di Giovanna Pizzi
Quella di Giovanni Benvenuto è la storia di un sogno che si realizza, di un progetto innato portato a compimento.
E le righe che seguono non sono solo la cronaca di un importante riconoscimento o la descrizione di un vitigno e un vino calabrese ma il racconto di un obiettivo tenacemente perseguito, di un miraggio che passo dopo passo prende forma.
Ma… partiamo dalla fine: il New York Times inserisce lo “Zibibbo” delle “Cantine Benvenuto” tra i dieci migliori vini bianchi italiani sotto i 25 dollari. Un successo riconosciuto e meritato per il vino più rappresentativo di una piccola azienda calabrese che il critico Eric Asimov consacra tra le pagine del prestigioso quotidiano d’oltreoceano.
L’inizio della storia invece coincide con i ricordi da bambino di un giovanissimo Giovanni Benvenuto, abruzzese di nascita e calabrese di padre e di adozione, che fin da ragazzino aveva percepito la sua missione: fare vino. Anzi, ancor di più, già sapeva e sognava di fare vino in Calabria, vino da zibibbo, recuperando i terreni e la vigna del nonno.
Giovanni nasce a Tagliacozzo, borgo che è l’antica capitale della Marsica, in Abruzzo, ma trascorre spesso le vacanze in Calabria tanto da innamorarsi profondamente della terra paterna e delle sue origini e iniziare a delineare il suo progetto di vita.
A 13 anni aveva già le idee chiare e finite le scuole medie fa una scelta molto coraggiosa per la sua età, si iscrive ad un rinomato istituto tecnico agrario con annessa cantina, vivai, vigneti e 30 ettari di terreno che nell’800 era la “Regia Scuola Agraria”, in provincia di Chieti, in cui c’era tutto quello che serviva per studiare e poter realizzare il suo sogno, va a vivere in convitto e si allontana quindi giovanissimo dalla famiglia che vede solo ogni 15 giorni. Difficile da fare se non hai una grande motivazione e lui, fin da allora, l’aveva.
A 18 anni poi, appena diplomato, con tanto di borse di studio, imbocca definitivamente la sua strada e, complice il grande amore per la Calabria, i suoi paesaggi e la sua gente, trasmessogli dal padre, lascia l’Abruzzo (al quale resta profondamente legato) e la famiglia, che comunque lo sostiene nella realizzazione del progetto, ed emigra al sud, da solo, compiendo lo stesso percorso, ma inverso, di quello fatto dal padre che aveva lasciato la sua terra da giovane per trovare lavoro altrove, e torna nei luoghi delle sue origini trasferendosi in Calabria, a Francavilla Angitola, in provincia di Vibo Valentia, con l’intento di recuperare le vigne del nonno e fare il vino. L’abbiamo già detto? Vino da zibibbo.
Ma ben presto scopre che lo zibibbo del quale aveva un ricordo vivissimo stava scomparendo nonostante avesse una tradizione secolare, se ne produceva pochissimo e solo come uva da tavola e quello che si produceva era di scarsa qualità. Si ritrova quindi involontariamente ad essere investito di una “missione”: far rinascere un vitigno e un vino che non voleva assolutamente andassero persi. “È come quando percepisci dentro di te quello che devi fare” afferma Giovanni “una spinta interiore che non sai da dove viene ma senti che quello che stai facendo è la cosa giusta”.
Si iscrive all’università, alla facoltà di agraria, e pian piano recupera le vigne di famiglia, oltre ad impiantare nuovo zibibbo ed altri vitigni autoctoni. L’azienda comincia ad andare in produzione e lui nel frattempo studia, studia tanto, si laurea, si iscrive a vari corsi di enologia, in Campania e in Abruzzo, studia il territorio, le tradizioni, si confronta con gli storici, si fa consigliare da enologi, sperimenta varie tecniche di vinificazione per rendere migliore lo zibibbo e, per non farsi mancare nulla, fa anche un corso per sommelier. Il suo obiettivo è sempre lo stesso: fare vino da zibibbo, che lui si ostina tenacemente a recuperare.
