Cinque errori che molti giovani cuochi stanno facendo nelle cucina del Sud. Ne ho parlato sul Mattino ieri e il pezzo sta facendo migliaia di letture sul www.mattino.it.
Ne offriamo una sintesi anche qui perché il tema sta suscitando molto interesse
1-La studio del passato
In una società liquida, dove ogni giorno il sapere si ricostruisce su Facebook e sugli altri social, la memoria non è più patrimonio collettivo ma diventa il sapere di pochi come è avvenuto nel Medioevo, quando la cultura classica si trasferì segregata nelle biblioteche dei conventi. E se è difficile chiedere a un giovane di vent’anni di trovare riferimenti nella cucina della mamma che è a sua volta figlia di Carosello e dell’inurbamento degli anni 60, è giusto pretendere lo studio approfondito delle ricette del territorio e della materie prime con le quali si è vissuti per millenni.
2-Usare i bonus del Sud invece di ignorarli
Il Sud ha limone e pomodoro, due straordinari acidificanti naturali che bilanciano freschezza salivante e dolcezza rassicurante. Una delle critiche fatte alla cucina del Sud era che aveva troppo pomodoro. Vulpes alta in vinea uvam appetebat, viene da osservare. Come criticare la scelta di sposarsi con un bel marito o una bella moglie. L’acidità è la base della vita oltre che della cucina ed è sinonimo di modernità perché oggi le proposte non devono sfamare ma stimolare. Lo stile di vita è cambiato, c’è bisogno di meno calorie e soprattutto di piatti più leggeri perché si mangia fuori casa. Ricette senza limone e senza pomodoro partono così sempre svantaggiate ed è assurdo solo pensare di proporre ancora una cucina morbida e caramellosa credendo di essere alla moda. Fatevi un giro a Parigi da Saturne o in altri bistrot per capire come cucinano i trentenni in questo posto.
3-Inseguire la carne invece dei vegetali o il mare
Ancora una volta è il Nord che impone la tendenza. Stavolta del verde e non dei fondi bruni. Ma lo fa con quella che è sempre stata la cultura gastronomica base del Mezzogiorno, ossia ortaggi, verdure e frutta di cui c’è abbondanza assoluta. Mentre qui pensiamo ancora ad abbinare gamberi a burrate se non, mi sento male solo a scriverlo, pancettandoli, il mondo va in una direzione opposto e studia la materia vegetale. Le nuove tecniche servono a proprio a questo: estrarre sapore da melanzane, zucchine, peperoni, friarielli, verza (l’ultimo grande piatto di Niko Romito) come prima non era possibile con la cucina di casa e perché l’alta gastronomia era concentrata sulla carne o, in subordine, sul pesce. Oggi il cuoco moderno è preoccupato di lavorare sul vegetale perché è sostenibile dal punto di vista ambientale, consigliato sul piano nutrizionale, inseguito dai gourmet perché è molto più buona e complessa una mattonella di melanzana invece di una mattonella di carne.
4-Mancanza di orgoglio sulla pasta
Non usare la pasta è come avere un biglietto di prima classe e usarlo per la seconda, poter andare in corsia preferenziale e scegliere di fare la fila. Insomma è una di quelle coglionate stratosferiche. Il piatto di pasta ha un valore assoluto perché frutto di un sapere lungo molti secoli e il livello dell’industria come dei piccoli pastifici in Italia è eccezionale. In modica quantità, ovviamente, è il momento clou orgasmatico del pranzo. In un ristorante del Sud ci dovrebbero essere almeno due trafile fisse (corta e lunga), un risotto solo se ne hai fatti diecimila seguito da Corelli e Berton, e una pasta fresca unicamente se sei sull’Appennino.
5-Il vino e l’olio
In genere chi capisce di vino cucina meglio. È incredibile la stratosferica ignoranza dei cuochi in questa materia che invece è decisiva per il benessere di chi viene al ristorante. Non avere curiosità per ciò che incide dal 30 al 50 ma anche al 200% del conto vuol dire non essere un imprenditore del cibo, ma un avventuriero del mestiere che naviga a vista. Qualsiasi cuoco prima di mettersi ai fornelli dovrebbe aver fatto almeno il primo livello dell’Ais. Io in genere non mi fido di chi non beve. L’unica battaglia vinta è quella della superiorità dell’olio d’oliva. Ma lo si deve agli scienziati e a Alain Ducasse.
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In sintesi, la situazione è questa: molti giovani cuochi meridionali non usano la tecnica per valorizzare l’enorme patrimonio storico e colturale, ma per dimostrare di essere uguali agli altri. E allora viene da chiedersi: perché venirvi a trovare quando da Parigi a New York, da Copenhagen a Hong Kong si trova di meglio e si sta molto più comodi?
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