di Raffaele Mosca
L’ insostenibile leggerezza del Nebbiolo nella prima degustazione dell’anno a firma Riserva Grande che, vista la filosofia del produttore protagonista, diventa anche incredibile trasparenza, ovvero abilità più unica che rara d’interpretare uno dei più grandi territori vinicoli del mondo senza particolari stilemi.
Sono assolutamente convinto del fatto che, se in Langa tutti i produttori fossero come come Mauro Mascarello e figli, titolari della storica azienda Giuseppe Mascarello, Barolo e Barbaresco avrebbero poco da invidiare alla Cote de Nuits. Purtroppo, però, lo scontro tra tradizionalisti, modernisti e tutto ciò che sta del mezzo continua ad essere un fattore determinante. L’uso della barrique, le macerazione con o senza rotomaceratore, le estrazioni più o meno gentili, prevalgono in molti casi sull’espressione del tanto osannato terroir, ed è così che vini prodotti dallo stesso vigneto mostrano spesso profili radicalmente differenti. Non che la variabilità stilistica sia un male assoluto, ma, fatta eccezione per poche vigne dove c’è più omogeneità – prima tra tutte la Vigna Rionda – per le altre M.G.A. risulta ancora difficile fare un discorso d’insieme come lo si potrebbe fare per un Cru di Vosne Romaneè o di Chambolle Musigny.
In questo scenario, l’oramai 86enne Mauro Mascarello continua a fare scuola. Se ne parla spesso come del più modernista dei tradizionalisti, perché, pur essendo stato ostinatamente contrario ad ogni deriva esterofila, ha abbracciato da subito l’idea di Barolo da singola vigna, rinunciando del tutto alla produzione del tradizionale assemblaggio di più parcelle. Ma nel fare questo ha saputo davvero distinguersi per la capacità di tirar fuori l’anima del Cru, producendo vini che, a fronte di una vinificazione pressappoco identici, sfoggiano caratteristiche molto diverse.
Il segreto sta anche nel pedigree delle parcelle di proprietà: a partire dal Monprivato, un quasi monopole che si trova proprio al centro della DOCG Barolo, sui crinali del comune di Castiglione Falletto. Il cosiddetto versante “tortoniano” di La Morra incontra in questa zona quello “serravalliano” che va verso Serralunga, dando vita a suoli di “compromesso”: ricchi di substrato sabbioso come quelli del primo settore, ma anche di marne e argille come i secondi. I vini sono il riflesso di questa sovrapposizione: profumati, delicati e allo stesso tempo dotati di energia e rigore tannico che li rendono particolarmente longevi.
Quanto allo filosofia aziendale, non c’è molto da dire se non che Mauro, oggi affiancato dal figlio Giuseppe junior, opera in maniera strettamente conservatrice, rifuggendo qualunque moda. “ Nonostante l’età, Mauro continua a vinificare Monprivato e Ca d’Morissio, il Cru dalla parte della vigna a ridosso della cascina del nonno – spiega Marco Cum, organizzatore della Masterclass nell’ambito di Nebbiolo del Cuore – Giuseppe, invece, si occupa degli altri vini, compresi i Barolo Villero e Perno, ma dall’assaggio s’intuisce chiaramente che la filosofia è la stessa e lo stile praticamente uguale”.
Tra le scelte più singolari di Mauro c’è la decisione di rinunciare all’acquisto di barbatelle, preferendo propagare vecchie piante del clone Michet attraverso la selezione massale. “ Lui sostiene che tutti i problemi del clone Michet, che è stato soppiantato dal Lampia, derivino dai cloni proposti dai vivaisti” spiega Cum.
Un’altra prerogativa dell’azienda è la scelta di allungare per quanto possibile il passaggio in legno: per esempio, le 2019, che sono andate in commercio poche settimane fa, hanno trascorso quasi quattro anni nelle grandi botte esauste e sono andate in bottiglia ad agosto 2023. Tecnicamente un affinamento così lungo potrebbe portare alla scomparsa dei connotati più giovanili, floreali e fruttati, del Nebbiolo… e, invece, la purezza di frutto è proprio una delle caratteristiche distintive di questi vini!
Sulla 2019 c’è poco da dire: molto più equilibrata delle due precedenti e delle quattro successive. Se nel centro Italia ha dato adito a pareri contrastanti, in Langa non c’è dubbio sul fatto che sia la migliore tra le annate recenti.
Ma la mano del grande produttore si vede soprattutto nelle annate minori come la 2014, forse la peggiore dell’ultimo decennio: fredda, piovosa, per alcuni non c’è stato modo di portare le uve a maturazione. C’è chi in quel millesimo ha rinunciato a produrre Barolo da singola vigna per fare un assemblaggio; Mauro, invece, ha deciso di fare anche la Riserva Ca d’ Morissio, in barba alla critica che ha sparato a zero sui Barolo ‘14 con risultati pressapoco clamorosi. Servito a conclusione della Masterclass, il Ca d’ Morissio 2014 rientra insieme al famigerato Monfortino 2002 tra i vini più straordinari prodotti in Langa nelle cosiddette “piccole annate”.
