di Giulia Cannada Bartoli
Gianluca D’Agostino, classe 1977, è uno chef di lungo corso ben noto a chi si occupa di Fine Dining. Nel 2016 ha portato la terza stella Michelin di città al Ristorante Veritas. L’inclinazione per la cucina si manifesta oltre vent’anni fa, dopo un periodo a Giurisprudenza, Gianluca capisce che la sua strada è un’altra. Gli inizi in terra natia, l’Irpinia e poi Troiani a Roma, Don Alfonso 1890, Locanda Locatelli a Londra, Alkimia e Coure a Barcellona e Napoli al Gambero Rosso.
Dopo undici anni di collaborazione con il Veritas, D’Agostino, nel 2021, ha voglia di realizzare un progetto personale. Nello stesso anno nasce il figlio Mario che porta il nome del nonno.
L’idea c’è: creare in città una meta di riferimento per un pubblico più vasto. Non l’ennesimo “covo”
del fine dining, bensì, un locale di cucina raffinata, divertente, moderna e inclusiva. Le basi sono solide come è forte l’amore per il proprio mestiere. Joca è il sogno di una vita dove potersi raccontare, attraverso la cucina, in totale libertà, potendosi permettere azzardi sia, ai fornelli sia, nel diverso modo di concepire la Sala.
Il progetto – partito a febbraio di quest’anno – ha richiesto, tra imprevisti e permessi, due anni pieni: al fianco di Gianluca c’è la moglie Maria Grazia, compagna di una vita. Insieme hanno concepito l’ampia cucina in parte a vista e la luminosa sala con il lungo bancone dedicato a tapas e mixology. 250 metri quadri per 55 coperti, in arrivo la concessione per i tavoli all’esterno.
Un gioco indovinato di materiali diversi d’arredo e di design.
Alluminio, legno, ferro, vetro, cemento e tanti specchi a creare moderne profondità di spazio.
Tavoli ecomode sedie, così come il bancone, sono in frassino olivato con calde venature naturali. Un allegro e convivale divano rosso occupa un lato della sala.
La cura dell’accoglienza è al primo posto: la qualità dello spazio fisico sta tutta nei particolari.
Mix tra Irpinia e fine dining anche nella scelta delle ceramiche da tavola: Bhumi, maestro ceramista in provincia di Avellino e, omaggio al classico, porcellane tedesche by Rosenthal.
La luce è protagonista: illuminazione diffusa (no a spotlight come usa nel fine dining)
e colorata a privilegiare la gioia dello stare insieme e il piacere di condividere il cibo. “Piovono” dal soffitto onde di luce variopinte d’ispirazione internazionale.
Oltre il bancone, ci sono alcuni tavoli con sedute alte per l’aperitivo o per una cena “smart” a base di tapas, senza voler imporre spazi predefiniti tra i due percorsi. A cambiare è l’orario di apertura (dalle 18.30) e la funzione del tapas bar che incontra varie esigenze, dal dopo spettacolo all’aperitivo, grazie a una carta vini
che riflette la vivacità della cucina.
“Joca” nasce dal napoletano “jocare”, giocare. Il locale, nel cuore della movida napoletana, nei vicoli dei baretti, si pone in controtendenza con i dilaganti “apericena da selfie”. “Joca è ospitalità, relazione, condivisione. Si esce per stare con gli amici, non mi piace che in primo piano ci sia la cucina o l’ego del cuoco” (Gianluca D’Agostino).
La proposta di Joca viaggia su due binari, Tapas e Ristorante, sebbene, a guardare nel profondo, il binario è uno solo.
Entrambi i percorsi sono liberi, non seguono la tradizionale ripartizione in portate, a rimarcare l’assenza di schemi preordinati.
Al Tapas Bar, come al Ristorante, l’origine irpina di D’Agostino e la lunga esperienza nel fine dining
formano un mix tutto nuovo. Contemporanea e centrata è l’attenzione al vegetale che sa guardare al territorio e alla stagionalità.
Lo stile dello chef era ed è rimasto confortante: sapori netti e materie riconoscibili. Confortante non significa ancorato alla tradizione, nel nuovo menù di Joca si ritrovano tecniche contemporanee, maturata consapevolezza del vegetale e capacità di “giocare” con ogni ingrediente.
La cura di Gianluca per ogni singolo piatto è maniacale, senza tuttavia, ossessione
alcuna di stupire, solo profonda conoscenza delle materie prime e tanta concretezza. Con lui in cucina c’è Matteo Rodolico, valente trentenne con trascorsi da Niko Romito e al Veritas con D’Agostino.
In sala a guidare il servizio, in costante comunicazione con la cucina, ci sono Fabio di Costanzo, cordiale e multi-tasking direttore di sala e Flora Manzo, appassionata wine lover, prossima Sommelier.
Il menu Tapas è in pieno equilibrio tra terra e mare con la trama vegetale che naviga allegramente su tutto.
“Tapear” in spagnolo significa letteralmente “coprire”. Si racconta che
Alfonso X il Saggio, sovrano di Castilla dal 1252 al 1284, per limitare gli effetti dell’alcol nella popolazione, proibì alle taverne di servire vino senza qualcosa da mangiare. La parola “tapa” verrebbe dunque da tappare/coprire il bicchiere di vino con una piccola razione di cibo.
