di Marco Lungo
Stavo facendo qualche riflessione dopo la mia ultima tornata, come giurato e non, negli ultimi campionati svoltisi a Napoli e ad Acerra. Ho visto tanti ragazzi, ho visto tanti premi. Così come l’anno scorso, ovviamente. Trofei, coppe, giacche con scritte, sponsor e pecette varie, foto, feste, ricchi premi e cotillions. Poi, dopo qualche giorno, la domanda che mi sono fatto spontanea è: “Ma questi ragazzi, arriveranno mai a poter essere noti quanto i vari Sorbillo, Salvo, Pepe, etc..”?
La risposta immediata è stata “No”. Ferma, dritta, spontanea. Difficile che io sia così categorico, per cui ci ho pensato un po’ sopra, unendo in questa riflessione anche le storie di ragazzi che conosco abbastanza bene e di cui ho verificato, con il conforto di amici, la reale capacità professionale nel tempo. Non solo, essendo anche ben conscio del fatto che praticamente nessuno dei pizzaioli famosi ha premi di questo tipo nel proprio palmares. Anzi, spesso non hanno proprio nulla, se non titoli vari di riconoscimento ma mai di competizione.
Perché sono arrivato a questa conclusione drastica? Andiamo per gradi. Stando in giuria, ho potuto vedere vari personaggi, vari ragazzi che oggi realizzano la pizza napoletana in maniera più o meno corretta e buona, se non ottima. Di questi, è normale che parta avvantaggiato chi ha una pizzeria propria, magari di tradizione familiare, in tal modo può esprimersi più facilmente ed in maniera totalmente libera, perché il problema dello stare sotto padrone è grosso e, in molti casi, tarpa le ali a bravi pizzaioli magari solo per stupide gelosie ed invidie. Trovare dei titolari illuminati è rarissimo, c’è poco da fare. Questo sarà perciò un elemento dirimente e decisivo nell’analisi che farò ma che, in primis, parte dalla considerazione di prima, cioè che questi campionati e trofei non sono panacea per diventare noti sul serio. Questo credo che debba far riflettere molto, non tanto chi organizza questi campionati o chi ci partecipa, quanto l’ambiente tutto che a mio avviso ormai, deve prendere atto che il successo di un pizzaiolo, né più né meno come quello degli chef, segue oggi dinamiche ben diverse dalla bravura reale dimostrata a confronto degli altri sul campo.
Voglio ricordare qui una cosa fondamentale che accadde circa sei anni fa e che ha contribuito senza dubbio la diffusione della pizza napoletana e di alcuni suoi interpreti al di fuori del bacino partenopeo. In quel periodo, infatti, un gruppo di cui facevo immeritatamente parte anche io, scriveva su una costola del blog Dissapore in uno spazio distinto che si chiamava “Spigoloso”.
A parlare di tutto quanto crea lo stare bene a tavola c’erano vari personaggi già noti all’epoca per la loro competenza nel campo specifico, ed una certa attenzione era rivolta al mondo pizza, di cui mi occupavo. Nacque praticamente spontanea l’idea di fare una grande festa ispirata alla pizza, tutti insieme, ed a ciò fu dato vita e consistenza da Maurizio Cortese nella sua villa di Melizzano.
Lui curò tutta l’organizzazione e l’allestimento, fece tale grosso sforzo tutto sulle sue spalle, aiutato da amici locali in qualche elemento o incombenza, montando anche gazebo, allestendo panche e tavoli per mangiare ed ospitando anche nella sua casa una persona a tutti noi cara che si chiama Stefano Bonilli (guai a chi mi corregge il tempo che ho usato del verbo chiamare). Furono invitate tante persone del mondo della pizza partenopea e tanti di noi fuori da quel mondo, e questo fu decisivo per il successo in termini di diffusione e promozione, tanto che il PizzaFest, così si chiamò quell’evento, rimane ancora oggi un punto certo, unico, straordinario, indelebile nel mondo della pizza. Prima ho detto, riferito anche a me, “fuori da quel mondo” perché qui a Roma (e figuratevi nel resto d’Italia), certi nomi non erano per niente noti. Anzi, uno in particolare, Franco Pepe, non lo conosceva nessuno, stava a Caiazzo, un posto che allora avreste detto dimenticato da Dio e dal Tomtom ma non da Maurizio, mentre Enzo Coccia, beh, più o meno era noto ma tutto da conoscere c’era quel tale Gino Sorbillo, con cui già ci chattavo molto su Facebook ed era per certi versi travolgente con la sua personalità, ed infatti io me ne accorsi presto, come potete ben vedere. Travolto proprio.
