di Tonia Credendino
Falerno. Sicuramente un nome che evoca una storia millenaria legata al più antico e famoso vino della Roma Imperiale, prodotto alle pendici del Monte Massico e proveniente dai torchi di Sinuessa. Da notizie delle fonti antiche, sappiamo che il vino era prodotto nel cosiddetto “Ager Falernus” in tre differenti località e secondo Plinio e Catullo con una sola varietà di uve.
La qualità era data dalle particolari caratteristiche pedologiche dei terreni della catena massicana.
La forza, il colore, l’aroma e il sapore del vino, ancora oggi ricavabili dagli scritti antichi, soprattutto di Orazio, sono tutt’ora motivo di studi approfonditi. Essi erano descritti come severus (denso), fortis (forte), ardens (ardente). Quest’ultimo termine va riferito verosimilmente al forte tenore alcolico presente nel prodotto.
Con il passare degli anni le caratteristiche del punto precedente divenivano più marcate e, con l’invecchiamento in anfora, doveva poi formarsi il tipico sapore amaro, che a detta delle fonti, in alcuni casi veniva mitigato dall’aggiunta di miele di Hymettos, una nota località dell’Attica.
Con questa procedura i Romani non volevano semplicemente “addolcire” e mistificare il sapore del vino, ma bensì si voleva dare al Falerno, una ulteriore nota di mistero e di qualità capace di nobilitare le origini del vino, arricchendole di significati simbolici rappresentati dell’unione della forza latina con la dolcezza greca.
Si amava, nel mondo romano bere il Falerno invecchiato e della leggendaria longevità di questo vino si ha una preziosa testimonianza nel Satyricon di Petronio quando Trimalcione parla di un Falerno addirittura invecchiato di 100 anni.
Esistevano dunque tantissimi modi di bere vino anche attraverso le numerose “bevande” che da esso derivavano, tuttavia, va detto che il modo più apprezzato rimaneva, presso i Romani, quello di berlo puro o leggermente lavorato per migliorare la qualità.
Il Falerno è stato uno dei quattro grandi vini insieme al Chio, Cecubo ed Albano, che Cesare offrì al popolo in occasione dei suoi trionfi.
Il Falernum vinum, presentava tre sottodenominazioni, il Falerno propriamente detto, il Caucinum e il Faustianum. Esisteva anche una distinzione per tipologia: audterum (un po’ astringente), dulce e tenue.
I termini più impiegati per definire il colore (nigro et fusco Falerno) si riferivano di norma a Falerni molto vecchi, dolci, aderizzati e bruni per l’età.
Plinio il Vecchio affermava che nell’area di produzione del Falerno, esistevano tre tipologie di vini: Caucinum prodotto in alta collina; Faustianum prodotto nella fascia pedocollinare e Falernum
prodotto nei terreni di pianura.
Inoltre distingueva i vini in ulteriori tre categorie a secondo della loro struttura, ed in particolare: Austerum (forte), Dulce (dolce) e Tenue (leggero).
Ad oggi, in considerazione del fatto che esistono molte unità produttive dislocate in tutta l’area del Falerno, potrebbe essere interessante verificare quanto sopra citato per meglio capire l’influenza che il terreno e l’altimetria esercitano sul vino Falerno.
E potremmo continuare ancora per molto con le affascinanti affermazioni di filosofi e scrittori dell’epoca, ma il nostro obbiettivo è parlare del Falerno dei nostri giorni, legato in maniera indissolubile a quel territorio che per tanti secoli ha fatto parlare di sé: l’Ager Falernus.
Un nome che oggi è fortemente legato alla rinascita di questo antichissimo vino è Nicola Trabucco, Agronomo ed Enologo che da quasi un ventennio, vive ed opera nella sua terra d’origine, l’Ager Falernus, sostenendo ed avviando nel settore viti-enologico tante piccole realtà produttive, cariche di entusiasmo e voglia di emergere. Negli ultimi dieci anni il numero di aziende produttrici di questo rinomato vino è passato da 2 a 24, di queste più della metà sono seguite in tutte le loro fasi produttive da Nicola Trabucco, contribuendo in maniera significativa ad incrementare la massa critica sul mercato, mantenendo nel contempo un elevato livello qualitativo intrinseco del prodotto finito.
