di Giancarlo Montaldo
Questo articolo è stato scritto da Giancarlo Montaldo, che non è un’altra new entry tra gli IGP ma un caro amico di Carlo Macchi e soprattutto un giornalista che conosce il Piemonte (e non solo) come le sue tasche. Dato che è stato lui a portare il Macchi in questo ristorante è sembrato giusto a tutti che fosse lui stesso a scriverne. Possiamo solo dire che le impressioni “a voce” del Macchi erano ancora più entusiaste e quindi…andateci!
Non è solo un “Belvedere” nel ristorante trattoria con camere che porta questo nome così emblematico all’ingresso di Montà per chi viene da Canale. È anche un gran bel “mangiare e bere” vista la sequenza dei piatti e la carta dei vini, dove sono proposti, oltre ai tanti vini della florida attualità di Langa e Roero, anche parecchie etichette di grandi vini prodotti nei decenni passati sulle due sponde del Tanaro.
Ci sono stato una sera di pioggia, molta pioggia, mercoledì 15 maggio scorso, durante “Nebbiolo Prima”. Con me c’erano Carlo Macchi da Poggibonsi e Alessandra Piubello da Verona.
Fuori le nubi schiacciavano l’orizzonte e il cielo sembrava più cupo del reale. Ma lo spettacolo delle colline a cocuzzolo era talmente bello da passare anche oltre il temporale e immaginare il fascino di quel paesaggio in una giornata di sole e cielo terso. Seduti al grande tavolo e affacciati sulla valle, ci siamo sentiti in paradiso.
Quella dei Triverio è una famiglia radicata nella ristorazione e accoglienza fin da quando nonna Emilia acquistò questa locanda con cambio di cavalli e alloggio per uomini e animali all’ingresso di Montà. Nel cuore del Novecento, prima che camion e auto aiutassero la gente ad affrontare la salita da Canale e Montà, il rinforzo di una coppia di buoi o cavalli era essenziale per vincere il dislivello per i carichi di merce e derrate alimentari destinate da Alba alla città di Torino.
Qui la cucina piemontese ha poco per volta sedimentato le sue sapienze. Prima nonna Emilia, poi la nuora Angiolina, che oggi è affiancata da un’altra Emilia, la figlia. In questo grande caseggiato affacciato sulla valle le due cuoche ripetono giorno dopo giorno i riti della selezione delle materie prime, la cottura dei piatti, l’accostamento tra gusti e ingredienti, nel rispetto di ciò che il territorio e la tradizione hanno nel tempo saputo inventare.
Il salame crudo ha aperto le danze con il suo profumo pulito e la pienezza del sapore.
Poi, è venuta l’insalata russa, preparata nello stile classico: le verdure cotte in acqua, sale e aceto e tagliate a pezzettini per favorire la combinazione di profumi e sapori. Molto intrigante il contrasto tra la grassezza della maionese e l’acidulo di limone e aceto.
La carne cruda battuta al coltello con pochi ulteriori ingredienti (un pizzico di sale, poco limone e olio extravergine di oliva) ha concluso la sequenza degli antipasti.
Gli asparagi sono un altro vanto del Roero, in particolare di quelle parti più sabbiose e più alte, che scivolano verso il Pianalto torinese. Li abbiamo trovati gustosi e croccanti in un originale ragù sui tajarin fatti a mano. Quella dei tajarin è una storia tutta albese, tra Langa e Roero. Qui si raccontano di decine di rossi d’uovo impiegati per ogni chilogrammo di farina di grano tenero. Una tradizione non del tutto credibile, visto che subito dopo la seconda guerra su queste colline le uova erano merce preziosa, che serviva ad alimentare la bocche familiari e a vendere al mercato per mettere insieme pochi spiccioli per acquistare lo zucchero, il caffè, la polvere di cioccolato per fare i dolci, eccetera.
I ricordi di quelle giornate contadine vissute dalla gente di qui a mettere insieme il pranzo con la cena li abbiamo rivissuti anche in un altro piatto, fatto di rustica semplicità, ma di profumi e sapori memorabili. Solo un galletto, niente di più. Ma che galletto. Un galletto ruspante al forno con verdure di stagione, patate e carote anch’esse al forno.