Questo elemento nodale, il PizzaFest, non si è più fatto. Con questo dico che si è perso, anzi, meglio, non c’è più a disposizione un evento veramente libero da campionati, trofei, sponsor, famiglie con la tradizione, giacche da chef piene di pecette, nomi e titoli (e bandiera italiana, giusto, dimenticavo), insomma, un qualcosa di non legato a niente, adatto proprio per far emergere quelli bravi dal nulla. L’uniche iniziative che al momento conosco che si avvicinano a questo intento sono forse quelle organizzate da Claudio Ospite ma, ovviamente, non possono giustamente avere lo scopo che ebbe il PizzaFest, cioè stare insieme e conoscerci, senza alcun ritorno economico per chi organizza (anzi, in quel caso, con annessa Fossa delle Marianne nel portafoglio di Maurizio). Questo è un grosso handicap, secondo me, perché oggi non è che dentro i vari trofei o competizioni similari io abbia visto format che facciano veramente “uscire” qualcuno a quel livello. Non è possibile, per i motivi anzidetti.
Quando ci sono interessi di parte, come giustamente esercitano gli sponsor che finanziano queste cose, ci si trova per forza di cose “ingabbiati” e non se ne esce facilmente. Pensateci: chi ho nominato prima, i tre di cui sopra, li ricordate legati a qualche sponsor tecnico? No, vero? Giusto adesso, Gino, si è legato alla Birra Peroni ma non è uno sponsor che può condizionare la sua espressività con la pizza. Beh, no, un attimo… forse, dopo che se ne è bevuta una cassa intera sì, anzi, magari dopo fa pure la pizza meglio (perché non ho le faccine che si ammazzano dal ridere da mettere, perché???).
Altra cosa troppo spesso invalicabile, è se un pizzaiolo bravo sta sotto padrone. Questa cosa, un po’ dappertutto, è la morte vera di molti bravi professionisti anche se, in qualche raro caso, qualcuno ce la fa e prima o poi si mette in proprio in modo da potersi esprimere liberamente. Con questi chiari di luna, però, in genere fanno prima a rimanere dove stanno o ad emigrare, tanto, padrone per padrone, meglio essere pagati di più e pensare di poter poi avere i soldi per tornare in Italia ed aprirsi qualcosa per conto proprio. E anche questo forse una volta in quanto adesso, chi va all’estero, generalmente non vuole più tornare perché, anche ad esempio nella piovosa Germania e seppur piena zeppa di tedeschi, si sta meglio che in Italia da tutti i punti di vista, si ha una migliore qualità della vita senza alcun dubbio. Purtroppo, qui da noi non è che se un titolare vede che ha un pizzaiolo bravo, serio, capace e che gli “fa locale”, se lo tiene stretto dandogli una qualche quota di partecipazione in società, tanto per dirne una, no. Spesso fa proprio il contrario, per cose che vanno dalla semplice stupidità personale alla gelosia e alla invidia.
Inoltre, c’è il posto, il luogo dove uno lavora. Se non si è in una città e principalmente Roma e Napoli o poco fuori di esse (anche se il Nord ha da poco qualche punto serio di interesse), normalmente non esisti. Non ci sei. Peggio, manco guadagni perché la gente dei paesi è poca e non vuole spendere. E’ emblematico il caso di Franco Pepe il quale, senza il PizzaFest, è poco probabile che lo avremmo conosciuto ed apprezzato, così come non è probabile che lo sarebbe mai stato altrettanto se Maurizio Cortese non fosse andato da lui a mangiare la pizza anni fa.
