Ci sono posti che, sebbene entrati nel nostro patrimonio di esperienze e di memoria da sempre, non smettono mai di incantarci e farci provare le emozioni di una prima volta. E’ con questa consapevolezza e con questo stato d’animo che a ogni occasione mi avvicino ad ammirare una parte della Terra, la Costa d’Amalfi, punteggiata da commoventi eterne bellezze.
Recentemente sono stata, in particolare, tra Amalfi e Furore per raccogliere le idee, per riuscire a godere appieno di attimi di riflessione in un contesto che per sua stessa natura regala un senso di riappacificazione con il mondo circostante.
Questa sensazione mi colpisce e non mi lascia sin da quando dal porticciolo di Amalfi mi dirigo verso la piazza che, tutto a un tratto, quasi a cogliere di sorpresa, si apre rivelando la fontana di Sant’Andrea e la preziosa monumentalità del Duomo che domina in alto, su quelle scale che richiamano la mente al tendere verso l’infinito, il Superiore.
Dopo essere salita in cima e aver ammirato anche la bellezza del Chiostro del Paradiso, faccio un giro per i negozietti del centro che offrono la loro mercanzia colorata di ceramiche e stoffe dipinte agli occhi ammirati di passanti e turisti. Ritornando verso la piazza imperdibile una sosta alla storica Pasticceria Pansa dove gusto il delizioso tortino al limone. Non può di certo poi mancare una passeggiata lungo la spiaggia, un’occasione per respirare a pieni polmoni l’aria salina e frizzante di un pomeriggio di inizio inverno.
Pian piano il sole tramonta per lasciare spazio a un cielo trapuntato di stelle intorno a una luna radiosa che si specchia sull’acqua e allora è il momento di proseguire il mio piccolo viaggio. Mi rimetto in auto e percorro circa 8 chilometri e mezzo per lo più di tornanti lungo le pareti rocciose a picco sul mare che consentono di immergermi in un paesaggio lunare, misterioso e felpato, e assaporare il fascino della notte vellutata e sinuosa stretta tra le braccia materne e selvagge della Macchia Mediterranea. Arrivo così nel luogo dove ho scelto di pernottare, l’Hostaria di Bacco a Furore della famiglia Ferraioli.
“Non cercarla qui la ciambella di case raccolte intorno alla piazza. Non la troverai. Furore, il paese che non c’è, il paese non paese, col suo abitato sparso sui fianchi della montagna a strapiombo sul mare, si offre a piccole dosi, si lascia scoprire con civettuola ritrosia”.
Così nel libro “Il paese che non c’è” il sindaco Raffaele Ferraioli introduce il suo splendido borgo natio sui Monti Lattari per la cui visibilità da sempre si batte con grande passione e forza (clicca qui per il filmato andato in onda recentemente durante la trasmissione Kilimangiaro su Rai3). E aggiunge: “un luogo deve diventare oggetto di sogno perché ci spinga a visitarlo. Poi c’è la verifica e, ad esperienza conclusa, il ricordo”. E come giustamente sottolinea in un altro passo del testo, questo è anche il luogo dei muri, “muri a secco, muri dipinti, muri istoriati. Muri parlanti. Muri d’autore”.
Dopo aver ammirato questi muri resi vivaci dai colorati dipinti di artisti internazionali, raggiungo il Fiordo, profonda fenditura nella roccia originata dal torrente Schiato che cade a picco dall’altopiano di Agerola.
Diversi i sentieri che si possono percorrere da qui: il “Sentiero di Abu Tabela”, il “Sentiero dei Nidi di Corvo”, il “Sentiero dei Pipistrelli impazziti” o il “Sentiero dell’agave in fiore”.
