di Carlo Macchi
In una degustazione che copre un periodo di 20 anni, che ti presenta ben 39 vini di tre tipologie diverse (Collio Pinot Grigio, Collio Friulano, Collio Bianco), che parla della storia del Collio e di una cantina che forse non viene percepita per quello che è, c’è il rischio di andare in overbooking enoico, cioè di avere tanti e tali argomenti che qualcuno (anzi più di uno) cannibalizzerà altri.
Per provare a minimizzare questo rischio cercherò di essere da una parte schematico e dall’altra eviterò di tediarvi con una presentazione annata per annata, cercando di centrare, con pochi vini, i molti temi di questa degustazione.
Degustazione che Robert Princic, titolare e anima di Gradis’ciutta ha voluto “Per cercare di capire meglio cosa abbiamo fatto e dove stiamo andando”. Per questo ha chiamato attorno al tavolo non tanto giornalisti ma tecnici e personaggi come Giulio Colomba, che nella storia degli ultimi 30 anni dei vini friulani ha avuto un ruolo assolutamente centrale.
19 annate di Pinot Grigio: la sorpresa!
Abbiamo iniziato con il Pinot Grigio, vitigno tanto amato da Robert quanto “poco amato” (eufemismo) dal sottoscritto. Quando ho visto che si andava indietro fino al 2004 sono rimasto sorpreso e, lo ammetto, anche un po’ preoccupato, sempre a causa del mio “non amore” per questo vitigno che, a livello italico, ho visto declinare o come vino semplicissimo da “esportazione” o come prodotto molto (spesso) troppo- concentrato, appesantito da dosi assurde di legno nuovo.
La degustazione era incentrata sul vino base di Robert, il Collio Pinot Grigio, quindi un vino base, non passato in legno, non certamente fatto per essere invecchiato e tantomeno per essere presentato dopo venti anni: abbiamo iniziato con la 2023 per poi andare indietro sino alla 2012 senza saltare un’annata. Poi, saltando 2011, 2008, 2006 e 2005, siamo arrivati sino alla 2004.
Le prime annate, diciamo fino alla 2019, posso definirle come annate “di rodaggio”. Oramai è infatti normale che una buona cantina abbia bianchi che si sviluppano bene per 5-6 anni e quindi la diminuzione della componente fruttata e floreale era messa in preventivo, un po’ meno la sua fine “sostituzione” con note minerali. In bocca ogni vino manteneva ottima freschezza. La cosa che mi ha colpito di più è stato un progressivo aumento della complessità dei vini, cosa che è continuata, con alcune logiche variazioni dovute all’annata fino almeno al 2014. Altra cosa da sottolineare in questo secondo gruppo è stato il corpo e l’acidità dei vini, che sembrava quasi aumentare annata dopo annata.
La 2014 però, annata piovosa e difficilissima, è stato il punto di svolta della degustazione, sia per la sua acidità importante che per un naso assolutamente giocato su note di idrocarburo. Punto di svolta perché dalla 2013 fino alla 2004 il filo conduttore è stato la sorpresa, culminata con un 2009 spettacolare (ancora fruttato) giovanissimo e profondo e un 2004 ancora molto presente e dinamico.
Tra i commenti durante e dopo l’assaggio voglio riportarvi quello di un tecnico che da circa 40 anni lavora sul Collio “Il Pinot Grigio è stato, praticamente in tutta Italia, “declassato” fin dal vigneto al ruolo di vino semplice facile, immediato. Cloni, forme di allevamento, rese altissime per ettaro, vinificazioni “semplicistiche” hanno snaturato questo vitigno. Gli hanno cambiato i connotati facendo pensare a tutti che il solo suo modo di esprimersi fosse attraverso vini da bere quasi in tempo reale. Questa degustazione ha fatto capire cosa questo vitigno possa dare, semplicemente lasciandolo esprimersi come sa.”
Non solo mi ha trovato d’accordo (con mia sorpresa, ma i vini lo hanno dimostrato) su tutta la linea ma mi ha permesso di rinforzare un mio vecchio concetto e cioè che la forzatura fatta agli inizi degli anni 2000 su tanti vini del Collio (e dei Colli Orientali), proponendo quelli che allora venivano chiamati “Superwhites”, vini iperconcentrati e pieni di legno, ha condotto fuori rotta tanti produttori, portandoli a fare vini muscolari che non erano buoni da bere giovani ma spesso non reggevano nel tempo. Il Pinot Grigio BASE di Robert è la dimostrazione lampante di come un vitigno, semplicemente lasciandolo esprimere, possa in Collio dare grandi risultati, quasi sempre migliori rispetto a berlo nei primi due-tre anni di vita. Bisogna anche dire che una cantina che nel 2004 produceva un Pinot Grigio del genere, andrebbe tenuta in maggiore considerazione e che anche Robert dovrebbe guardarsi allo specchio e vedersi come produttore di vini da anche e soprattutto invecchiamento e non solo da bere giovani.
19 annate di Friulano: la conferma!
Rispetto ai Pinot Grigio abbiamo degustato dal 2023 fino al 2015 (proposto anche in versione tappo stelvin) senza interruzioni. Saltando la 2014 abbiamo proseguito senza interruzioni di annate dal 2013 al 2009 per poi chiudere con 2006 e 2005. Se il Pinot Grigio è un vitigno da me “non amato” il Friulano è invece da sempre per me l’uva/vino che rappresenta in pieno la friulanità, il vino che anno dopo anno mi colpisce in degustazione, insomma quello che amo di più.