E questo è l’altro problema: chi è che fa scouting di nuovi talenti nel mondo della pizza, oggi? Conosco solo Tommaso Esposito , Maurizio Cortese e, al momento, nessun altro. Rispetto ad anni fa, come anche nel mondo del food, oggi nessuno si prende la briga di “scoprire” qualcuno o, se lo fa, difficilmente opera in qualcosa di visibile a tutti. Il mio pensiero, in questo, va a tutti quelli che hanno fatto parte della Scuola Bonilli, per mettere subito in chiaro di cosa parlo. Quanti personaggi ha scovato e che oggi gli debbono la fama? Quanti altri sono stati scoperti e resi noti dai suoi epigoni? Solo io ne potrei citare a decine, veramente, avendo fatto parte di quel periodo e di quel gruppo fortunato. Oggi, chi ti vede? Chi lo dice a tutti che sei bravo? Chi ha questa forza mediatica? Allora il Gambero Rosso era una potenza, un marchio, una garanzia, oggi ha perso gran parte del suo smalto, del suo allure e non è stato sostituito da nulla di simile ai tempi dell’inizio 2000, quando c’era sul sito un forum eccezionale nel quale partecipavano anche i grandi nomi del mondo enogastronomico, i quali poi leggevano le “segnalazioni” che alcuni personaggi “credibili” facevano di questo o di quell’altro posto. Non che questa cosa fosse il tutto assoluto e fosse l’unica decisiva delle sorti di un locale o di uno chef o di un pizzaiolo, no, intendiamoci bene.
Per certo, però, ha portato alla ribalta alcuni nomi che prima non erano affermati o, meno che mai, noti. Anche la Guida era ispirata molto allo scouting e, per questo, svolgeva un compito fondamentale per chi aveva i numeri per affermarsi. Il panorama odierno è invece costellato di varie testate eredi di blog o ancora tali, con elementi molto discordanti da parecchi punti di vista, soprattutto nella conduzione e nel relativo scrivere. La maggioranza la vedo ormai scontatamente fare solo classifiche o, spesso, recensioni smaccatamente marchettare che neanche una rece falsa su TripAdvisor può anelare a tanto e, soprattutto, sempre più spesso si leggono valutazioni che che si vede essere fatte via internet, ovvero che la persona manco ci è andata in quel posto, ha preso roba dal sito del locale e via. Se poi deve fare una classifica, ci piazza i soliti tre nomi in testa per non sbagliare, variamente alternati e, di seguito, entità poste in fritto misto che va dal “foto su internet” al “quando ci vado non pago perché io scrivo su internet”.
Mah. In questo marasma, a parte la casa di Luciano Pignataro che benevolmente mi ospita, senza neanche dirlo, personalmente trovo oggigiorno di notevole credibilità e serietà Agrodolce come testata, per le sue scelte e per come è fatto, anche perché ha un bel gruppo che ci lavora i quali sono, guarda caso, in buona parte amici che provengono dall’esperienza Gambero Rosso di una volta o avventure similari. Peccato che non abbia ancora la forza e la visibilità che secondo me meriterebbe.
Bene, detti quelli che, in analisi aziendale, si chiamano “Punti Critici di Successo”, vorrei divertirmi a citare qualcuno che ha interagito con me come giurato e/o personalmente e, in relazione a ciò, provare a vedere che esce fuori, rapportandomi a quanto detto.
Tipo la Teresa Iorio, che ha vinto l’ultimo Trofeo del Pizzaiuolo al Pizza Village. A Napoli già la conoscevano in molti, lavora nella pizzeria di famiglia, è piena di energia, è per certi versi un personaggio ed è brava senz’altro. Dite che tra tre anni sarà in tv? Oppure che avrà già aperto altri due locali? O, anche solo, diventerà nota fuori da Napoli?
