di Luciano Pignataro
Sappiamo dei Barolo Boys ma dei Barbaresco Boys nessuna traccia. Forse il motivo è che questo vino alla fine è sempre restato fedele a se stesso, sicuramente low profile rispetto alle polemiche e agli scontri degli anni passati, e anche rispetto ad un certo rampantismo commerciale.
Pio Cesare (cognome e nome per la precisione e non viceversa come si potrebbe pensare) ha proseguito dritto per la sua strada ormai da cinque generazioni dalla fine dell’800 dimostrando che spesso la modernità non vuol dire accelerare o stupire, ma avere la capacità di creare classici che resistono alle modo e si impongono per l’assoluta superiorità dei contenuti, nel caso del vino delle interpretazioni precedenti. Dopo la morte di Pio Boffa avvenuta lo scorso anno, adesso al timone dell’azienda c’è, appunto, la quinta generazione costituita dalla figlia Federica e dal nipote Cesare Benvenuto Pio.
In questa scaletta di nomi e cognomi che ritornano e rimbalzano da una generazione all’altra c’è l’essenza della filosofia di questa azienda che per molte generazioni fuori dal Piemonte è stata a lungo l’unico riferimento di zona.
Durante una degustazione all’Hotel de La Ville a Roma abbiamo avuto modo di provare il rosato Rosy, la Barbera d’Alba, i due Barolo e i due Barbaresco oltre al finale, un Barolo Ormato 2012 in perfetta forma.
Non vi farò tutte le schede, preferisco concentrarmi proprio sui due Barbaresco di solito sempre in secondo piano quando si parla di Pio Cesare.
Barbaresco 2018 docg
Non chiamiamolo vino base per favore, perché è il risultato di una vendemmia nelle vigne Il Bricco di Treiso, Bongiovanni e San Stefanetto a Treiso e a San Bocco Seno D’Elvio di Rocche di Massalupo. Al suo risultato gioca la lunga esperienza secolare con le caratteristiche pedoclimatiche del territorio. La vinificazione avviene in acciaio, successivamente il vino riposa e si eleva in botti grandi tradizionali. L’integrazione tra il frutto e il legno nè semplicemente perfetta, elegante il colore che lascia vedere il fondo del bicchiere, complesso l’aspetto olfattivo con rimandi di frutta, agrumato, spezie, china, nota di cenere appena accennata, lunghissimo al naso. Al palato domina la freschezza che rilancia i sentori annunciati dai profumi e che rivelano un vino in perfetto equilibrio, in una velocità di crociere destinata a durare molti anni. Il finale è straordinariamente pulito, preciso, non stucchevole. Buonissimo.
Sui 55 euro sul web.
Barbaresco Il Bricco 2018 docg
Le uve vengono dall’omonimo vigneto, prima acquisizione della cantina di Alba in zona di Barbaresco a Treiso, con un clima più fresco dovuto all’altitudine maggiore. La prima edizione è del 1990 ed è ottenuto da una selezione di uve. Rispetto al precedente, è leggermente più concentrato già al colore mentre al naso e al palato gioca un ruolo preponderante la frutta rossa croccante. Ha sicuramente una spinta in più rispetto al precedente ma, a nostro modesto avviso, pari complessità. Leggermente più scattante e fresco, con una beva più veloce. Una chicca per appassionati che troviamo sul web a circa 70 euro.
C’è continuità fra le due etichette, come pure dobbiamo dire che la filosofia aziendale mantiene lo stesso passo tradizionale, classico preferiamo, anche quando si passa ai Barolo. Ma di questo parleremo in altra occasione, per adesso ci godiamo questi due straordinari Barbaresco, acuta ed elegante interpretazione del Nebbiolo a Treiso e dintorni.
www.piocesare.it
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