di Stefano Tesi
Chiamiamole convergenze parallele. Oppure coincidenze parallele.
Sta di fatto che in questi giorni, andando per vini coi miei compari IGP, mi trovo a solcare in lungo e in largo la Langa e il Monferrato, sospeso tra gli spettacolari anfiteatri dei vigneti, pettinati come le chiome imbrillantinate di una lucrosa monocoltura, e gli austeri castelli sabaudi che torreggiano sulla sommità delle colline. Roba da cartolina. E ti chiedi come possano stare in piedi quei fianchi a impluvio, senza un bosco, con le strade a raggiera che sembrano scoline verticali: bellissime a vedersi, ma una follia idrogeologica.
Poi scendi a valle. E in pianura l’incanto sfuma tra chilometri di capannoni, autorimesse sghembe, fabbrichette variopinte. Fiancheggiate dai resti di una campagna sciatta, a volte inselvatichita.
Esempio perfetto, pensi tra te e te, di un contesto estetico ed enogastronomico in cui all’eccellenza del contenuto non sempre corrisponde quella del contenitore.
Poi ci rifletti meglio. E ti ricordi che nella tua regione, la Toscana, dove certo non mancano analoghi sconci e analoghe eccellenze, in questi medesimi giorni si parla diffusamente di paesaggio. Forse troppo. Ci si interroga sulle emergenze locali (l’altroieri a Siena: “Salviamo il paesaggio senese”) e quelle generali (domani a Fiesole, qui, nella giornata nazionale dedicata all’argomento a suggello della nascita dell’Osservatorio sul Paesaggio), ora sull’idea di un ambiente (spesso scambiato per paesaggio) che debba essere “volano” (ma non si capisce bene come) di un immancabile “sviluppo” (sempre ieri, a Firenze, nell’ambito di un progetto di cooperazione europea), nonché sull’esigenza di tutelare e di prevenire gli abusi.
Ma il tema più interessante è un altro. E se ne parlerà fino a domani al Lubec di Lucca, la rassegna internazionale sui Beni culturali e le tecnologie ad essi applicate: quali interferenze intercorrono, se ne intercorrono, tra il contesto paesaggistico nel quale uno vive e la personalità del soggetto stesso?
Impossibile non porsi lo stesso interrogativo, in un’epoca in cui questo contesto cambia, tanto nel tempo quanto nello spazio, così velocemente che i “contesti” rischiano di finire condivisi, se non sovrapposti. Con te preso in mezzo.
Qual è allora il rapporto reale, si chiedono gli esperti, tra la “place identity” (ma non era meglio dire genius loci?), ovvero l’identità del luogo, e la “self identity”, ovvero quella individuale?
“Vivere nelle campagne del Chianti, nelle periferie nordoccidentali di Parigi, o negli immensi viali di Los Angeles, non è la stessa cosa”, ha spiegato giorni fa, un po’ lapalissianamente, al Corriere della Sera Paolo Fuligni, psicologo, docente universitario ed esperto di ecologia urbana, tra i relatori della kermesse lucchese. Bisogna considerare infatti che “a paesaggi e ambienti fisici armonici ed esteticamente gradevoli – ha continuato – corrispondono positive e benefiche attivazioni di aree encefaliche importanti”.
E’ sulla base di questi assunti che Fuligni e suoi collaboratori stanno cercando di creare una mappa dei caratteri delle città e delle campagne italiane. Operazione lunga e complessa, che comincerà dalla Toscana e si estenderà poi a tutte le regioni italiane.
Il rischio però, ci permettiamo sommessamente di suggerire, è che il progetto giunga a termine quando i confini tra i due ambienti si saranno definitivamente dissolti. E tutti ci aggireremo, indifferentemente, tra vigne urbane o tra città vitate.
Rimpiangendo forse le alture delle Langhe ed anche qualche bruttura di fondovalle.
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