Le tapas di Gianluca sono “napoletane”: generose e facilmente divisibili in due o più persone, in una sorta di giocoso percorso del “compartir la comida” che è molto di più di una cena o di un aperitivo.
Gli assaggi procedono a ritmo seducente.
Ostriche in diverse versioni e caviale danno alla proposta un tocco di giocoso lusso.
La cucina di Gianluca è sempre stata “artigianale” nel senso di privilegiare tutto ciò che si può fare a mano, su tutto, pane e pasta. Su quattro primi in carta, tre sono a base di pasta fresca.
Il pane, impastato con lievito madre, riposa per 36/48 ore.
Il menu Ristorante, in continuo divenire, gira briosamente tra terra e mare con continue incursioni vegetali tra vecchi ricordi e guizzi di modernità.
I piatti assaggiati:
Conoscendo bene la cucina “terragna” di D’Agostino, ho scelto un vero e proprio itinerario
alla scoperta del mare e del vegetale by Joca.
Si tratta di una “Conserva” artigianale dello chef: croccanti carote e cipolle in agro con lo spiedino dal sapore salmastro che bilancia l’assaggio. L’olio extravergine d’oliva è, “nomen omen”, Hirpus, cultivar Ogliarola, dal gusto fruttato e piacevolmente amaro. In accompagnamento mandorle salate e tostate con cracker di mais.
E vai con le tapas:
A solleticare il palato arriva Ostrica Killer ’nduja e dragoncello. Un’onda di freschezza e sapidità investe il palato, per chiudere poi con la nota aromatica del dragoncello e quella piacevolmente piccante della ‘nduja calabrese.
Il trionfo del vegetale goloso. Ingredienti semplici e di territorio. Note dolci e aromatiche equilibrate. Lo sfizio del fritto.
E’ un godurioso boccone con marcata acidità e ingredienti ben lavorati. Anche qui aromaticità e dolcezza assolutamente allineate.
Ben fatta la “scapece” di sgombro che ne esalta il sapore. L’agrodolce degli ortaggi non è invadente. Nell’insieme un boccone piacevolmente sapido e aromatico.
Esempio giocoso di ingredienti semplici trasformati con fantasia e scioltezza.
Goduria vegana assoluta. L’abilità dello chef nell’isolare sapori e consistenze, miscelandoli in un unicum di gusto, che resta nella memoria dei sapori, qui si vede tutta.
Una bella progressione tra orto e mare. I sapori delicati delle verdure e dei gamberi non si perdono in quelli più decisi del calamaro e nell’aromaticità marcata di arachidi e senape.Divertente gioco di consistenze.
Sui primi piatti torna la “mano” del cuoco che ama fare la pasta fresca. Allora, via con
Gusto fresco e sapido con ulteriore sprint acido della scorza di limone.
Centrato ilbilanciamento tra consistenza callosa di seppie e cavatelli e la cremosità del piatto.
Il profumo del mare governa il piatto. Il sapore dello scorfano è molto intenso in compiuta simmetria con la sapidità delle olive e la dolcezza del peperone. La persistenza complessiva al gusto ci conferma la notevole crescita di D’Agostino sulla cucina di mare.
La Ricciola è un pesce pelagico con carne soda dal sapore delicato non adatta a cotture prolungate. Qui le qualità del pesce sono rispettate in pieno: il trancio, appena scottato,
èabbinato a una giocosa “finta salsa cocktail”, ricordo degli anni’80, con pomodoro cuore di bue, verdure croccanti e julienne di zucchine sott’olio. La carne è morbida. L’abbinamento con l’orto rinfresca il piatto.
Non poteva mancare il Baccalà, qui lo chef si è allontanato dalla tradizione partenopea per proporre una creativa versione in Saor. Interpretazione personale e riuscita a metà tra la ricetta basca e quella veneta con i tre ingredienti, cipolle, uvetta e pinoli, perfetta sintesi dei sapori agrodolci.
La frittura è leggera, croccante e ben sostenuta dall’aromaticità del saor.
Il gusto è freschissimo, la presenza di zucchero è quasi nulla, in favore della piacevole acidità delle fragole e dello yogurt. Sorprendente la sapidità della polvere di capperi. Il crumble di frolla fornisce la nota croccante.
I vini
Nota di merito iniziale, in omaggio alla sostenibilità, l’acqua è microfiltrata e servita in eleganti bottiglie personalizzate.
Sul vino, per una volta mi sono allontanata dalla “comfort zone” Italia e mi sono tanto divertita.
Metodo Classico, almeno 144 mesi sui lieviti. Aromi di mela e melone, bouquet molto ampio e sfumature di formaggio fresco. Impressionante freschezza gustativa per un sorso sottile, verticale ed elegante. Siamo nella Loira, una bollicina fuori dalle solite rotte.