Ma il suo sogno assume sempre più le sembianze di una corsa ad ostacoli perché scopre che in Calabria, per una mera questione burocratica e di “dimenticanza” (di fatto perché nessuna azienda lo vinificava), lo zibibbo come vitigno non era inserito in nessun disciplinare ma era classificato solamente come uva da tavola. Quasi una beffa!
Ovviamente non demorde. Lui vuole produrre vino da zibibbo e visto che è testardo come un calabrese e forte come un abruzzese, inizia una lunga trafila burocratica durata 10 anni, promossa da lui e sostenuta nel tempo anche da altri attori del vino calabrese, finché nel 2013 riesce, perseverando, a raggiungere l’obiettivo. Finalmente lo zibibbo, che nel frattempo aveva contribuito a far diventare presidio slow food, è inserito nei disciplinari di produzione e può essere vinificato.
Giovanni Benvenuto realizza il suo sogno, è il primo in Calabria a produrre lo “Zibibbo di Pizzo IGP” e per diversi anni anche l’unico.
Fa un vino che è espressione del territorio, rispettando le tecniche di coltivazione tradizionale e la vinificazione artigianale che in questi luoghi della Calabria dà uno zibibbo secco, non dolce come quello siciliano, perché le uve, trovandoci in collina, a 300 m s.l.m, hanno meno contenuto zuccherino.
Il suo traguardo è riconosciuto anche dall’ amministrazione comunale di Francavilla Angitola che chiama la strada che porta alla sua cantina “Via dello Zibibbo”.
Mentre lui chiama il suo primo vino col suo nome, (neanche a farlo apposta) semplicemente “Benvenuto”, ovviamente “Zibibbo”, e non tarda a farsi notare in Calabria e non solo.
Realizza anche un vino passito, “Alchimia”, dai sentori concentrati, intensi ed inebrianti tipici di quest’uva e sperimenta un’altra versione di vinificazione tradizionale che fu tipica dei monaci basiliani, che nel ‘200 nei palmenti unirono allo zibibbo, che è un’uva proteica e instabile, la malvasia per renderlo più longevo. Il vino che ne deriva lo chiama “Mare”, che si accompagna a “Terra”, rosso da magliocco e greco nero, e a “Cielo”, momentaneamente “Celeste” che è il secondo nome di Giovanni, rosato da uve “calabrese”, che con i loro nomi e le loro etichette vogliono essere un omaggio ai colori della Calabria. E l’anno scorso, infine, esce con la versione “Orange” dello Zibibbo che fa una lunga macerazione sulle bucce come se fosse un vino rosso e che sta spopolando soprattutto all’estero.
Un lavoro intenso e attento quello di questo giovane viticoltore calabrese che ha un’azienda di 10 ettari, la cui metà vitati, e produce 35mila bottiglie che per il 70 % vanno all’estero, dagli Stati Uniti al Canada dalla Francia al Kirghizistan, dal Regno Unito alla Repubblica Ceca e che nelle scorse settimane appunto si è ritrovato felicemente tra le pagine del New York Times.
“Dopo anni di lotta per il recupero di questo vitigno è un’ enorme soddisfazione, ritrovarsi tra i migliori 10 bianchi secondo il New York Times, è come raggiungere una vetta dalla quale ti fermi ad ammirare il percorso fatto, pronto poi per ripartire ancora più carico… aver recuperato lo zibibbo e poterlo raccontare al mondo è il mio gesto di amore verso la Calabria che amo e che mi ha accolto con amore” queste le parole di Giovanni Benvenuto nel commentare il prestigioso riconoscimento.
Ma il successo non è mai un caso: tanto studio, sacrifici, sperimentazione, attese, tentativi vari, testardaggine, determinazione e pensieri positivi, sono gli ingredienti di chi ha un sogno da realizzare come quello di Giovanni, visionario, positivo e ambizioso, lo “Steve Jobs” della viticoltura calabrese, che è la dimostrazione del fatto che se vuoi fortemente una cosa, alla fine la ottieni!
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