Qualità dovuta principalmente a due fattori: il primo, fondamentale e non esportabile come il territorio dell’”Ager Falernus”, disposto tutt’intorno al massico calcareo di Monte Massico, alle pendici del vulcano spento di Roccamonfina, e bagnato dal mar Tirreno, ricco di materiale vulcanico ed acque termali. Il secondo legato alla convinzione di Nicola Trabucco che il miglior vino è sempre quello che esprime, senza compromessi, il territorio da cui proviene senza che l’interferenza umana possa stravolgere e/o modificare in alcun modo le note gusto-olfattive tipiche del terroir di provenienza.
In degustazione:
1. Angelus ‘07 Fattoria Pagano- Carinola
2. Tuoro ‘06 Volpara- Tuoro di Sessa A.
3. Rapicano ‘08 Trabucco- Santa Croce di Carinola
4. Ranfino ‘07 Dionigi Paonessa- Gusti di Sessa A.
5. La Pera ‘08 Brunigli Galco –Cascano di Sessa A.
6. Mille880 ’08 Bianchini Rossetti – San Paolo di Carinola
7. Don Gennaro ’07 Cantina Capizzi- Piedimonte di Sessa A.
8. Campierti ’08 Zannini- Falciano del Massico
Il confronto è servito non ha decretare quale fosse il miglior vino tra questi, bensì a far comprendere ai presenti che la struttura del vino Falerno può avere buona durata nel tempo ma anche che il suo corredo organolettico lo rende bevibile sin da subito, a differenza di altri vini che invece necessitano di lunga maturazione ed affinamento per poter acquisire una identità e quindi essere bevuti.
La degustazione comparata di questi vini ha mostrato differenze sostanziali di personalità e carattere. Se proprio devo sottolineare un filo conduttore comune direi, sicuramente, la ricerca, talvolta un po’ quando, ovviamente, protagonista nell’uvaggio.
I vini che mi sono piaciuti di più sono stati il Don Gennaro di Cantina Capizzi, ottima l’annata 2007, rubino carico dai toni purpurei, il naso è immediato, ben calibrato, con in evidenza una nota di frutta schietta, prugna “aglianicosa” e sentori d’incenso. Il palato è altrettanto schietto, di buona dinamica gustativa, ma con un tannino ancora molto presente, leggermente rustico secca le fauci e ne delinea il profilo, di buona persistenza, affinato in barriques di rovere per dodici mesi. Tuoro di Volpara vino di grande struttura ed eleganza nato dai terreni tufacei vulcanici delle colline di Tuoro, il più alto, di colore rosso rubino con sentori empireumatici e balsamici intensi e persistenti.
Meno emozionali ma tecnicamente ineccepibili Bianchini Rossetti località Venezia che guarda al mare, elegante nota tostata, fumé, ben fatto non particolarmente ampio, nè complesso, corto, causa la giovinezza e le barriques non nuove. Paonessa molto concentrato, naso cosmetico e frutto balsamico ottenuto dalla vinificazione delle proprie uve coltivate sulle colline di Cascano di Carinola. Rapicano di Trabucco voluminoso e potente, di grande spessore, nonostante la giovane età, con un ventaglio di profumi intensi e persistenti con sentori speziati balsamici e di frutta, per gli amanti del genere con venature vegetali non finissime, affinamento in barriques per 10/12 mesi, in bottiglia 6 mesi a 6 m di profondità.
Merita una segnalazione Campierti di Zannini primitivo in purezza che dopo un’opportuna messa a punto ed un’annata più favorevole potrebbe regalare, in futuro, qualche piacevole sorpresa inizio non particolarmente entusiasmante di mais bollito e vegetale “cotto”. Con l’ossigenazione si delinea con maggior precisione il frutto pur sempre dai toni surmaturi, quasi passito. Al palato risulta abbastanza sapido e lungo, contrastando, positivamente, le sensazioni dolci del naso. A bicchiere vuoto emerge una bella nota floreale ed una delicata mineralità.
Angelus di Pagano è rosso rubino cupo, strutturato, accentua le note di ciliegia, ribes e sottobosco, un soffio di cenere ricorda il vulcano di Roccamonfina.
L’evento è stato organizzato dall’AIS Caserta Eventi presso l’Hotel Crown Plaza Caserta Viale Lamberti.
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