Salvatore Lioniello. Sta ad Aversa, pizzeria di famiglia. Quando andai da lui, rimasi impressionato da quella che è forse la più vasta esposizione di titoli che abbia mai visto. Muri e muri di coppe, medaglie, attestati e parecchi non da poco, perché tra gli altri ci sono titoli mondiali vinti a Parma, insieme a molti trofei importanti vinti in giro per l’Italia e, solo per tornare a ciò di cui parliamo, tre volte di seguito vincitore di categoria al Pizza Village. Qualcuno lo sa che ad Aversa c’è uno titolato oltre ogni immaginazione, tanto più di qualsiasi celebrità e che è così bravo? No? Lo sapevo, era scontato. Anche lui, sarà (mai) famoso?
Vincenzo Capuano. Personaggio già dotato di una immagine che colpisce, personale, molto verdiana, curata. Persona affabile, bravo ovviamente, però non lavora nella pizzeria di famiglia, non si trovava allineato con le scelte di fondo ed ha scelto di diventare un leader all’interno di una famosa catena di pizzerie. Però, come giustamente penserete, questa catena lo incatena, seppur d’oro perché di qualità alta, ovvio. Se ne “liberà”? Beh, se non lo farà, penso che difficilmente potrà emergere del tutto, per quanto ci siamo detti sopra. Magari riconquisterà la pizzeria di famiglia, chissà. Però, anche qui, riuscirà ad affermarsi oltre il ciglio partenopeo? Diventerà noto oltre la Tangenziale?
Giovanni Palermo. Bravo, talmente bravo che se ne è dovuto andare da Napoli più di un anno fa. Pare assurdo, eh? E invece no, perché qui si ricade nel discorso fatto relativo ai titolari. Beh, forse diventerà famoso nel Paese dove è andato. Anche lì c’è la Prova del Cuoco e, dato che sta diventando abbastanza noto, magari ci arriverà prima di qua. Sempre che qua fosse stato mai possibile.
Enzo Bastelli. Decisamente superiore a molti ma anche lui non valorizzato in precedenza dove stava. Forse oggi si mangeranno le mani di averlo perso, però adesso l’importante è che non lo faccia il posto attuale. Personaggio anche lui, buon italiano, modo affabile e simpatico di porsi. Per quanto gli è possibile, conduce ricerche sugli impasti e sugli ingredienti di zona e non. Anche per lui la domanda è: andrà in tv? Aprirà tre locali in cinque anni? Sarà (mai) famoso?
Mi fermo qui, non me ne vogliano gli altri che non ho citato ma c’è un preciso motivo per cui ho nominato solo questi ragazzi, e forse si è già intuito. In qualche modo, infatti, questi pizzaioli più di altri mi ricordano i Sorbillo ed i Pepe che conobbi al PizzaFest. Hanno qualcosa di loro, in tutto o in parte o condiviso. Purtroppo, l’ambiente di contorno è cambiato, lo sappiamo tutti, anche se è vero che vince chi si adatta ma, oggi, si adatta a cosa, visto che non ci sono sostituti altrettanto validi dei mezzi di cui ho parlato prima? Possono solo, come è comunque giusto in ogni caso, non smettere mai di migliorare e di spingere sull’acceleratore. Questa penso che sia l’unica cosa ragionevole. E, soprattutto, aprirsi, comunicare, non isolarsi, non chiudersi a riccio sui propri, presunti “segreti”, in una parola, dovrebbero “fare gruppo”. Suona come una eresia, nel mondo pizzaiolo, però non vedo altra strada per emergere, cioè l’aiutarsi, non sotto l’egida di una associazione, non creando una associazione ma, ad esempio, iniziando a creare eventi congiunti anche piccoli, per poi crescere piano piano, per dirne una.
E’ un piccolo suggerimento, non impossibile da realizzare.
E’ un qualcosa.
Magari, è il qualcosa che leverà dal titolo di questo pezzo il mai tra parentesi e il punto interrogativo.
Magari, sarà la cosa che cancellerà il mio “No” categorico iniziale.
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