di Sara Cordara*
C’è chi ha avuto la fortuna di nascere con la passione intrinseca del buon cibo e c’è chi, al buon cibo, ha deciso di dedicare la vita intera dopo un percorso scolastico e universitario, diventando il suo migliore interlocutore.
Ma cosa li accomuna? Il fatto di essere entrambi dei gourmet. Il vero gourmet è colui che è riuscito a educare e civilizzare le sue papille gustative perfezionando la vista, il tatto, l’udito e l’odorato. C’è poi chi è gourmet senza saperlo o chi crede di esserlo pur non essendolo. Ma questo è un altro discorso.
Tra i gourmet che hanno dedicato la loro vita a studiare e a osservare il cibo c’è l’interessante categoria dei critici enogastronomici. Figure professionali che sanno bene quanto il cibo possa anche essere il loro peggiore nemico.
Proprio così; perché se da un lato non si conosce un’occupazione migliore del mangiare, cioè, “del mangiare veramente”, come sosteneva Gioachino Rossini – a mio parere il più grande esperto di culinaria tra gli artisti del pentagramma – dall’altro lato il cibo ha la capacità di deformare un corpo (in alcuni casi in maniera orrenda) gradatamente. Spesso si sottovaluta il problema, perché di fronte a una tavola imbandita di prelibatezze mangerecce, il cibo vince sempre.
Ma la salute del gourmet potrebbe essere appesa a un filo. Il cibo ha il potere di innalzare colesterolo, trigliceridi e acidi urici nel sangue o di richiamare la tua attenzione la mattina sulla bilancia con un secco 105 kg!
Non dimentichiamoci che il gourmet appartiene all’universo maschile e a quello femminile; ma, in quest’ultimo caso, il discorso differisce leggermente. Il rapporto che la donna ha con la buona tavola è sempre (o quasi) supervisionato dal timore di mantenere la linea snella: questo è uno dei fattori che frena meglio in qualche modo la donna a qualsiasi eccesso a tavola.
C’è un altro aspetto da tenere in considerazione. Mentre il gourmet appassionato può selezionare il ristorante, magari convogliando la sua scelta sul pesce o su una cucina prettamente salutistica, in cui ad esempio l’utilizzo di certi condimenti o di alcune modalità di cottura sono banditi, il gourmet professionista non ha libero arbitrio. All’apertura o alla segnalazione di un ristorante, professionalità vuole che egli vi si rechi, valutando dettagliatamente il menù proposto. Con il “rischio” di dover assaggiare piatti saporiti, gustosi e non sempre amici della linea. Il giornalista enogastronomico non può percorrere la strada di affermare: “Assaggio solo i piatti considerati light o leggeri”, perché il suo ruolo esige l’analisi e la valutazione di più piatti possibili. A fronte di tutto ciò, il gourmet ha qualche speranza di convivere pacificamente con cibo e vino senza accumulare adipociti sul giro vita? Prima di rispondere vorrei fare una breve premessa. Se pensate che per dimagrire è necessario rivolgervi solo a un bravo nutrizionista, vi sbagliate. In Francia, già da diversi anni andare a dieta dallo chef, ha trasformato l’avvilimento e la depressione da barretta ipocalorica o da beveroni misteriosi, in un’occasione imperdibile per coniugare gola e benessere fisico. Certo, i primi tentativi di dare dignità e godimento ai menu dietetici sono nati presso i centri termali.
Ma oggi non c’ è ristoratore che tremi all’ arrivo del cliente a regime. La cultura gastronomica si sta evolvendo, se è vero che alcuni tra i migliori cuochi italiani hanno fatto propri i concetti inerenti la “cucina salutistica”. Esistono degli chef che già da anni offrono una serie di piatti di cucina creativa (e appagante) a 400/500 calorie. Alla fine, sono felici sia il cuoco che il cliente. La cultura gastronomica italiana, da questo punto di vista, è però naturalmente più avanti di quella francese, per anni offuscata dall’ utilizzo smodato della panna e delle salse. Noi abbiamo l’olio extravergine in pugno e onnipresente.