Ma questa non è solo una terra spettacolare da un punto di vista naturalistico, è anche una vera e propria miniera di prodotti di eccellenza come i pomodorini del piennolo, l’olio extravergine di oliva, i profumatissimi limoni Costa d’Amalfi igp, i capperi, i fichi d’India, le tante erbe spontanee. Ingredienti che vengono assemblati dando vita a piatti fortemente identitari, capaci di raccontare un territorio e rappresentarlo nell’immaginario collettivo e nel mondo.
Tanti i formati di pasta che vengono fuori dalla abilità e dalla sapienza delle mani delle signore del posto come orecchiette, cavatielli, scialatielli, lasagne e i famosi “ricci furitani”, fusilli passati su di una specie di tavoletta rigata. Tradizionali pietanze anche il migliaccio, timballo di semola e carne di maiale, la minestra maritata e la caponata con freselle condite con pomodorini, acciughe e melanzane sott’olio.
L’Hostaria di Bacco è proprio il luogo di protezione, valorizzazione e divulgazione dell’enorme giacimento enogastronomico di questa terra così prolifica di bellezze e bontà. Si propongono piatti della cucina del territorio realizzati seguendo le antiche ricette e la stagionalità delle materie prime, portando così in tavola i sapori veraci di questo posto ancora intatto nel suo essere così autentico e selvaggio.
Qui il motore di tutto è la famiglia di Raffaele Ferraioli e sua moglie Erminia Cuomo, papà italiano e mamma bosniaca, l’ultima delle quattro generazioni di donne della famiglia che si sono alternate ai fornelli del ristorante.
In cucina ci sono Erminia e Pietro Cuomo aiutati da Carlo Milo.
La regia della sala, che si snoda in una novantina di posti all’interno e una sessantina sul terrazzo che si affaccia sull’infinito, è affidata a uno dei quattro figli di Raffaele ed Erminia, Domenico, mentre la parte relativa all’albergo è gestita dall’altra figlia Letizia (completano la famiglia Andrea, presidente della condotta Slow Food Costa d’Amalfi e Gianmaria titolare del ristorante “Il Riccio” di Manhattan).
Diciannove le camere, tutte con bagno e terrazzino privato con vista mozzafiato sul mare e sui terrazzamenti punteggiati di pergolati e vigneti.
In menu tanti gioielli preparati seguendo fedelmente i dettami della tradizione: totani, polpi, alici, pesce spada, baccalà, coniglio, pollo, maiale ma anche prosciutti irpini e di maiale nero casertano, colatura di provola affumicata di Agerola, pomodorini del piennolo, pomodoro San Marzano, Sfusato Amalfitano e tanti Presidi Slow Food come i fagioli di Controne, la cipolla di Alife, la colatura di alici di Cetara, il Conciato Romano e salsiccia e soppressata del Vallo di Diano.
Una cucina questa che parla di un’anima dominata dal dualismo tra la terra e il mare.
Tra i tanti piatti da provare le lagane e ceci e un cult, i ferrazzuoli alla Nannarella preparati con pasta di Gragnano fatta “al ferretto” con pesce spada affumicato tagliato a dadini, pinoli, uva passa, rucola, aglio, peperoncino, olio extravergine di oliva e la polpa di pomodorini del piennolo essiccati naturalmente al sole. Non sapeva rinunciare a questo bel primo l’attrice Anna Magnani, quando si rifugiava a Furore durante la sua tormentata storia d’amore con il regista Roberto Rossellini nella metà degli anni Quaranta.
Davvero ristoratrice per il fisico e lo spirito questa sosta con lo sguardo verso il mare calmo e il delicato sottofondo musicale di un’artista che si distingue particolarmente per raffinatezza ed eleganza, Letizia Gambi.
Per iniziare pizza fritta ripiena di burrata di Jersey e Marsala del 1970, molto interessante e indovinata l’idea di usare il Marsala per ripulire il palato dal fritto e dalla grassezza della burrata. Equilibrio e golosità.
