di Stefano Tesi
All’ultima baita di Chersogno, l’altimetro che ho al polso segna quota 1997 metri. Ne mancano oltre mille alla vetta del monte.
Sopra di me ci sono solo nebbia, rocce e un pallido sentiero. Sotto si vedono i tetti malmessi della borgata di Campiglione, dove un cartello “in vendita” campeggia sui portoni di quelle che sembrano antiche case di ringhiera, fatte però coi materiali della montagna: pietra e legno. Tutto diruto o quasi. Di fronte, lillipuziane e lontanissime mucche bianche si arrampicano sul fianco ripido dell’alpe, un pascolo immenso e giallastro che si apre verso il cielo, ben oltre la soglia degli alberi.
Guardo in basso e osservo incredulo la strada sterrata che conduce a valle, sempre più verde man mano che si scende di altitudine.
Non è una valle qualunque, questa. E’ la Valle di San Michele, ramo della Val Maira, nelle Alpi Cozie. Cultura occitana. Nessun passo che, al termine della salita, porti in Francia: una gola chiusa e una strana atmosfera. Tanti borghi diffusi, quasi spargoli, nuclei sparpagliati, parecchie seconde case, un uso a volte disinvolto del cemento. Residenti che si contano ormai a decine, nemmeno a centinaia. Più che i soldi, qui sembrano mancare le anime. D’inverno, almeno. D’estate invece arrivano svizzeri e tedeschi in cerca di passeggiate tranquille e la vita si rianima.
Ma siamo a ottobre e sul Chersogno, a Campiglione, la famiglia Landro è sul punto di far fagotto per andare a svernare in pianura. Proprio oggi, ci dicono, riportano il bestiame a valle e ne riparliamo a primavera. Di stare qui, con la brutta stagione, neanche a scherzare: freddo, neve, ma soprattutto nulla da fare.
Insomma finisce l’estate e con essa finisce anche il soggiorno di mucche e allevatori sulle falde della montagna. Perchè Chersogno non è solo il nome del monte, ma anche del particolare formaggio che i Landro fanno lì, in alpeggio. Corre voce sia una sorta di Castelmagno, a volte anche migliore. Unici produttori, loro: forse è per questo che non hanno neppure registrato il marchio.
Fattostà che al nostro arrivo la botteguccia del caseificio, raggiunta percorrendo tratturi proibiti e sfidando le ire della Forestale, è inesorabilmente chiusa. I proprietari, al telefono, si scusano: stanno traslocando a fondo valle e, in ogni caso, il prodotto è finito.
Discendiamo tra stretti tornanti. Roccia e arbusti lasciano il posto a prati e conifere. Rientriamo sulla statale e ci fermiamo a San Michele di Prazzo: fa un certo effetto scoprire che, nell’800, qui abitavano duemila persone. Sulla facciata dell’ex palazzo comunale campeggia il solenne ritratto a figura intera di Vittorio Emanuele II. Di fronte, un chiesone attesta l’antica importanza della frazione. Due escursionisti in scarponi e zaino ci squadrano: chi tra noi è l’intruso?
Sotto i portici, le giovani Enrica e Roberta Cesano gestiscono da dieci anni il Tano di Grich, una locanda all’antica dove si mangia, si dorme e si fa la spesa.
Scelta coraggiosa al giorno d’oggi. E qui, miracolo, in magazzino spunta una forma ancora intera forma di Chersogno. L’ultima della stagione, assicurano. Tre chili di peso, latte vaccino al 100%, venti euro al chilo un bello scalzo da quindici centimetri: è nostra!
Buccia granulosa e scabra, che al taglio di rivela sottile, asciutta ma morbida al tatto.
La pasta è biancastra tendente al giallo chiaro, granulosa anch’essa, tenera, coesa ma non compatta, friabile. Il profumo nettissimo del latte è appena acuito dalla stagionatura ma mantiene la propria intensità e freschezza penetranti. In bocca è gentile, di una morbidezza sorprendente, e presto di scioglie al palato in un gusto delicato, che unisce armonicamente il sapore del latte a una sapidità più decisa, per chiudersi con una delicata nota amara, particolarmente appetitosa. Dalla sua iniziale asciuttezza passa rapidamente, dopo un accenno di masticazione, a una consistenza quasi cremosa, tentatrice, stuzzicante.
Infatti ne abbiamo fatto fuori parecchio, a cena, accompagnandolo con ottimi risultati sia al godibilissimo Dolcetto di Dogliani Clavesana doc 2011 che al più raffinato, ma anch’esso piacevole Barolo Cerretta 2007 di Giovanni Rosso. E solo una robusta dose di (residuo) buon senso ci ha fatto desistere dal continuare.
Meglio farselo durare, del resto, questo Chersogno, perchè fino a giugno non lo riassaggeremo.
Azienda Agricola Landro
Borgata Campiglione 1, Prazzo (CN)
Tel. 349 2953659
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