Di Andrea Petrini
Il tergicristallo della mia macchina sembra impazzito, è al massimo della velocità, maledetta pioggia non fermerai la mia voglia di girare per le campagne di Matelica con l’obiettivo di raggiungere Aldo Cifola che mi aspetta, ombrello munito, nei pressi di Contrada Monascesca, piccolo borgo lungo la statale per Fabriano che da enclave di un gruppo di monaci benedettini dell’ordine farfense in fuga dai longobardi è diventata oggi, dopo varie peripezie, sede di una delle più importante aziende vitivinicole italiane: La Monascesca.
Con Aldo, che fortunatamente ci viene a prendere con un paio di ombrelli, ripercorriamo subito la storia dell’azienda che nasce quando Casimiro Cifola, suo padre, alla fine degli anni ’60 acquisì il podere cominciando a piantare le prime piante di verdicchio prese dai vari contadini locali e realizzando, nel contempo, la prima cantina di vinificazione. E’ il 1973 quando sul mercato esce la prima bottiglia di Verdicchio di Matelica a marchio La Monacesca.
Il passato recente, invece, Aldo me lo racconta mentre ci dirigiamo verso la cantina osservando i vigneti, causa maltempo, solo da lontano: “Intorno agli anni ’90 dopo essere entrato in azienda, fresco delle mie esperienze di studio, ho iniziato un lavoro di selezione massale sui cloni più importanti del vecchio vigneto selezionandone settanta dei quali una quindicina sono tuttora in produzione. Tutta roba nostra, non acquistiamo nulla dal vivaio! Magari ci teniamo piante con qualche virosi ma, alla fine, queste sono perfettamente acclimatate nel terroir di Matelica. Attualmente abbiamo 27 ettari di vigneto, di cui 17 a verdicchio, 8 a sangiovese grosso e merlot e 2 dedicati ad una piccola produzione di chardonnay che produciamo solo quando viene davvero bene. L’età media dei vigneti è di circa 15 anni, delle vigne di mio padre ormai non c’è più nulla visto che abbiamo cominciato a ripiantare tutto a fine anni ’90”.
Superata la porta di ingresso della cantina, anticipando le mie prossime domande, Cifola non perde tempo e mi spiega in breve la sua filosofia di vinificazione: “noi cerchiamo sempre di lavorare bene in vigneto visto che poi in cantina la lavorazione è molto banale visto che non usiamo pratiche particolari se non una leggera iperossidazione dei mosti a cui segue una chiarificazione per decantazione statica. Successivamente, durante la fermentazione, usiamo solo lieviti selezionati Bayanus, molto alcoligeni e abbastanza neutri, che hanno il pregio di farci mantenere la nostra identità evitando, per i vitigni a bacca bianca, di utilizzare il legno. Finita l’attività fermentativa si effettua il primo travaso lasciando il vino sulle “fecce nobili” fino finché non svolge naturalmente la malolattica per poi passare in bottiglia. L’affinamento ovviamente cambia in base alla tipologia di vino: il Verdicchio di Matelica DOC sta un anno in bottiglia, il Verdicchio di Matelica DOC “Terre di Mezzo” tre anni mentre la nostra Riserva, il Mirum, si fa diciotto mesi in acciaio e circa sei mesi in bottiglia prima di essere commercializzato. Sul rosso, invece, facciamo macerazioni in acciaio abbastanza lunghe e poi si lascia il vino in affinamento per 24 mesi circa in barrique, nuove per la metà e di primo passaggio per l’altra metà. Ulteriore affinamento in bottiglia per altri sei mesi. E’ un progetto a cui tengo molto e per noi che siamo “famosi” per i vini bianchi è sempre difficile proporre il Camerte. I nuovi clienti spesso ci guardano spauriti ma, una volta degustato, devi vedere come cambiano atteggiamento…”.
La giornata uggiosa non ci permette di stare molto di fuori per cui, velocemente, ci dirigiamo verso la sala degustazioni che trovo allestita con una interessante verticale di Mirum.
Mirum in latino significa meraviglia e Aldo Cifola ha voluto dedicare questo vino a suo padre Casimiro soprannominato Miro. Il vino nasce nel 1988 con una identità ben precisa: 14,5 gradi di alcol e un estratto impensabile per un Verdicchio di Matelica fino a quel momento ovvero 26,5 g/l. Nel 1991 la “rivoluzione” era compiuta grazie al primo Tre Bicchieri della sua fortunata storia che cercherò di raccontare nelle righe sottostanti.
