di Luciano Pignataro
Graticciaia. Per chi ha qualche anno in più è un nome evocativo della Puglia come da qualche anno lo è Es di Gianfranco Fino. Graticcia, Notarpanaro, Cappello del Prete, Patriglione erano parte della fenomenale squadra di capolavori messi in campo da Severino Garofano che, insieme a poche altre realtà, segnarono la rinascita del vino pugliese, anzi la liberazione da una visione antica e mortificante di silos rovesciati dai contadini francesi. Anche la Puglia divenne protagonista della rivoluzione vitivinicola italiana, un processo iniziato appunto negli anni ’90 e che oggi è una realtà concreta ancora in crescita.
Per presentare l’ultima annata di Graticciaia, la 2016 interamente curata da Marco Mascellani, Francesco Vallone ha deciso di fare a Lecce una piccola verticale molto coraggiosa affiancando il 2011 firmato da Graziana Grassini e la 2004 di Severino Garofano.
Il tempo vola, era dal 2011 che non partecipavamo ad una verticale di Graticciaia, anche questa a Lecce organizzata dall’Ais in occasione del congresso nazionale.
Ieri come oggi il tema di questa degustazione è il seguente: come si deve valutare un mostro sacro quando c’è il cambio di mano? E’ bravo l’enologo che riesce a garantire una continuità di stile o quello che invece riesce a dare una nuova impronta personale? Come al solito la verità sta in mezzo, non solo perché cambia l’enologo, ma anche perché cambiano i gusti e cambiano soprattutto le vendemmie sotto la pressione del global warming.
Ed è proprio questo equilibrio che secondo noi è stato centrato nella degustazione perché al di là dei tre stili diversi, è emersa la forza del vigneto Caragnuli ad alberello di Negroamaro piantato su terreno argilloso e sabbioso nella zona di San Pancrazio negli anni 50. Se ne producono circa 25mila bottiglie, 200 ettolitri in sette ettari. La raccolta avviene a metà settembre e le uve vengono lasciate ad un leggero appassimento, per circa 15/20 giorni, su graticci disposti sulle terrazze del Castello di Serranova
Si potrebbe dire una goccia per una azienda di 500 ettari suddivisi in 3 unità produttive nei comuni di San Pancrazio Salentino, San Pietro Vernotico e Carovigno. Ma è la goccia più rappresentativa dell’Agricola Vallone gestita dal 2014 da Francesco, quarta generazione, figlio del mitico Franco scomparso prematuramente dopo aver ristrutturato e riorganizzato la cantina negli anni ’70.
Ma ecco le note di degustazione
Graticciaia 2016
Colore rubino, nota giovanile. Ancora più snello e moderno grazie alla estrema bevibilità, alla buona morbidezza. Insomma, il Graticciaia ha fatto un po’ di cura dimagrante e gli ha fatto bene. I tannini sono stati trattati in maniera davvero eccellente, come del resto nei due precedenti. Un vino che deve ancora distendersi, ha bisogno di ancora almeno un altro anno di bottiglia per riequilibrarsi. Molto piacevole il finale. Grande acidità che fa salivare. Non ha ancora la complessità dei due predecenti. Usati Tonneaux e barrique
Graticciaia 2011
Le note sono di frutta rossa, più snello e meno appariscente. Il colore è rubino. Un naso che deve essere cercato nel bicchiere, il tono più austero. In questo caso si cerca soprattutto l’eleganza più che la potenza. Il palato è un po’ più avanti rispetto al naso: si ritrova meglio il sentore di frutta matura più che sotto spirito. Si è lavorato maggiormente sulla morbidezza, la setosità dell’impatto sul palato, ma alla fine si rivela più verticale del primo, sicuramente più snello. Lungo, con una chiusura pulita e amara che, come il precedente, rimanda alla voglia di ricominciare la beva. Barrique primo e secondo passaggio.
Graticciaia 2004
Colore granato. Grande freschezza, al naso si percepisce ancora la ciliegia sotto spirito. Il naso è arricchito da piacevoli note balsamiche, perfetta la fusione fra il frutto e il legno usato. Note di china, rabarbaro, mandorla, rimando tostato, carruba e tabacco. Si tratta di un vino tipico di quelli pensati da Severino Garofano, di quelli che si impongono con autorevolezza immediatamente al naso. L’alcol, la potenza, i sentori dolci che costituiscono l’arma segreta vengono ampiamente compensati dalla enorme e insospettabile freschezza che si mantiene inalterata nel corso degli anni. Il finale amaro lascia pulita la bocca con una grande voglia di ripetere il sorso.
Una miniverticale coraggiosa, senza rete potremmo aggiungere che regala una certezza: il Graticciaia ha una lunga storia da raccontare dal 1986 ad oggi, ma quella che ci riserva il suo futuro sarà ancora più lunga e appassionante.
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