di Lorenzo Colombo
Il vitigno
E’ curiosa la storia della genesi del Rebo, vitigno che deve il nome al suo inventore, Rebo Rigotti, ricercatore e sperimentatore presso la Scuola Agraria di San Michele all’Adige, che ha ottenuto questa nuova varietà nel 1948 tramite l’impollinazione di un fiore di Merlot con uno di Marzemino e che registrò questo incrocio col nome di 107-A.
Il nuovo vitigno venne poi iscritto al registro Nazionale delle Varietà di Vite nel 1978 col nome del suo inventore.
Ma la storia non finisce qui, infatti successive analisi genetiche hanno stabilito che in realtà si tratta di un incrocio tra Merlot e Teroldego.
Il vitigno, il cui utilizzo è autorizzato nella Doc Trentino e in poco meno di una quarantina di vini ad Igt è assai poco diffuso, nel 2010 infatti il censimento agricolo ne contava solamente 119 ettari mentre l’edizione 2020 del Which Winegrape Varieties are Grown Where, che prende in considerazione l’anno 2016, ne conta solamente 92 ettari in tutto il mondo, 85 dei quali in Italia e di questi 60 nella provincia di Trento.
La sua area di diffusione principale rimane la Valle dei Laghi, nei comuni di Cavedine, Calavino, Volano e nella frazione Padergnone del comune Vallelaghi oltre che in quello di San Michele all’Adige.
Il Reboro
Il Reboro è frutto di un progetto di alcuni vignaioli della Valle dei Laghi che, forti dell’esperienza e della tradizione nella produzione del Vino Santo Trentino hanno pensato di mettere ad appassire anche le uve di Rebo e di trarne quindi un vino rosso passito.
La presentazione di questo nuovo vino è avvenuta nel 2012, in occasione dell’evento annuale dell’Associazione dei Vignaioli del Vino Santo Trentino.
Per la sua produzione vengono accuratamente scelte le uve migliori che vengono poste ad appassire sulle arele (graticci di canne) sino alla fine di novembre, dopo la vinificazione il vino deve maturare in botti di rovere per almeno tre anni.
I vini in degustazione
Le uve provengono dal vigneto San Siro, allevato a Guyot su suolo calcareo.
Il vino s’affina per tre anni in barriques e per un anno in bottiglia.
Sono tre le annate che abbiamo avuto il piacere di degustare, 2018, 2016 e 2014, ecco le nostre impressioni:
2018 – Color prugna, profondo.
Buona la sua intensità olfattiva, ampio, balsamico, mentolato, prugna secca, prugna in confettura, ribes nero, accenni di vaniglia e di salamoia.
Intenso e strutturato, asciutto, con tannino importante ma mai aggressivo, speziato, s4entori di caffè, liquirizia forte, prugne secche, accenni di radici, buona la persistenza.
2016 – Il colore vira tra il granato profondo e compatto ed il prugna.
Intenso al naso, balsamico, elegante e di buona complessità, prugna secca, ciliegia, frutti di bosco a bacca nera, spezie dolci, vaniglia, liquirizia dolce, cioccolato, note mentolate, accenni di caffè.
Morbido e succoso, strutturato senz’essere pesante, vi ritroviamo i sentori di prugna secca e ciliegia matura, liquirizia dolce, cioccolato, vaniglia, sentori mentolati, buona la sua trama tannica e lunghissima la persistenza.
2014 – Color granato, con unghia tendente al mattonato.
Buona la sua intensità olfattiva, vi cogliamo sentori di radici, liquirizia, spezie, vaniglia, cannella, cioccolato amaro e prugna secca.
Strutturato, alcolico, asciutto, con tannino leggermente asciugante, presenta sentori di liquirizia, prugna secca, ciliegia matura, cioccolato, accenni di caffè, tracce mentolate e leggeri ricordi di legno, buona la sua persistenza.
Tre annate che, pur presentando un comune denominatore sono abbastanza diverse tra loro, riteniamo che questo sia dovuto in parte all’annata ma soprattutto (secondo noi) alla diversa maturità dei vini, dei tre quello del 2006 è per noi il più completo, più maturo e complesso rispetto a quello più giovane e più fresco, in forma e scattante rispetto al 2014.
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