La Monacesca – Verdicchio di Matelica “Mirum” 2014: in una annata difficile come la 2014 fare un Mirum all’altezza significa rischiare fino all’ultimo in vigna. Cifola probabilmente ha scherzato col fuoco ma anche stavolta ce l’ha fatto donandoci un Verdicchio di Matelica Riserva forse leggermente più affilato e tagliente della media che sono convinto metterà sull’attenti anche quelli che non hanno mai amato la classica opulenza del Mirum.
La Monacesca – Verdicchio di Matelica “Mirum” 2013: l’annata abbastanza equilibrata e a tarda maturazione rappresenta un partner perfetto per la filosofia di produzione di questo vino che è ancora talmente giovane e contratto che solo il tempo, tanto tempo, potrà indicare la sua esatta parabola qualitativa. Intendiamoci, ad oggi è comunque tanta roba ma la domanda che mi pongo e vi pongo è: meglio un uovo oggi o una gallina domani?
La Monacesca – Verdicchio di Matelica “Mirum” 2012: con una annata calda come questa ti aspetti un Mirum opulento e grasso e invece, grazie ad una acidità totale mostruosa pari a circa 6,2 g/l, ti arriva un Verdicchio talmente completo e goloso che “l’equilibrio sopra la follia” cantato da Vasco Rossi nella canzone “Sally” sembra trovare il suo paradigma enologico.
La Monacesca – Verdicchio di Matelica “Mirum” 2011: l’annata partita in ritardo ma terminata con una maturazione precoce dell’uva regala un Mirum aromaticamente di grande temperamento e profondità caratterizzandosi per un corredo olfattivo dove ritrovo la ginestra, la camomilla secca, gli agrumi, il miele, l’anice stellato, gli idrocarburi e lo zenzero. Sorso come sempre giocato tra potenza, freschezza e sapidità che che donano al vino un naturale equilibrio giocato, comunque, su toni molti alti.
La Monacesca – Verdicchio di Matelica “Mirum” 2010: l’annata, non giriamoci intorno, è stata davvero bella nell’areale del Verdicchio, sia Castelli di Jesi che Matelica, per cui una volta bevuto questo vino da brividi non ho fatto altro che contattare l’Unesco per candidare questo Mirum a patrimonio dell’umanità. Scherzando, rendo comunque idea?
La Monacesca – Verdicchio di Matelica “Mirum” 2009: l’annata buona ma non ottima come la precedente potrebbe creare paragoni impietosi ma anche in questo caso il Mirum sembra cavarsela alla grande con un naso molto intenso dove anzichè la frutta matura e le spezie gialle ti ritrovi una bordata aromatica di salgemma e idrocarburi che fa gridare la parola mare a tutti gli invitati. Il sorso è sapido, intenso ma non particolarmente lungo.
La Monacesca – Verdicchio di Matelica “Mirum” 2008 Ed. Venti Anni: prodotto solo ed esclusivamente in questa annata per celebrare il suo ventennale, è una cuvée composta per l’85% da Mirum 2008 ed il restante 15% dalle annate 2000, 2001, 2002 e 2004. Questo piccolo “metodo soleras” marchigiano esplode al naso per i suoi richiami intensi ed opulenti che si rifanno alla frutta esotica, le erbe campestri, la mandorla tostata, il miele millefiori. Sorso pieno e saldamente strutturato, la grande morbidezza del vino è fortunatamente spalleggiata da una straordinaria acidità che fornisce equilibrio e grande allungo finale. Un vino da farci l’amore!
La Monacesca – Verdicchio di Matelica “Mirum” 2007: millesimo regolare, senza eccessi, che si esprime nel bicchiere con note floreali di camomilla romana a cui seguono sensazioni evolute di miele, idrocarburo e nocciola tostata. Un vino non di grande complessità anche al sorso dove risulta molto preciso, diretto e dotato di grande bevibilità. Non ruba la scena come qualche suo predecessore ma a mio parere, ad oggi, il più versatile e gastronomico della batteria. E’ non è poco!
La Monacesca – Verdicchio di Matelica “Mirum” 2002: quando un’azienda lavora bene non esistono piccole annate ma solo vini che si adatto ed interpretano al meglio il millesimo. Questo è quello che ho pensato io dopo aver bevuto questo Verdicchio di Matelica che alla cieca se la giocherebbe senza problema con i migliori Riesling della Mosella. Giovane, freschissimo, di fisicità nord europea più che mediterranea ma ad avercene di vini così!
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