Infine, il bonét. In Langa come in Roero, in casa come in trattoria, non si può concludere un pasto senza una fetta di bonét, il dolce di cioccolato per eccellenza, al quale concorrono le uova, la farina, gli amaretti e altri ingredienti più semplici. Ne scaturisce un “dolce poco dolce”, anzi con una retrogusto amaricante che è così gradevole da farsi accettare persino con un vino come il Dolcetto che dolce non è. Nulla da eccepire se c’è un buon Moscato d’Asti, ma se non ce l’avete per casa, accontentatevi anche di un rosso, magari semplice, e non ve ne pentirete.
Abbiamo parlato di vino. Qui, le donne di casa Belvedere non hanno più messo il becco. Sono rimaste nella loro grande cucina a progettare la giornata successiva. Ma in cattedra è salito Marco Triverio, sommelier e fratello di Emilia, che ci ha rivelato tutta la sua passione per ciò che i vigneti sanno produrre tanto alla Destra che alla Sinistra del fiume Tanaro.
Forti del suo consiglio, abbiamo incominciato con una bionda Favorita, denominata “delle Langhe”, ma prodotta su una costa del Roero. I profumi fragranti e sottili, quasi timorosi di apparire in troppo splendore, hanno fatto compagnia agli antipasti. Non un vino corposo o invadente, piuttosto un’espressione raffinata, firmata da un piccolo produttore, Bartolomeo Demarie di Vezza d’Alba, uno di quelli che Marco apprezza di più.
Poi, abbiamo cercato un “Nebiolin” delle colline sabbiose del Roero e qui c’era. Legato anch’esso alla denominazione Langhe, rivelava i caratteri schietti delle terre sabbiose presenti spesso sui colli del Roero. L’origine era a Santo Stefano Roero, dove il terreno è sciolto davvero. Il produttore, un altro piccolino: Carlo Costa, ai più sconosciuto. Non a Marco del Belvedere, che continua a scovare i suoi fornitori con l’incessante desiderio di scoprire cose nuove.
Sapete qual è la dote migliore di un cane da tartufi? L’odorato – o meglio – il fiuto, naturalmente. E, bontà sua, Carlo Macchi ha un gran naso, non da tartufi, ma da vino.
Si è messo a girovagare su quella Carta dei vini che Marco Triverio ci aveva mostrato con un po’ di titubanza perché in fase di rinnovo. Vedevamo che continuava a girare le pagine e tornare al punto di partenza. L’abbiamo capito dopo, guardando la Carta. C’era un filotto interminabile di vini prestigiosi (Roero, Barolo e Barbaresco) di annate storiche a prezzi interessanti ( interessanti è un eufemismo…quasi a niente! N.d.M che starebbe per “nota del Macchi”).
Abbiamo chiesto perché di questi prezzi. “Preferisco che il vino sia bevuto” ci ha risposto Triverio. Come non essere d’accordo?
Così, abbiamo deciso per una bottiglia di Barbaresco 1996 della Produttori del Barbaresco. Non una Riserva, ma un Barbaresco di assemblaggio e di un’annata che viene ricordata per la grande armonia climatica. Quella sera di pioggia non avremmo potuto fare scelta migliore. Il fascino dei profumi e sapori rintracciati nei nostri calici ce lo dice ancora adesso.
Abbiamo fatto le cose con calma. Calma piatta. Un sorso dopo l’altro, senza fretta e in amicizia, senza strapparci la bottiglia di mano. L’ultimo sorso è stato per Carlo, ma lo meritava. Quella bottiglia speciale l’aveva scovata lui.
Siamo usciti a metà strada tra la sera e la notte. Il cielo continuava a rovesciare pioggia sulle colline e le valli. Senza fretta siamo tornati a casa.
Senza titubanze, ci siamo detti che torneremo al Belvedere di Montà. Cercheremo un’altra bottiglia che sappia raccontare le storie di un vitigno, una o più colline, un’annata e il suo produttore. Lasciando poi il tempo per tanti pensieri a cielo aperto.
Sperando che la pioggia non ci sia più.
Hotel Ristorante Belvedere
Vicolo san Giovanni 3
12046 Montà (CN)
Tel/Fax 0173976156/975587
Sito web: www.albergobelvedere.com
Prezzo medio: attorno ai 25-30 € escluso i vini.
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