di Fabiola Quaranta
Una genovese per fare pace con il mondo. Avete mai provato a cucinare con il solo scopo di trasportarvi altrove, lontano, per astrarvi e ritrovarvi a tu per tu con poco o nulla, con tutto quello che occorre per parlare con voi stessi e non pensare?
In realtà la mia cucina, tante volte, è il luogo della catarsi, il non luogo dove i pensieri assumono una dimensione terrena e le emozioni si trasformano in pietanze. Poco conta la tecnica, poco importa la ruspantezza. Nasco da una madre che è un’ottima cuoca, dedita da sempre alla cucina e a tutto ciò che compete alla tradizione culinaria napoletana. Sono cresciuta con le mie zie, anch’esse abili cuoche, casalinghe e appassionate manufattrici di conserve e ricette di famiglia.
Crescendo e distaccandomi dal ceppo materno ho utilizzato il mio imprinting gastronomico come strumento, e poi, grazie al mio Boss Luciano Pignataro e al suo blog, cucinare è diventato il mezzo del mezzo: cucino pensando che poi scriverò, traduco le emozioni due volte, in piatti e parole.
Questo fine settimana, l’ultimo di novembre, ancora in zona rossa, in un isolamento che ci tiene tutti chiusi tra le mura domestiche se non per comprovate esigenze di necessità, ho trascorso ore ed ore in cucina. Franco, il nostro fruttivendolo di fiducia, ci ha chiesto se avessimo ospiti, stupito dalla quantità e varietà di ortaggi e verdure che abbiamo comprato.
In realtà avevo un unico pensiero: preparare la genovese.
Presa da una smania prenatalizia anticipatoria ho costretto la mia famiglia a fare albero, presepe e riempire casa di oggetti e lucine come a volere scacciare la malinconia.
Troppe cose da metabolizzare, ancora troppi i bollettini quotidiani di morti e contagiati, le immagini tristi che scorrono in itv e a cui ancora dopo quasi dieci mesi non siamo abituati. Questa settimana poi Maradona è passato a miglior vita lasciando tutti più soli su un pianeta sempre più povero di poesia e umanità. Così il nord è contro il sud, il sud è con il resto del mondo mentre passo dopo passo ci allontaniamo sempre più da un passato di ricordi ed emozioni che faticano a far pace con questo presente così incerto.Il silenzio fuori è assordante.
La catarsi, nella religione greca classica il rito magico della purficazione, inteso a mondare il corpo e l’anima da ogni contaminazione, in psicoanalisi è il processo di liberazione da esperienze traumatizzanti o da situazioni conflittuali… la mia catarsi è avvenuta con la preparazione della genovese, il sugo d’eccellenza, al pari o forse più del ragù, il re della domenica napoletana.
Fuori è grigio, fa freddo, l’inverno è arrivato, anche se non ancora nella sua più gelida veste.
Armata di coltello e tagliere comincio a sminuzzare cipolle e inevitabilmente gli occhi prendono a lacrimare. La mia musica tra le quattro mura della mia piccola cucina, dove respira e vive un modo intero, mi tiene compagnia e il pensiero va a Monica che combatte la sua battaglia contro il Covid e con cui è iniziata un’amicizia, di cuore, di pancia, ai miei genitori, ai miei cari parenti acquisiti oramai anch’essi famiglia, alla possibilità che vivremo il Natale lontani per chiusure e limitazioni che acuiscono le distanze e ci rendono tutti più fragili, alle mia amiche che non vedo da tantissimo tempo, a Flavia a cui ho promesso la genovese e che, pur essendo a pochi chilometri da me, non posso invitare perché è vietato…
Mi racconto, rosolando la carne che è un anno che va così, alla fine passerà e torneremo ad abbracciarci, ricordandolo come un’esperienza tremenda e formativa, sì giusto, aggiungo le foglie di alloro che secondo me danno quel tocco in più.
Ricopro la carne che ha già perso parte dei suoi umori di cipolle affettate finemente, le rimescolo con amore perché non potrebbe essere altrimenti, ho imparato da mia mamma a cucinare, la penso ed oggi lo faccio per la mia famiglia, insegno ai miei figli il gusto per il buon cibo, la fondamentale condizione di usare materia prima di ottima qualità, l’importanza della cura che ogni cosa necessita per riuscire, qualsiasi cosa essa sia.
E’ ora di pranzo, l’acqua bolle in pentola, la pasta di Gragnano è lì che ammicca sotto la sua ruvida superficie che promette un grande piatto e mio figlio compie un gesto antico e intriso di tradizione: prende un pezzo di pane, lo intinge nel sugo che sobbolle lentamente e assaggiando sussurra “…MMMM, è una crema!”.
Questa domenica ha vinto la mia genovese catartica, il calice di primitivo di Manduria l’accompagna a braccetto, in alto per tutti coloro che vincono ogni giorno una piccola o grande battaglia, per tutti noi che abbiamo bisogno di certezze e amore, le lucine sull’albero portano pace e mi dico che tutto andrà bene.
Genovese
Di Fabiola Quaranta
Ingredienti per 4 persone
- 1 Kg. di carne, noi prendiamo il cappello di prete
- 2 Kg. di cipolle miste
- Olio evo
- 1 bicchiere di vino
- Misto di sedano e carota
- 500 gr. Di candele o ziti spezzati
- Aromi e spezie a seconda della ricetta di famiglia
- Sale q.b.
- Pepe
- Parmigiano
- Procedimento
Preparazione
In un tegame basso e capiente far soffriggere in olio evo sedano e carota sminuzzati, poi far rosolare la carne in modo che perda già una parte dei suoi umori, io aggiungo un bicchiere di vino che lascio evaporare, ricoprire di cipolle affettate finemente, aggiungere un bicchiere d’acqua e lasciare cuocere a fuoco lento sino a che le cipolle saranno completamente consumate, dal colore ambrato e dall’aspetto cremoso. Solo a cottura ultimata aggiungo sale e pepe.
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