Assaggiarne 19 annate, a questo punto paragonandole con quelle del Pinot Grigio, mi ha permesso di avere alcune chiare conferme. La prima è che se devo eleggere le annate migliore degli ultimi 20 anni in Collio, dividendo in due il periodo, metto per il periodo 2004-2015 al primo posto la 2009, seguita dalla 2010 e per il secondo la 2019 e la 2016. Altra cosa importantissima è che un livello alto di acidità nelle uve e nei vini non garantisce di fatto una maggiore serbevolezza: in certi territori e per determinati vitigni (vedi i due presi in considerazione) l’importante è il pH e l’equilibrio generale di un prodotto. Detto questo parliamo dei 19 Friulano BASE, partendo dal presupposto che San Floriano del Collio, cioè la zona dove Gradis’ciutta ha i vigneti, è per me terra più profumi che di potenza.
Le prime annate fino alla 2019, non hanno avuto un andamento paragonabile ai Pinot Grigio, dimostrando come questo vitigno sia più sensibile agli andamenti climatici. Dal 2018 questa “sensibilità alle annate” si è trasformata in un’adattabilità alle annate” cioè quelle più calde hanno presentato una gioiosa maturità e quelle più fresche note aromatiche sull’idrocarburo e freschezza importante al palato. Tra tutti voglio eleggere l’accoppiata 2009-2010 come “coup de coer” (come direbbero i francesi) : due vini di grande profondità aromatica, con il 2010 più su note floreali e il 2009 su sentori minerali, enttrambi di incredibile freschezza e pienezza. Mi piace citare anche la rotonda “piacioneria” del 2012, la durezza storica della 2013 (anche a livello italiano), il grande equilibrio della 2016, la finezza della 2018 e la solare pienezza e della 2022.
Sarà perché amo questo vino ma un andamento più altalenante rispetto al Pinot Grigio lo spiego con la sua assoluta, autoctona “friulanità”, che lo porta a spiccare maggiormente nelle grandi annate ma comunque ad avere un buon paracadute in quelle meno buone. Lo dico prendendo in considerazione non solo questa degustazione storica ma anche tutte quelle che da quasi 20 anni, faccio per Winesurf. Proprio per questo dico che i produttori del Collio, dei Colli Orientali e dell’Isonzo dovrebbero dare sempre più maggiore spazio a questo vitigno, che ha anche il grande pregio di essere da sempre in sintonia con questa terra, cosa non da poco visto la difficoltà crescente delle recenti vendemmie.
Sette annate di Collio Bianco (friulano, malvasia, ribolla) il tempo è galantuomo!
Il Collio Bianco può avere varie facce, ma quella più “furlana” è certamente composta dall’uvaggio friulano, malvasia, ribolla. Questo è per molti, Robert compreso, un vino “importante” e quindi vinificato con l’uso del legno.
Chi mi conosce o magari ha semplicemente letto poche righe sopra sa quanto veda con sospetto l’uso del legno in tanti bianchi e certamente quelli di Robert non fanno eccezione. Abbiamo degustato dal 2019 al 2015, con due innesti “prima e dopo”: la 2021 ancora in affinamento e la 2009.
Quello che mi sento di dire prima di parlare di annate è che se i bianchi friulani hanno bisogno di tempo in questa tipologia ne abbisognano ancor di più, non solo per permettere la legno di essere digerito ma anche e soprattutto per dare modo ai tre vitigni di presentarsi da “soli ma in compagnia”.
In altre parole un Collio Bianco giovane è un riassunto di uno scritto che ha bisogno di tempo per presentare al meglio i protagonisti della storia. Protagonisti con caratteristiche diverse che non è bene assemblare e basta, devono stare assieme, conoscersi e presentarsi in coro: un tenore e un basso non possono cantare bene lo stesso pezzo assieme, ma possono interagire perfettamente in un’opera lirica.
Qui non si canta (almeno che non ne beviate una bottiglia intera…) ma il linguaggio del Collio Bianco 2009 (ancora, che grande annata!) è chiaro nonostante un legno ancora presente: freschezza da una parte (ribolla) , aromi fini e complessi dall’altra (malvasia) e giusta grassezza che amalgama il tutto (Friulano) sono interpreti ben definiti di questa “buonissima opera”, che ha una versione 2015 più calda e avvolgente e una 2017 più prorompente ma ancora troppo “amalgamata a se stessa”.
In chiusura.
Spero di aver reso nella maniera meno noiosa possibile lo spirito di una degustazione numericamente imponente, estremamente piacevole ma molto complessa per riuscire a trovarvi fili conduttori non scontati. Forse la cosa che non ho fatto notare ma che occorre ribadire è che tutto questo mette in mostra la qualità nel tempo di una cantina che forse non molti considerano di alto livello e che probabilmente anche gli stessi titolari fanno fatica a posizionare tra le migliori del Friuli.
Infine credo che diversi produttori friulani, in particolare del Collio, Colli Orientali e Isonzo, abbiano le carte in regola (e le bottiglie in cantina) per organizzare una degustazione del genere. I risultati potrebbero essere migliori o peggiori ma se si vuole tirare su il nome, i prezzi e soprattutto la considerazione dei vini questa è per me la strada giusta, specie se seguita da un numero importante di cantine.
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