di Roberto Giuliani
Da un po’ di anni, quando si parla di vino siciliano si pensa subito all’Etna, questo fantastico vulcano che con la sua lava ha creato in migliaia di anni un paesaggio unico, dove oggi stanno riscuotendo grande notorietà i vini che vi vengono prodotti. Ma il territorio isolano custodisce altre perle, di cui si dovrebbe parlare di più, come la Doc Faro, una piccola denominazione che coinvolge esclusivamente la provincia di Messina e che ha rischiato di scomparire una ventina d’anni fa. Oggi, fortunatamente, ne conservano la storia un drappello di vignaioli che, con i loro diversi stili, continuano a raccontare il fascino di una terra baciata dal sole e accarezzata dal mare.
Quando ho conosciuto Alessandro, ancora non aveva imbottigliato il suo primo Faro Doc, ma me ne aveva parlato, riponeva in esso molte aspettative.
Nel frattempo ho assaggiato tutti gli altri suoi vini e mi sono fatto una chiara idea della qualità di questa piccola realtà frutto dell’impegno suo e di Michele, Claudio e Yankuba, in Contrada Cicarra nel comune di Castanea delle Furie (ME).
La loro filosofia è improntata al massimo rispetto delle materie prime e a un lavoro che favorisca le migliori condizioni per lo sviluppo di un ecosistema che garantisca l’equilibrio e la sanità di questo piccolo territorio. Così, insieme alla vite, dimorano agrumi, ulivi, mandorli, noci, avocadi (e già, ormai si possono fare anche in Sicilia), ciliegi, peri, susini, meli, albicocchi, cipressi, carrubi, pini, pioppi, piante d’alloro ed eucalipto, e come se non bastasse, anche un’arnia e un pollaio. Nel bosco limitrofo, cinghiali, ricci e colombacci vivono la loro vita senza invadere i vigneti.
In vigna, è bene ribadirlo, sono banditi erbicidi e prodotti di sintesi, solo rari interventi con rame e zolfo, ma l’obiettivo futuro è di non usare neanche quelli.
Il Faro Cicarra 21, millesimo 2021, è ottenuto da Nerello Mascalese per il 60%, Nerello Cappuccio per il 20% e Nocera per la restante parte. Nelle prossime annate avrà anche una piccola quota di gaglioppo, consentita dal disciplinare, avendo a disposizione circa 200 piante.
Pigia-diraspatura, lieviti indigeni, niente solforosa, macerazione in tino aperto in plastica alimentare senza controllo di temperatura; follatura manuale una volta al giorno, tranne sabato e domenica (la scuola agraria è chiusa).
A fine fermentazione alcolica (8 giorni, zuccheri a zero) pressa soffice e acciaio, senza travasi per 10 mesi circa. A fine malolattica, aggiunta di solforosa. In genere in maggio, passaggio per altri 8/10 mesi in un tonneaux da 500 l. e una barrique, ambedue esausti. Leggera solforosa prima dell’imbottigliamento. Affinamento in bottiglia per 8/10 mesi. Gradazione? 12,5%, senza trucchi, in Sicilia! E poi dicono che non si può per via del mutamento climatico. Ma qui si lavora con l’alberello! E poi c’è il mare, la brezza, l’escursione termica…
Il prezzo? Lo stesso di tutti gli altri vini, come dice Alessandro “nessuna differenza per i nostri figli”, ovvero 15 euro al privato.
Roba da non crederci, ve lo dico sinceramente, perché questo Faro mette in riga parecchi vini ben più costosi, ha una trama incantevole, i profumi richiamano il fico rosso appena colto, l’arancia, le erbe aromatiche, toni salmastri, il tutto in un ambito di estrema purezza espressiva. All’assaggio senti subito la freschezza, non c’è potenza ma una materia fine ed equilibrata, il tannino è quasi docile, il frutto croccante, la beva strappa l’applauso, grazie anche a un’alcolicità quasi impercettibile. Un’energia che irradia luce, con estrema grazia, un Faro che illumina rubino, finché ce n’è ancora in bottiglia…
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