Riesling Biologico, Biodinamico, lieviti indigeni. Siamo in Alsazia, Alto Reno zona vocata a grandi vini bianchi. Intanto è un 2020. Al naso note fruttate ma soprattutto minerali. In bocca il sorso è fresco, pieno, di grande sapidità e mineralità. Impressionante la lunghezza al palato. Molto minerale, complesso e “sassoso”. Nulla farebbe pensare a un vino biologico e biodinamico.
100% Pinot Noir Biologico, lieviti indigeni, senza solfiti. Siamo nella regione della Lorena dove il pinot nero è l’unico vitigno a bacca rossa AOC. Di colore viola intenso. Al naso, aromi franchi, sottili e generosi di ribes nero, ciliegia e leggeri
rimandi speziati. In bocca è croccante, ricco, tannini fini, corpo elegante e morbido con buona persistenza.L’abbinamento con Ricciola e Baccalà è assolutamente centrato. Ancora una volta un sentiero poco battuto.
Siamo a Ruviano nella zona vocata per questo vitigno.
Un vino da abbinare a piatti di struttura, ma anche da chiacchiere e meditazione. Di colore rosso con riflessi violacei, fitto al calice. Al naso si presenta elegante e complesso, spicca un fine profumo di violetta, seguono prugna matura, cacao e note balsamiche di liquirizia. In bocca è giustamente tannico e dal finale persistente. Il sorso chiude con ritorni floreali e di timo.
La carta è curiosa, divertente e non didascalica. I vini non sono catalogati per territori o vitigni, ma, per macro tipologie: bollicine, bianchi, rosati, rossi, vini da dessert e distillati. In questo modo l’ospite ha la possibilità di scorrere la lista incrociando referenze sconosciute ed essere invogliato a una nuova esperienza.
La carta va dentro i territori, scavando piccole aziende e vini d’annata, in particolare tra i bianchi campani: una vera “edenlandia” per gli appassionati. Originale e ben fatta anche la scelta delle referenze straniere: un ritratto diverso del panorama viticolo francese e molte altre curiosità dall’Europa e dal mondo. La maggioranza delle cantine in carta è biologica o biodinamica, o entrambe. Sono disponibili percorsi di “pairing” al calice. Sul lungo termine è in progetto la propostaal calice dell’intera carta.
La proposta Mixology al momento è basic con nota di merito per il Mezcal Margarita dalle note piacevolmente affumicate.
Lo scontrino medio (bevande escluse) si aggira da 15,00 a 45,00 € per il percorso Tapas; da 50,00 e 80,00 €
per il menu ristorante.
Il divertimento è che si “Joca” componendo il proprio menu dalle due liste.
Due Menu Degustazione: Joca € 75,00 Itinerario di scoperta in 5 portate. Pazzo € 100,00 per 7 portate.
In conclusione, Gianluca D’Agostino è in grande forma, ha senz’altro centrato il format sia per proposta gastronomica sia per ambienti più “easy” e accoglienti. In cucina ha perfezionato un ottimo equilibrio tra sapori e consistenze. Entrambe le proposte, tapas e ristorante, sono divertenti, per nulla scontate e si possono mixare scegliendo da entrambi i percorsi.
E’ scomparsa l’interminabile trafila di amuse-bouche insieme con l’onnipresente piccola pasticceriaJ
L’obiettivo è rinnovare, liberandosi da inutili riti, per una proposta che si colloca nel fine dining ma con inclinazione decisamente più pop.
In sala l’accoglienza è al tempo stesso professionale e informale. Nessun dress code, nessun timore reverenziale. “Pur rimanendo comunque nel fine dining, guardiamo molto all’informalità di alcune capitali europee, vogliamo prenderci un po’ meno sul serio ed essere un po’ pazzi, come i bambini”
dichiara D’Agostino in chiusura.
Insomma Joca è un posto di tanta sostanza difficilmente riproducibile e, vivaddio, non (che brutta parola!) instagrammabile!
In controtendenza anche l’apertura serale di domenica, quando si fa fatica a trovare locali di livello aperti.
JOCA Ristorante e Tapas Bar – Vico Sospiri 10b / 10c – Napoli tel.
+39. 081.3356376
info@jocarestaurant.it Orari – Tapas Bar :da mercoledì a domenica 18.30 – 23.00
Ristorante: da mercoledì a domenica 19.45 – 22.30. Sabato e Domenica 12.30 – 14.45
Scheda del 9 febbraio 2024
A Napoli, nel cuore di Chiaia Gianluca D’Agostino, ex chef del Veritas ,dove ha conquistato la stella Michelin, apre JOCA, ristorante e tapas bar: la data prevista è giovedì 22 febbraio. E’ la fantasia di una vita, in cui potersi esprimere in piena libertà.
“Pazzo chi joca e pazzo chi nun joca”, dicono i napoletani, per ricordare a sé stessi e al mondo che astenersi dall’azzardo di una vita piena è da matti tanto quanto rischiare.
JOCA è un invito, un’esortazione a mettersi in gioco e in relazione – prendendosi dunque molto sul serio, come i bambini, alla ricerca di esperienze autentiche e di stupore – in uno spazio che guarda all’Europa e all’energia delle grandi capitali internazionali. Un’aurora boreale dell’anima, che già al primo sguardo intende stupire.
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