Gianni Mura: Masterchef non fa cultura del cibo, è una metafora del potere di oggi

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista

Abbiamo duramente criticato lo spirito di Nazichef Masterchef sollevando non poche perplessità. Girando per la rete, e adesso sui giornali, mi accorgo di non essere stato un banale paleo-marxista retrò, e di condividere molte delle pessime valutazioni del programma. Ma leggendo un minuto fa il pezzo di Gianni Mura, che con abilità ed esperienza di gran lunga superiori alla mia, esprime gli stessi concetti ho avuto conforto, in particolare il tema centrale dell’umiliazione come spettacolo. Ve lo propongo.

di GIANNI MURA

MASTERCHEF ultima puntata, bella notizia. Meno bello sapere che ripartirà con l’obiettivo di fare meglio negli ascolti e necessariamente peggio nei contenuti. Forse gli aspiranti chef dovranno inginocchiarsi sui ceci, o saranno intrappolati in una specie di gogna e gli attori principali, gli intoccabili intoccati, gli tireranno un po’ di torte in faccia.

Mica si può saziare la voglia di umiliazione della platea spaccando un’ottantina di piatti nell’imitazione di Gordon Ramsay, chef molto stellato e molto sopravvalutato, assai più popolare per la sua dirompente cafonaggine televisiva che per le sue ricette. Ramsay, per inciso, sputa nelle pentole, spiaccica uova sulle giacche degli esaminandi, ha un linguaggio da bullo attaccabrighe.

La sua parte, quella del cattivo, il copione l’ha riservata a mister Joe Bastianich. Bruno Barbieri, forse perché bolognese, è il meno contundente del trio, è come il poliziotto buono dei telefilm americani, quello che offre una sigaretta durante l’interrogatorio. Carlo Cracco, il più bello del reame (sarà meglio l’inquadratura della camera 3 o della 4?) è quello che, inarcando luciferinamente le sopracciglia, leva la sigaretta prima che sia accesa.

Le cucine dei ristoranti non sono un paradiso, si lavora sodo e a volte in poco spazio. Più il locale è famoso più la cucina vale la caserma, il più alto in grado è il signore assoluto, il suo secondo appena può va a cucinare altrove, tanto la colpa è sempre di chi pela le patate o disossa il piccione. Cioè di chi è in fondo alla scala gerarchica. In sostanza, il format riproduce una situazione fin troppo nota a chi nella vita non è mai stato Cracco, Briatore o Maria De Filippi.

Il potere che elimina tutti e uno solo promuove, il potere che puntella la competenza con la cialtroneria, il potere che non si discute, si subisce abbassando la testa o piangendo (un po’ di pathos, suvvia). Tempo di crisi o no, c’è qualcosa di eccessivo nel diluvio di trasmissioni sul cibo, nessuna delle quali fa cultura sul cibo, come tanto tempo fa Ave Ninchi e Luigi Veronelli, ma solo audience. Giudizio critico su Masterchef: mappazzone, digestione a rischio.

Il mio pezzo sul blog del Mattino


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