di Roberto Giuliani
Chi ha avuto modo di conoscere Marino Colleoni, sa sicuramente che è un filosofo prestato all’arte contadina; bergamasco, quindi tosto e caparbio, nel 1989 si trasferisce con la moglie Luisa a Montalcino in quella località che i montalcinesi conoscono come “Sante Marie”.
Pur avendo nel cuore il sogno di produrre vino, inizialmente la struttura ha finalità agrituristiche, ma intanto Marino lavora per recuperare 2,5 ettari di ulivi e studia suoli, piante, insetti, la natura che lo circonda, perché il suo obiettivo è vivere in simbiosi con l’ambiente, impattando il meno possibile.
Nel 1995 scopre casualmente nel bosco circostante vecchie viti, filari seminascosti, decide allora di preparare il terreno, riportare alla luce le viti, ricostruire i tipici muretti a secco indispensabili su simili pendenze e in poco tempo realizza circa 3 ettari vitati.
Finalmente, nel 2000, inizia la produzione del Brunello di Montalcino, che commercializzerà a gennaio del 2005.
Il suo approccio naturale, la sua visione che ricorda da vicino quella del mitico Masanobu Fukuoka, trasferita sulla vigna, non sono frutto di casualità, ma provengono dalla profonda convinzione che l’uomo deve fare vino negli ambienti giusti, deve assecondare i cicli vitali delle piante, deve imparare a “leggere” le loro necessità, a utilizzare tutti i sistemi di difesa che la natura stessa mette a disposizione, quindi niente chimica ma metodi del tutto naturali, sfruttando anche gli antagonisti che l’ambiente stesso fornisce.
In cantina le vinificazioni sono condotte con lieviti indigeni, senza controllo della temperatura, le fermentazioni vengono svolte in botti da 20 hl per circa una settimana e le macerazioni durano 20-25 giorni.
Basta farsi un giro in vigna per rendersi conto che qui tutto vive in simbiosi, condizione ideale perché certi parassiti e certe malattie fungine non invadano il campo, ma si limitino a qualche sporadica apparizione. Un problema che molti si rifiutano di capire, se fai la vigna in posti non adatti, se crei decine di ettari vitati uno a fianco all’altro, fai monocoltura, cosa ti aspetti che succeda? Poi ti lamenti se arriva la peronospora e in pochi giorni invade tutto?
Il 13 novembre 2022 sono andato a trovarlo, abbiamo fatto una lunga chiacchierata, anzi, direi che è lui che ha raccontato se stesso, ha parlato della sua vigna. Il suo vino è sempre tutto venduto, difficile trovare qualche bottiglia da lui, infatti mi ha regalato questa bottiglia di Riserva 2017 ancora non etichettata, annata che qui è andata molto bene, dimostrando ancora una volta che giudicare un’annata in modo generico è sempre profondamente sbagliato.
Credo che online il vino sia ancora acquistabile, il prezzo medio si aggira ben oltre i 100 euro, del resto con una produzione totale di circa 8000 bottiglie fra Rosso, Brunello Sant’Anna e Santa Maria, bianco Perluisa (da ansonica), rosato, rosso Selvarella, rende questa Riserva un prodotto di nicchia.
Del resto, basta berne un sorso per rendersi conto che li vale tutti, i profumi inebrianti che fanno capoccella con insistenza parlano chiaro, questo è un signor Brunello, pieno, vigoroso, complesso, ma anche elegante, terragno, profondo, con la mora selvatica in primo piano, una forte impronta di macchia mediterranea, non si fatica a cogliere l’alloro, la felce, ma anche note di liquirizia, cacao, noce moscata, mallo di noce, persino qualche spunto agrumato.
L’assaggio rivela un equilibrio invidiabile in ogni sua componente, freschezza, tannino e sapidità sono in armonia, il frutto è perfetto nella sua maturità, l’alcolicità si nasconde magnificamente dando l’impressione di essere poco sopra i 13 gradi, mentre in realtà ha sicuramente raggiunto i 14. Questo 2017 ha il pregio di essere assolutamente godibile già ora, pur avendo tutte le condizioni per evolvere altri vent’anni.
Mi sa che farò presto un’altra visita in azienda…
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