Vista: 5/5. Naso 24/30. Palato: 26/30. Non omologazione 30/35
Cosa rende il Greco di Tufo tanto forte sul mercato? A parte la marcata mineralità al naso e la sapidità in bocca è difficile che questo bianco possa impressionare per complessità, eleganza e finezza.
Eppure è stata proprio l’uva piantata sui suoli argillosi ricchi di zolfo lungo la valle del Sabato a tirare la volata ai vini irpini e campani dopo la crisi del metanolo. La spiegazione è molto semplice e diretta: è un vino utile.
La sua acidità, coniugata alla impressionante struttura che per estratti arriva anche a 25 in alcune annate (per capirci il rossi più leggeri sono a 28-30) è in gradi di aggredire quasi il cento per cento dei piatti dell’alta ristorazione e gran parte delle ricette della tradizione italiana, al netto di quelle magari un po’ troppo pomodorose.
Come sempre, ci sono due scuole di pensiero. C’è chi privilegia la mineralità e i toni salati della bocca e chi, invece, cerca polpa e struttura per sostenere la freschezza e non lesina richiami dolci purchP non stucchevoli. Insomma, per tradurla in modo semplice: c’è chi la limonata la preferisce con lo zucchero e chi senza.
Stefano Di Marzo ha studiato Enologia a Firenze, aveva 25 anni quando ha iniziato a produrre Greco di Tufo lavorando le vigne, concentrate prevalentemente nelle località Campanaro e Vigna (sopra le antiche miniere di zolfo di Tufo) con risultati eccellenti. Abbiamo seguito con passione questo giovane enologo che annuncia il suo ingresso nella maturità con un fantastico Greco di Tufo pieno, lungo, di corpo, fresco, assolutamente interessante e da bere a fontanella nei prossimi mesi se lo abbinate alla bella cucina di mare, da quella straordinaria e onirica di Moreno Cedroni a quella tipica e semplice dei ristorantini di Cetara. Un gran bel bere pop, che unirà esperti e semplici appassionati, anche molti astemi proprio perchè in questo caso il vino è stimolante per il mangiare meglio. In fondo a questo serve un vino utile. O no?
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