Nonostante lo chef sia sempre più scrupoloso alle richieste di piatti salutari da parte della clientela, la risposta alla mia domanda: “il gourmet ha una minima possibilità di non ingrassare?”, io rispondo di sì. Ma solo se, invece di consumare l’intera portata a disposizione, imparasse una volta per tutte ad assaggiare soltanto. La stessa tecnica utilizzata dal sommelier professionista.
Il quale, evidentemente, non risulta ubriaco al termine di una degustazione di più vini. Anche perché la media di uscite lavorative al ristorante “può ammontare anche a quattro volte alla settimana”, parola di Luciano Pignataro, uno che di cibo se ne intende.
Il mondo dei golosi è diviso in due settori, totalmente sbilanciati tra loro:
da una parte, i pochissimi fortunati che sguazzano tra le calorie restando magri come acciughe. Dall’ altra, i tanti, troppi dannati della bilancia. Se il desiderio del gourmet è di godersi una cena di lavoro coi fiocchi, senza ingrassare di un solo grammo, almeno che prediliga delle sogliole al vapore e del caffè non zuccherato macchiato con il latte, tirando un po’ la cinghia durante la restante settimana. Ma soprattutto che pratichi dello sport. Si, perché il gourmet “maschio” è pigro, ma talmente pigro da lasciare la macchina posteggiata di fronte al ristorante durante un sopralluogo.
A mio parere ci sono tre regole imprescindibili che il gourmet deve tenere in considerazione per non ingrassare:
1) non accettare alcun tipo d’invito al di fuori dei pranzi e delle cene di lavoro, fingendosi perennemente ammalato o non reperibile;
2) ridurre al minimo il consumo di alcol tra le mura domestiche.
3) mai, e ribadisco mai, andare a digiuno a testare un ristorante.
A fronte di ciò, chi potrebbe anche salvare l’aspetto asciutto e agile di un giornalista enogastronomico? Forse anche le allergie o le intolleranze a certi alimenti. Il rischio di shock anafilattico nei confronti dell’ingestione di latticini piuttosto che dei lieviti contenuti in pane e prodotti da forno, sarebbe un alibi perfetto durante l’ispezione di un ristorante. Ma si tratta, ovviamente, di un paradosso.
Per i gourmet più difficili e capricciosi, ci sono poi le soluzioni estreme:
il palloncino e il bypass gastrico. Il palloncino è una metodica non propriamente chirurgica impiegata per ottenere una temporanea perdita di peso.
E’ un dispositivo di forma sferica in silicone che viene posizionato per via endoscopica nello stomaco al fine di agevolare la perdita di peso in chi è affetto da forme gravi di obesità. Il palloncino gastrico mediante il riempimento parziale dello stomaco, provoca un senso di sazietà tale da indurre a mangiare minori quantità di cibo. Tuttavia l’inserimento del palloncino non è indicato per tutti i soggetti affetti da obesità e sovrappeso in quanto i rischi associati superano di gran lunga i benefici. A questo proposito il gourmet può allora optare per il bypass gastrico, che è invece un intervento di chirurgia bariatrica di tipo misto ad azione prevalentemente funzionale, in quanto raggruppa le due componenti d’azione di “gastrorestrizione” e di “malassorbimento”. L’intervento determina calo ponderale grazie alla riduzione della quantità di cibo introdotto e provoca una sensazione di sazietà al paziente.
Di gourmet belli corposi in Tv se ne vedono a iosa. E infatti mi rivolgo proprio a loro in modo che diano il buon esempio: non c’è nulla di più sbagliato che pensare di visitare un gran numero di ristoranti l’anno, con una certa leggerezza e con l’idea che nessun piatto sia troppo grasso e faccia aumentare di peso.
Il risultato? Dieci kg in più in un mese. Assodato.
*Nutrizionista – specialista in scienza dell’alimentazione
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