– del Guardiano del Faro –
“Guardiano, allora, ti è piaciuto? “
“Si, Gennarino, la tua cucina mi è piaciuta, mi hai convinto.”
Ma non solo la cucina, per quanto ovvio fulcro di ogni ristorante, anche per tutto quanto concerne e contribuisce alla concezione di ospitalità e ristorazione di alta qualità. Qui c’è tutto, e anche di più, c’è l’indispensabile più qualcos’altro meno identificabile, qualcosa nell’aria, energia positiva, stato di benessere. La prima cosa che mi è accaduta, dopo aver attraversato la terrazza e l’immacolata sala , è stata la naturale attrazione verso la cucina. Non so come o perchè ma mi sono diretto verso il pass, come se ci fossi sempre stato in quel posto. Gennarino dall’altra parte mi è venuto incontro con il suo sorriso infantile e disarmante con in mano un vassoio di croccanti frittelline di carne ( non so come si chiamino localmente) , offrendomele istintivamente, come ci fossimo sempre conosciuti, invece era la prima volta che ci vedevamo, ma forse anche no, chi lo sa. Ne ho presa una e via, la serata è partita subito bene.
Fuori subito dalla cucina però, perché c’è traffico al pass. Il tempo di osservare il quadro generale della brigata che lavora silenziosamente, lo chef osserva senza dover mai alzare il tono della voce.
Ora, leggendo queste ultime righe i ragazzi di cucina di Gennarino sorrideranno, figuriamoci quanti urli avrà dovuto cacciare lo chef per raggiungere questa calma apparente che pare regnare in tutte le cucina del mondo quando a tavola ci sono 40 persone che si aspettano un grande pranzo, una sontuosa cena. In realtà la tensione sale e sarà lo chef di mestiere e di carisma a saperla gestire per ottenere il massimo dalla sua squadra.
Pulizia, ordine, rigore, precisione, modernità. Non sarebbe neppure servito sedersi a tavola a mangiare per capire che i piatti avrebbero inevitabilmente seguito la traccia, il solco delineato dallo chef. Perché qui lo senti nell’aria chi è che comanda, non ci sono dubbi o incertezze di sorta, e quindi tutto ruota attorno al Faro, riferimento di tutti e tutto, cuochi, sommelier, cameriere, e anche i clienti. C’è una parola pacata e attinente per tutti. Questo non consente che ci siamo sbavature o mancanze evidenti per tutto il tempo del servizio, dove ognuno sa cosa deve fare e nel dubbio gira un occhio al suo riferimento per risolvere rapidamente senza che il cliente neppure avverta un indecisione.
Due parole sulla torre prima di tornare alla cucina. La torre con lo spazio acustico, curioso esperimento di utilizzo di uno spazio anomalo, così come i sotterranei della cantina, ricca di oltre 2000 etichette e chissà quante migliaia di bottiglie infilate ovunque sia rimasto un minimo spazio.
Solo un dubbio, mi è sembrata un po’ troppo calda e poco aerata questa cantina, ma è vero che siamo in agosto e quindi qualche variazione di calore e umidità (questa più fondamentale del resto) non è detto che sia negativa per la naturale evoluzione dei vini, forse più veloce che altrove, ma che volete fare, lo spazio è quello, e allora vorrà dire che finalmente si potrà bere qualche vino evoluto al punto giusto senza attenderlo decenni.
Alla fine, la cucina è quella che ti aspetti, è lo specchio delle impressioni iniziali. Una cucina rigorosa, fresca, pulita, concisa. Però semplice, una cucina facilmente comprensibile dove le tecniche contemporanee non sono ostentate e forse neppure molto utilizzate , tanto sono primari i sapori e gli abbinamenti. Qui è abbastanza chiaro che si voglia mantenere aderenza con il territorio e con il pubblico locale. Poi, accontentati e soddisfatti gli indigeni sarà naturale attendere la bella clientela internazionale che sarà altrettanto felice di affrontare una cucina “ vera ” . Una cucina realistica che non può non piacere, perché ha i caratteri definiti nella direzione del gusto , dei sapori di quella terra, appena civilizzati e mai sopraffatti da sovrastrutture inutili se non addirittura nefaste.
Nei piatti che ho assaggiato ho trovato una coerenza, un filo logico, un metodo e uno stile che ti accompagna dall’inizio alla fine senza cadute e senza sussulti. Tutto molto armonico, senza cercare di varcare la soglia della cucina cerebrale , quasi rendendosi conto quale sia il limite concettuale dove fermarsi, senza rischiare forzature che potrebbero si portare a piatti di altissimo profilo ma anche il rischio del flop.
Una cucina consapevole, equilibrata , di congiunzione tra il mare e la terra, tra lo chef e i suoi clienti. Quasi sicuramente non la miglior cucina italiana nel miglior ristorante italiano, questo no, e credo che carpendo uno sguardo dagli occhi vispi di Gennarino credo di aver intuito che pure lui sia consapevole di non essere il numero uno, ma un grande interprete dell’artigianato in cucina questo si, questo glielo si deve tutto.
Abbiamo mangiato
Melanzane alla Scapece, Palamita e Ostrica Con Profumo di Limone e Vaniglia
Parmigiana di Pesce Bandiera
Zuppa di Tarallo di Agerola, Conserva di Pomodoro e Varietà di Pesce Azzurro
Minestra di Pasta Mista di Gragnano con Pesci di Scoglio e Crostacei
Vermicelli con Cipollotto Nocerino, Cozze e Bottarga di Muggine
Agnello Laticauda con Parmigiana di melanzane
Baba’ Napoletano con Crema Pasticcera e Fragoline di bosco
Non serve neppure scendere troppo in dettaglio della singola preparazione per ricordare che tutto segue il fil rouge di un pensiero coerente, dove l’ampiezza di idee , di prodotti, di ricette, di rifiniture di classe sono disseminate con cura e buon senso, senza mai rischiare il fuori giri.
Se fosse in Francia, Gennarino avrebbe già vinto il suo M.O.F. , il premio per il miglior artigiano dell’anno, che per i cuochi è un riconoscimento che certifica la capacità tecnica, addirittura usando umilmente il termine di Ouvrier, operaio. Umiltà, io ci ho visto umiltà, capacità , umiltà, competenza, senso della misura, tutte qualità che farebbero bene ad acquisire anche quelli che valutano e giudicano il suo locale.
Qui il precedente post sulla Torre del Saracino di Gennaro Esposito
Qui il reportage di Monica Piscitelli da dentro la cucina di Gennaro Esposito
Qui la recensione di due anni fa sulla Torre del Saracino
Dai un'occhiata anche a:
- Addio a Giovanni Struzziero, il viticoltore silenzioso
- Le persone più influenti nel mondo gastronomico italiano
- Addio a Romolo Algeni, l’amico di tutti da New York
- L’uomo cucina, la donna nutre – 12 a Paternopoli Valentina Martone, la signora dell’orto del Megaron
- Pietro Macellaro, dalla fava di cacao alle sue fantastiche uova di Pasqua
- Roberto Canestrini, l’enologo giramondo più esplosivo che ci sia
- Teresa Mincione, dalla toga al Casavecchia: Nulla è per Caso
- Addio Raffaele Vitale, l’architetto che conquistò la stella