di Stefano Tesi
Tanto per chiarire, vengo dalla generazione che più di trent’anni fa assaggiò i cosiddetti wine cooler, una specie di bevanda alcoolica fatta tagliando il vino col succo di frutta, roba alla quale pure il coevo 8 e 1/2 Giacobazzi (sponsor prima e poi sponsorizzato nientepopodimento che da Gilles Villeneuve) faceva vento.
Figuriamoci quindi se mi fa impressione la notizia dell’uscita sul mercato di un nuovo vino in lattina, lanciato settimane fa dalla veronese Zai (l’acronimo sta per Zona Altamente Innovativa ed è identico alla Zona Agricola Industriale che ospita il Vinitaly, “in cui l’azienda ha avuto origine“, ammettono i fondatori), che tanto fa arricciare il naso al conformismo enoico nazionale.
Quindi nessun pregiudizio, solo curiosità.
Infatti mi sono fatto mandare i campioni e, lo dico subito, l’assaggio del prodotto non è affatto catastrofico come era facile pronosticare.
Anzi diciamo pure che, al confronto, questi vini molto facili ma corretti, perfino piacevoli se consumati col giusto approccio, che non provano a spacciarsi per quello che non sono, escono bene – chi più, chi meno – dal confronto con prodotti imbottigliati di pari categoria e prezzo: “Il prezzo a scaffale sarà di circa 3,50/4,50 euro a lattina. Il prodotto è in fase di lancio e sono in corso trattative con vari mercati stranieri in primis, ma anche in Italia con gruppi della GDO e altre realtà del mondo Horeca che hanno mostrato interesse” mi risponde, a domanda, il loro ufficio stampa.
Perchè non è solo l’aspetto organolettico ciò che conta in questi casi, ma quello sociale e commerciale.
Andando per ordine, i canned wines sono sei e sono modulari, nel senso che fanno parte di un progetto di marketing unico e coordinato, all’interno del quale nessun prodotto può fare a meno degli altri. Diciamo insomma che si tratta di un paniere di lattine che fanno capo a un’unica storia, disegno, grafica e filosofia.
Zai, che si autodefinisce “urban winery“, punta dichiaratamente ai mercati nel Nord America o almeno ad essi si ispira e si ammanta di un’aura green. “Le nostre referenze sono frutto di un lungo studio enologico. Per esempio Gamea, uno dei vini top di gamma è il frutto di ben quattro vendemmie, anziché una, condotte tutte a mano”.
A riprova che la leva principale dell’operazione commerciale si basa sullo storytelling c’è il fatto che ognuno dei sei vini corrisponde a un personaggio di fantasia, cronologicamente collocato “nel 2150, anno che vede l’estinzione del 99% delle specie animali e vegetali, uva compresa, a causa del cambiamento climatico. Anche nel packaging le lattine rimandano ai personaggi, protagonisti di un viaggio per risolvere il mistero dell’antica profezia sul vino e salvare il mondo. Una storia che sarà in continua evoluzione, che non mancherà di colpi di scena, al pari di un vero e proprio fumetto“.
C’è da sorridere?
Sì, ovviamente, se si vuole parlare con disincanto. Ma anche no. Può anche darsi infatti che il business possa funzionare e di per sè non ha nulla di scorretto.
Ecco i vini (nb: tutti vegani e bio, tranne il PJ White, e tutti confezionati in lattine di alluminio da 25 cc), con relativa “storia” e mie note si assaggio:
Dr. Corvinus, 100% Corvina Verona IGT, gradazione alcolica 11% Vol. È l’ultimo erede di una dinastia di sommelier, vive con il suo assistente Cork Borg nel castello di famiglia cercando un modo per produrre il vino senza usare le uve, ormai estinte, ma con esiti poco soddisfacenti. Naso discreto, piacevole in bocca, da tutto pasto. Se bevuto alla giusta temperatura è piacevole.
Gamea, 100% Garganega Verona IGT, gradazione alcolica 9.5% Vol. È una donna avventurosa e indipendente, che ama la natura e ha una laurea in scienze biologiche. Dedica la sua vita alla salvaguardia del Pianeta. E’ un vino con qualche pretesa, piuttosto ruffiano soprattutto al naso. In assaggio bendato coi pari grado non sfigura.
Mr. Bubble, 100% Glera Veneto IGT, è un vino frizzante con gradazione alcolica 9.5% Vol. È un viveur che, usando il suo razzo a forma di lattina, ha battuto ogni record di velocità, tanto da guadagnarsi il nickname di “pilota del millennio”. Mi sembra decisamente il più debole dei sei vini.
Lady Blendy, Merlot e Cabernet Veneto IGT, gradazione alcolica 10.5% Vol. È una gatta dalla doppia anima. Specializzata in meccanica e riparazioni, si prende cura degli altri e ama dormire. La notte si trasforma in uno spietato cacciatore di taglie. Organoletticamente è corretto ma eccessivamente commerciale, un vino per tutti i palati.
PJ White, 100% Pinot Grigio Terre Siciliane IGT, gradazione alcolica 10% Vol. È l’anarchico del gruppo, il ribelle piantagrane. Pigro per natura, è convinto che tutti ce l’abbiano con lui. Passa le sue giornate ascoltando musica, suonando la chitarra e giocando ai videogame. E’ nel bene e nel male esattamente quello che ti aspetti.
Cork Borg, 100% Moscato Veneto IGT, vino frizzante con gradazione alcolica 7% Vol. È un robot a forma di cavatappi, costruito da un antenato di Dr. Corvinus. Il suo mestiere è assistere i più famosi sommelier della terra. La sua evidente mancanza di pretese lo rende coerente al tipo, un divertissement.
Conclusioni: fuori dallo snobismo, è un’operazione commercialmente interessante e, probabilmente, anche indice di un trend abbastanza netto. Non nel senso della novità in sè, ma il fatto che ci si investa con modo così deciso significa che il mercato potrebbe essere maturo. Sul piano puramente qualitativo, si tratta di prodotti ben fatti e dignitosi, spesso non peggiori di quelli di pari prezzo in bottiglia. Del resto, è chiaro che chi compra vini del genere lo fa con la leggerezza di chi non cerca bevute impegnative, ma anzi, col vino, acquista ciò che esso ha intorno: praticità, evasione, intrattenimento.
La cosa più divertente? Prima la ricerca e poi l’assaggio comparativo alla cieca con vini comprati in GDO.
Non si finisce mai di imparare.
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