretta. Certo il 2014 è stato un anno terribile per chi si dedica all’olivicoltura, quasi da dimenticare. Nella frazione Torretta di Battipaglia, la cooperativa Torretta ha sempre puntato ad una qualità altissima del proprio olio ed ha aperto il Bar a Huile, il primo bar dell’olio, dove vengono proposti cocktails a base di olio, di colore mediterraneo, per cercare di diffondere il più possibile il grande valore di questo prodotto. Un’idea innovativa e ben riuscita affianca il grande lavoro dedicato a preservare gli olivi secolari che generano un olio così prelibato e salutare.
Ce ne sono ancora tante e tante di storie intraprendenti ed appassionati legate alla meravigliosa terra campana, che generano prodotti dal sapore unico, dalla storia antica, richiestissimi nelle cucine dei grandi chef e delle trattorie o pizzerie tornate così in voga in questo periodo. Basta andare a cercarle, allungare lo sguardo oltre il naso e scegliere di non essere un consumatore pigro e miope, ma sostenitore di quella Campania che funziona e ci fa sperare in tempi migliori. Si può!
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