I vini di Giuseppe Mascarello in degustazione:
Langhe Nebbiolo 2021
Il piccolino di casa Mascarello è uno dei vini più rari dell’azienda, complice una richiesta altissima a fronte di volumi esigui e un prezzo ragionevole – sui 40 a scaffale – che lo fa volare via in un soffio. La delicatezza è quella del Nebbiolo giovane, ma in un contesto di rara finezza. Lampone, cipria ed erbe balsamiche anticipo un sorso si leggero, si tonico e senza orpelli, ma con raffinatezza e persistenza aromatica da far invidia a tanti Baroli “entry-level”. Buonissimo da solo o con piatti caserecci, regalerà soddisfazioni per almeno cinque anni.
Barolo Villero 2019
L’altra faccia dei possedimenti Mascarello in Castiglione Falletto: appena 0.65 ettari di proprietà in un cru leggermente più basso rispetto a Monprivato. Il suolo è anche più sabbioso e, in effetti, il vino si esprime più in delicatezza che intensità, con profumi di gelatina di ribes e violetta seguiti a ruota da legno arso, erbe aromatiche e una punta di humus. Di facile approccio, con trama tannica appena astringente e acidità ben intessuta nella struttura di medio peso, sfuma lento su toni balsamici e di fiori appassiti.
Barolo Perno Vigna Santo Stefano 2019
Una deviazione dal tracciato di Castiglione per approdare a Monforte d’Alba, dove i Mascarello possiedono una piccola parcella in una delle parti più vocate dell’enorme Cru Perno: quasi 197 ettari divisi tra decine di produttori. Il vino ha una marcia in più rispetto al precedente da un punto di vista aromatico: sfodera in sequenza liquirizia, ciliegia candita, acqua di rose, radici, chinotto e un soffio di tabacco da pipa, a delineare a un profilo cangiante e di splendida finezza. Tutti gli elementi sono al loro posto – tannino, acidità, frutto – e a stupire è la complessità del retro-olfatto, con toni di fiori, erbe officinali e un pizzico di sottobosco che danno soavità e profondità ad un allungo da lacrimuccia. Quasi perfetto adesso, ma non c’è motivo di affrettarsi a stapparlo.
Barolo Monprivato 2019
Rispetto al Perno, il Monprivato ‘19 è più compatto, meno arioso: lo s’intuisce già dai profumi di melagrana, erbe aromatiche e humus, accompagnati da una nota ematica che cresce d’intensità con il tempo. La bocca è più leggibile in questa fase: potente, travolgente, il tannino scalpita, ma non graffia. Deve ancora trovare il suo equilibrio perfetto, ma la certezza che si tratti di un fuoriclasse in fieri la dà il finale: variegato e più leggiadro del resto, con accenni floreali e balsamici che s’intrecciano con arancia sanguinella e spezie scure. Da tenere a riposo per non meno di sette anni.
Barolo Monprivato 2013
Un’annata solida – ma non leggendaria – ha dato vita a un Monprivato abbastanza classico, che, a dieci anni dalla vendemmia, comincia ad evidenziare qualche traccia di evoluzione, con accenti di tartufo, legno arso e botanicals da Vermouth che incorniciano gelatina di more, cannella e pot-pourri. In bocca è ancora straordinariamente giovanile, anzi quasi irruente, con acidità salivante e tannino forzuto, frutto sul fondo che calibra tutte le componenti e cede il passo ad erbe balsamiche, spezie e giusto un accenno di tabacco nel finale di notevole finezza: un proverbiale pugno di ferro in un guanto di velluto. Si avvicina a passi lenti alla fase di massima godibilità, che durerà almeno una decina d’anni.
Barolo Monprivato Cà d’ Morissio Riserva 2014
L’ annata “britannica” per piovosità e temperature ha scolpito un profilo di nordica soavità: scomodare la Borgogna può sembrare banale, ma è innegabile che qualche punto di raccordo con un grande Vosne Romaneè ci sia. Se non altro per la delicatezza dell’aroma: un profluvio di fiori in appassimento, kir royal, chinotto, erbe officinali e incenso, con giusto un accenno di humus e un lieve tocco ematico. Decisamente meno muscolare del ‘13 e del ‘19: il tannino è carezzevole e il frutto di bosco puro e succoso emerge in tutto il suo splendore, sostenuto da acidità guizzante e balsamicità silvana che rafforza questo senso di leggiadria. Non è il vino “perfetto” perché forse non sarà longevo al pari delle edizioni dalle annate classiche, ma la finezza e la precisione sono a dir poco strabilianti, così come stupefacente è la lunghezza del finale suadente, sussurrato e allo stesso tempo cangiante. Una perla rara, a maggior ragione se si considera che di vini così – per questioni legate al cambiamento climatico – se ne troveranno sempre di meno.
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