di Stefano Tesi
Galeotti furono i tortellini alla panna – lo ammetto, una mia antica debolezza – di una storica trattoria sulle colline di Firenze, così diverse da quelle della campagna pisana nel triangolo tra Peccioli, Pontedera e Montopoli della quale in realtà stavamo parlando.
E galeotto fu pure il toponimo: Montanelli. Con una nome così, potevo resistere?
Ci mise ulteriormente del suo, nel titillare la mia personale curiosità, la circostanza che al centro del progetto ci fosse un insediamento altomedievale in rovina, tutto da recuperare.
Poi vennero tutti quei numeri un po’ così. Stridenti, diciamo: 720 ettari totali di tenuta, 6mila olivi sparpagliati su 34 ettari, appena 100mila bottiglie di vino prodotte su 17 ettari di vigne a regime con ulteriori 13 in divenire (Sangiovese, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot, allevati in pari proporzioni), un progetto da 43 appartamenti da 300 mq l’uno per una sorta di resort diffuso di lusso. Ciliegina finale: un investimento di 250 (due-cinque-zero) milioni di euro, di cui 60 già spesi dal 2000 ad oggi tra l’acquisto della proprietà, espianto vecchi vigneti e costruzione di una “cantina provvisoria”, 15 per la nuova cantina in costruzione da quest’anno e l’avanzo per il resto.
Un bendiddio che, dal 2015, è in mano, sia come amministratore che come direttore, all’enologo ed agronomo David Landini, personaggio singolare con alle spalle esperienze in primarie aziende vinicole toscane e non (Frescobaldi, Antinori, Bertani tra le altre) ma desideroso, ipse dixit, di essere un “uomo solo al comando”.
Dopo i proprietari, ovviamente, la famiglia inglese Hands, “attivi – dice la biografia ufficiale – nel mondo della finanza e dell’hotellerie di lusso”.
Stiamo parlando di Villa Saletta, in comune di Palaia, una realtà che per dimensioni, investimenti e “modello di business”, come si usa dire oggi, è parecchio lontana dai casi di cui siamo abituati a occuparci in Toscana e molto più vicina, per respiro e riferimento, a certe grandi operazioni internazionali.
Eppure, oltre al metodo gestionale, in essa c’è qualcosa di ancora più originale, che ci sembra rendere il caso abbastanza fuori dal comune. E non è né la pur importante vocazione “green” dell’impresa, una scelta (sociale e di marketing) ovvia in operazioni di questa portata, né la volontà di valorizzare altre indubbie ma implicite risorse della tenuta, come la tartuficoltura e la selvaggina.
Il tratto innovativo sta in una visione dell’azienda come di un ecosistema capace di sostenibilità non solo, come prevedibile, nelle attività da reddito, ma soprattutto in quelle da reddito minore o da nessuno reddito, in una sorta di concezione “neorurale” non frequente alle nostre altitudini: “A Villa Saletta la produzione non riguarda soltanto il nostro core business e cioè il vino – sottolinea Landini – ma coinvolge una biodiversità che definirei sostanziale. Gran parte dei terreni aziendali sono destinati infatti a varie coltivazioni agricole come orzo, avena, pioppi, erbe e fiori di campo. Tutto ciò viene tenuto in piedi, oltre che per favorire l’equilibrio dell’ambiente, anche per mantenere viva la straordinaria tradizione di questa fattoria, che nei secoli ha maturato, nonostante i vari passaggi di mano, una sua fisionomia variegata, in qualche modo antica, poco compatibile con l’idea di monocoltura da reddito oggi prevalente, secondo la quale la diversificazione colturale avviene più per declassamento dei suoli in base alla loro redditività che per una reale scelta agronomica”.
E’ con queste parole in mente che mi sono accostato all’assaggio di molti dei copiosi vini prodotti in azienda.
Ecco i più convincenti.
980AD 2015
Fatto con 100% di Cabernet Franc è il cru aziendale, trascorre 24 mesi in barrique e altri 6 mesi in bottiglia.
E’ di un bel rubino di media intensità, appena aranciato. Naso intenso ed elegante, molto varietale, con frutta rossa matura, spezie, arbusti aromatici. In bocca è coerente al tipo: morbido e denso, tannino equilibrato, corposo.
Chiave di Saletta Toscana Igt 2015
Sangiovese 50%, Cabernet Sauvignon 20%, Cabernet Franc 20% e Merlot 10%. Rosso scuro con riflessi bluastri, naso compatto che lentamente rilascia una lunga scia di cacao e di caffè. Al palato è pastoso e vellutato, con una sensazione di calore e un finale balsamico.
Chianti Docg 2015 – dal vigneto Macelli
Sangiovese 92%, Cabernet Sauvignon 4% e Merlot 4%. Fermentato in acciaio, fa un anno in botti grandi e in barrique di secondo passaggio.
Il colore rubino pieno lascia spazio a un naso asciutto, diretto, molto pulito e quasi croccante, con un bel frutto in evidenza. La stessa piacevole pulizia e linearità si ritrova in bocca, con un finale vibrante, appena ruvido.
Dai un'occhiata anche a:
- Garantito IGP | Varramista 2018 Toscana Igt, Fattoria Varramista
- Garantito Igp. Miniere 2020 Greco di Tufo docg, Cantine dell’Angelo
- Garantito IGP | Almatò, il ristorante romano dove vige la regola del tre
- InvecchiatIGP: Barbera d’Asti Superiore Nizza 2012, Cantina Sociale Barbera Sei Castelli
- VINerdì | Radovič – Raro 2020
- Invecchiati IGP | Barbera d’Asti i Bricchi di Castelrocchero 1996, Scarpa
- VINerdì IGP: Vino Spumante Metodo Classico Cuvée Ca’ del Tava, Monsupello
- InvecchiatIGP | Calcinaia Chianti Classico Doc 1969 Conti Capponi