Se c’è una cosa che non manca nel nostro trascuratissimo Paese è la bellezza, ci stanno provando in molti a deturparla, a deteriorarla, a demolirne quel fascino e quella storia che ci dovrebbero rendere orgogliosi di essere italiani, non per un senso di patriottismo ma piuttosto di appartenenza, quasi fisica.
Come è logico, degli oltre ottomila comuni che danno testimonianza della nostra civiltà, sono le grandi città a fare la parte del leone nell’attrattiva turistica, da Venezia a Firenze, da Napoli a Roma.
Ma ci sono territori e luoghi che, pur non potendo offrire la stessa varietà di opportunità culturali e di servizi, meritano assolutamente di essere conosciuti e rappresentano in qualche modo dei piccoli gioielli, delle testimonianze di una terra che andrebbe preservata, sostenuta, amata.
La settimana scorsa mia moglie aveva espresso il desiderio di visitare la Basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila, ed io ho colto l’occasione per allungare il viaggio di altri 26 km per portarla in un piccolo borgo a 26 km da quella straordinaria città tuttora devastata dal terremoto del 2009: Santo Stefano di Sessanio.
Debbo dire che da quel tragico 6 aprile 2009 è stata la prima volta che ho rivisto il capoluogo abruzzese, ed è stato davvero un tuffo al cuore, osservare quelle case con tetti e pareti crollati, finestre e porte spaccate, cumuli ancora di macerie in molte zone del centro storico, mi ha dato come l’impressione di una città che ha subito un bombardamento.
E vedere ancora, dopo cinque anni dal disastro, attività commerciali che sopravvivono all’interno di chioschi di legno o anche peggio, ai confini di un centro transennato, che si è spopolato a favore di una periferia dove decine di gru testimoniano un paesaggio completamente trasformato, uno schiaffo alla bellezza e alla storia de L’Aquila, è davvero intollerabile e inaccettabile.
Ma il mio articolo non è nato con l’intento di mettere il dito nella piaga, di denunciare malaffari e pessima politica (non a caso ho evitato di mostrare fotografie della città), bensì è la testimonianza di un’esperienza breve ma intensa, che mi ha posto di fronte a inevitabili riflessioni.
Fra l’altro la visita alla Basilica è stata solo esteriore, non avendolo letto sul →sito, non sapevamo che da agosto 2013 la Basilica di Collemaggio è stata chiusa con un’ordinanza in seguito alla relazione presentata da un gruppo di esperti, che metteva in evidenza la necessità d’intervento per restaurare le numerose parti danneggiate dal terremoto. I lavori di restauro dell’intero complesso sono finanziati dall’Eni e si prevede la fine lavori nel 2016…
Lasciata L’Aquila dopo un frugale pasto, abbiamo preso la Statale 17 in direzione di Barisciano, il percorso fino al Comune è piuttosto scorrevole e inizia a salire dolcemente, ma la vera impennata la fa non appena si gira a sinistra per Santo Stefano di Sessanio, nel giro di pochi chilometri si va da circa 800 agli oltre 1250 del piccolo borgo, abitato da circa 120 persone.
La sensazione che abbiamo avuto sin dal primo impatto visivo è stata di un luogo dove regna la pace in un paesaggio mozzafiato. Per i più curiosi, ci sono tre ipotesi sul termine “Sessanio”, la più accreditata è che potrebbe essere una corruzione di Sextantio (non a caso nel borgo c’è un albergo che prende questo nome), dall’antico toponimo del primo insediamento romano, che sorgeva a 6 miglia dal centro abitato più vicino, Peltuinum, sull’altopiano di Navelli dove cresce lo zafferano. La seconda ipotesi vede in “sessanio” una corrispondenza con “des six ans”, ovvero dei sei anni, la condanna che un tempo si dava ai ladri che venivano incarcerati nella rocca del paese. L’ultima è che il nome deriverebbe da “six anni”, anche in questo caso riferito a una condanna che veniva inflitta durante l’impero romano.
Per chi parte da Roma è un viaggio di circa un’ora e mezza, ne vale la pena, credetemi, fra l’altro ci si potrebbe fermare per un week-end, ci sono sufficienti appartamenti e camere dove poter alloggiare, inoltre appena fuori del paese c’è un “ristocamping” delizioso, a dimostrazione che si può arrivare anche in camper o con roulotte.
Il borgo è molto raccolto e ha rappresentato sin dal 1300 un esempio tipico di fortificazione, fa parte del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, la sua posizione è semplicemente magnifica, la veduta sul territorio montuoso abruzzese ha pochi eguali.
Inoltre c’è qualcosa che rende questa località meritevole di attenzione: nonostante il modestissimo numero di abitanti, o forse proprio per questo, i sindaci che si sono succeduti negli ultimi anni hanno contribuito a valorizzare le qualità turistiche e paesaggistiche del territorio, mentre i cittadini, volontariamente, hanno dato il loro contributo alla pro-loco dalla fine degli anni Sessanta fino ad oggi, consentendo a Santo Stefano, nonostante i danni subiti dal terremoto del 2009, di tornare ad essere una vera attrattiva ed entrare a far parte del Club dei Borghi più belli d’Italia.
Come se non bastasse, nel 2004 è arrivato in paese un giovane imprenditore milanese di origini svedesi, Daniele Elow Kihlgren, che innamoratosi del posto ha acquistato alcune case diroccate in pietra, abbandonate e bisognose di restauro, da qui in poco tempo ha realizzato quello che lui stesso chiama “albergo diffuso”, il Sextantio, dietro a questo termine c’è un valore, una filosofia, che mette davanti a tutto l’inedificabilità nel rispetto dell’esistente; infatti per dare vita a Sextantio sono stati usati solo materiali locali, non è stato costruito alcun nuovo edificio, non è stato aggiunto nulla a ciò che già era lì, non sono state aumentate le cubature né modificati gli arredi, ma sono stati effettuati solo adattamenti e riparazioni.
Passeggiando tra i vicoli del borgo abbiamo scoperto che ci sono ben due gelaterie artigianali (in quella nella foto abbiamo apprezzato molto pistacchio, nocciola, crema, stracciatella e “Gran Sasso”) e alcune botteghe di abbigliamento e oggettistica davvero interessanti.
Spero con l’aiuto di queste immagini di avere stimolato la vostra curiosità, fra l’altro tutta la zona merita di essere visitata, fotografata, “camminata”, anche perché a oltre 1200 metri non si soffre neanche il caldo…
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