Antipasto composto da totani e patate, un must, l’espressione dell’inventiva del “contadino-pescatore” di questa zona in cui gli abitanti sono divisi da sempre tra le attività della collina e quelle della costa, salsiccia di totano, polpo fritto, alici con menta e aceto, alici con la provola e crocchè di baccalà e patate.
A seguire tonno di montagna (straccetti di coniglio e maiale all’olio extravergine di oliva su fagioli di Controne alla furorese e cipolla) e “Alici come prima”, “ammullecate” con mollica di pane e scorzetta di Sfusato Amalfitano, sale e pepe e menta e aceto.
Saporito e molto appetibile il totano ripieno.
Da non perdere quando vi trovate da Bacco la mitica zuppa di pesce di Donna Erminia preparata con pesci di scoglio (scorfano, triglie, merluzzo, tracina, pescatrice, polpi, vongole veraci, cozze, tartufi di mare, cannolicchi e astice a concludere).
Profumi e sapori da provare e custodire nel proprio patrimonio del gusto anche quelli dell’orata all’acqua pazza con capperi e olive e della patata scamazzata con olive, pomodori secchi, cipolla e acciughe.
Come coccola finale Domenico propone la “cicala”, tradizionale pasta di mandorla aromatizzata al “nanassino”, un delicato rosolio ricavato dal fico d’India che è un richiamo al selvaggio fascino di questo luogo magico, tozzetti alle nocciole con elisir di vino e albicocche appassite allo Strega. Tipica del posto è, infatti, la frutta sotto spirito come, ad esempio, l’uva Sanginella all’anice, le albicocche al brandy, i fichi al rum.
Osteria Bacco a Furore
Dal 1° marzo sarà disponibile il nuovo menu con tanti piatti che parlano la lingua autentica della tradizione come i ricci furitani alla genovese di totani preparati secondo la ricetta della amatissima nonna Adele.
Questa è anche terra di vini ottenuti da vitigni autoctoni a bacca bianca tra cui Falanghina, Biancolella, Ripoli, Fenile e Ginestra e vitigni a bacca rossa come Piedirosso, Sciascinoso, Aglianico e Tronto.
Sui terrazzamenti a picco sul mare, in terreni scoscesi strappati alla roccia con dissodamenti e duro lavoro, infatti, si abbarbicano i vigneti coltivati con l’amore e il sudore dell’uomo che in queste condizioni così difficili dedica tutti i suoi sacrifici alla crescita della vigna.
E a pochi metri da Bacco sorge una cantina che costituisce una punta di diamante della produzione vitivinicola regionale e nazionale, capace di esportare e rappresentare l’immagine di questo territorio anche all’estero. E’ la cantina di Marisa Cuomo a circa 500 metri sul livello del mare con impianto a parete allevato a pergola, unico al mondo, su sassosi terrazzamenti secolari che insistono su un terreno di natura dolomitica a picco sul blu. Qui Marisa Cuomo, il marito Andrea Ferraioli e i figli Raffaele e Dorotea portano avanti un lavoro di sacrificio in un ambiente estremo che nel tempo ha dato e continua a dare molte soddisfazioni come testimoniato da tantissimi premi e riconoscimenti sia a livello nazionale che internazionale.
Nel bicchiere d’obbligo un indimenticabile Fiorduva 2015 e il Furore Bianco della stessa annata.
Visitare questi luoghi implica sempre una promessa di ritorno, mai un addio, perché, sebbene tanto sia stato scritto e tanto si continui a scrivere, essi offrono ogni volta l’opportunità di raccontarli tirando fuori una parte di sé, anche quella più nascosta di cui fino a quel momento non si aveva completa consapevolezza.
Bacco a Furore
Via G. B. Lama, 9
Tel. 089.830360
Tel/Fax 089.830352
www.baccofurore.it
ristorante@baccofurore.it
Chiusura settimanale: mai dall’anno prossimo; annuale: dal 10 Gennaio al 1° Marzo
Foto di Novella Talamo
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