di Giustino Catalano
Ho sempre pensato che le cose più affascinanti accadano proprio nei luoghi di confine, in quelle terre che “tagliano” culturalmente la linea netta delle proprie tradizioni con quelle della regione immediatamente limitrofa.
Melfi è sicuramente uno di quegli esempi. Ai piedi del Monte Vulture, vulcano spentosi più di 3 milioni di anni orsono, dista solo una manciata di chilometri dalla Campania e dai centri di Monteverde e Aquilonia, ben rappresentando la Lucania simbolo dei vini e dei sapori più antichi.
Qui la famiglia Sonnessa, padre e due figli, gestisce l’Agriturismo La villa, un bellissimo ed accogliente locale posto di poco defilato dalla Via per Rocchetta.
Grani, uova, ortaggi e molto altro sono di propria produzione. E fin qui tutto normale direte. Effettivamente si potrebbe concordare con voi se non fosse per il fatto che la tipologia di ristorazione proposta è abbastanza lontana dagli Agriturismo soliti.
I piatti della tradizione, serviti tal quali, sono sovente rivisitati o alleggeriti in maniera delicata e curata al punto tale che ci si dimentica di essere in agriturismo e si ha la sensazione di trovarsi in un ristorante di buon livello. Grande supporto affinché ciò accada è dato anche dalla professionalissima presenza in sala di Michele Sonnessa e due sue gentili collaboratrici. In cucina il papà Vito e l’altro figlio.
La mise en place, semplice e curata, se da un lato conferisce alla sala un tono di eleganza non tradisce minimamente la cultura contadina che i luoghi e il locale intende promettere con il posto tavola in paglia intrecciata e il tovagliolo tenuto chiuso con una molletta di legno per i panni.
L’occasione della visita è ghiotta atteso che sediamo al tavolo con Vito Paternoster della omonima Azienda vinicola. I vini che delizieranno il nostro percorso gastronomico saranno i suoi in un cammino che dal Biancorte ci traghetterà sino al mitico Don Anselmo.
“Vi faccio provare la nostra cucina”, queste le uniche parole di Vito Paternoster. Il dopo è da incidere sulla pietra lavica dei luoghi a futura memoria. Nel frattempo sul tavolo trova posto nell’immediatezza un cestino con un profumatissimo pane locale e gli immancabili taralli.
Inizia così, in pieno stile lucano, una vera e propria escalation di piatti.
Le fresche mozzarelline vaccine arrivano assieme a delle ricottine, delicate e fini come la seta, accompagnate dalla tradizionale salsiccia melfese al finocchietto stagionata. E’ poi la volta di un sottofiletto di vitellino con mela glassata allo zucchero di canna, scaglie di caciocavallo podolico ed erba cipollina. Un piatto semplice ma di rara delicatezza e bilanciamento.
Finiti gli antipasti freddi, ma sempre senza soluzione di continuità, è la volta di quelli caldi.
Ottima la melanzana panata all’origano e delizioso il peperone panato all’acciuga scomposizione dell’antico “peperone ripieno alla povera” che caratterizza l’ancestrale cucina contadina che da qui traccia una linea continua che attraverso l’alta Irpinia giunge fino al cuore del Sannio dal quale provengo. Sapori di casa. Non da meno quella che io definisco la “meravigliosa banalità”: la patata alla brace servita con un filo d’olio extravergine d’oliva.
Non finiamo di dividerci gli assaggi che sul tavolo giungono i lampascioni e cruschi, piatto appulo lucano per eccellenza. Da qui la tradizione incontra degli alleggerimenti. Sformatino di verza con cuore di ricotta al basilico e salsa di basilico e peperone dove i sapori netti e marcati della verza sono coniugati alla delicatezza del cuore caldo di ricotta e dalla freschezza del basilico e l’involtino della nonna, un piatto tipico della tradizione melfese rivisitato, dove alla pasta di pane è sostituita la pasta fillo che racchiude patate, funghi cardoncelli e salsiccia al finocchietto.
Compare giusto a suggello di tanta grazia, poi, un uovo in camicia con zucchine e cipolle, figlio dell’antichissima colazione contadina costituita da uova strapazzate, verdure e cipolle. Il Fiano di Basilicata IGT Biancorte ci ha accompagnati lungo tutto il percorso senza mai una smagliatura o un cedimento, a riprova del fatto che è un grande bianco.
Ma non finisce qui. Ora è la volta dei primi. Siamo in Lucania e come non mangiare Pasta rape e pezzente? Qui alla pasta semplice si sostituiscono dei ravioli di ricotta che non appesantiscono il piatto ma, inaspettatamente, lo rendono ancor più affascinante e godurioso.
E’ poi la volta degli Strascinati con il ragù di lepre e cinghiale serviti in un cappello di prete dove sul bordo, non casualmente, trova posto una strisciata di polvere di olive nere.
Infine un piatto delicato. Cavatelli al pesto di basilico e pistacchio serviti in un “boccacciello”. Non stupisca il pistacchio in Lucania. A meno di 100 chilometri c’è Stigliano terra di pistacchi gustosissimi. Nel frattempo Paternoster guarda fuori dall’ampia finestra in una giornata di sole splendida e racconta la sua terra con lo stesso amore di chi narra il suo amore per una donna.
Arrivano i secondi. Un soffio chiaro e marcato dei sapori della tradizione. Galletto al vino bianco, Capretto alla brace e Baccalà alla treniera. Quest’ultimo un altro piatto che attraversa il confine. Del baccalà servito con uno sfritto di olio, aglio (che si mangia) e peperoni cruschi. I cruschi sono cotti magistralmente ed è cosa assolutamente non facile. Il Don Anselmo intanto in tutta la sua potenza ed eleganza la fa da padrone indiscusso dando un sigillo di garanzia ad ogni portata.
Vorremmo smetterla qui ma un “dovete assaggiare assolutamente i dolci” ci fa capire che non è possibile.
Arriva un pre-dessert e capisco che sarà la fine! Cestini di pasta frolla con gelato artigianale bagnato con salsa di amarene e vino cotto.
Infine i dolci. Tutti serviti con creatività e decori che qui non ti aspetteresti e non pretenderesti. La millenaria Ricotta con il miele di castagno e la Cupoletta al cioccolato con croccantino mandorlato.
Arriva poi il caffè. Servito direttamente a tavola con le moka di casa e le presine della nonna per non scottarsi.
Davanti a me il Don Anselmo nel bicchiere e Vito Paternoster attraverso di esso che non so se guarda me o il suo vino. Poco importa. Sto bene, in buona compagnia e deliziato da un pranzo come non facevo da molto tempo.
Torno a casa e vedo che Il Sole 24 ore nel tracciare la mappa delle eccellenze presenti ad Expo 2015 nella parte afferente la Basilicata non ha messo nulla. Vabbè … sarebbe lungo spiegargli tutte queste cose. Forse non capirebbero nemmeno.
Agriturismo La Villa
C.da Cavallerizza (adiacente SS 303 verso Rocchetta)
85025 Melfi (PZ)
Tel. 0972.236008
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