di Stefano Tesi
Questo articolo non può che cominciare con delle scuse. Scuse a Leonardo Di Vincenzo, il mastro birraio de “La Birra del Borgo”, che di questo post (ma non spot!) sarebbe coprotagonista. Poiché però lo spazio è tiranno (al contrario dei miei amici igp, che saranno più generosi dio immagini) e io ne ho per una foto sola, spero mi perdonerà se, accanto ai ritratti di Tommaso e Federico Marrocchesi Marzi, proprietari della Tenuta di Bibbiano, e a quello del loro enologo, Stefano Porcinai, metto il volto di Giulio Gambelli.
Il leggendario “Bicchierino”, che per decenni ha seguito i vini dell’azienda, dandone l’impronta e lo stile.
E sarei davvero curioso di sapere che ne pensa il grande Giulio dell’operazione “L’equilibrista”, la birra a base di mosto di Sangiovese, ovviamente proprio, che la Tenuta di Bibbiano si è messa a fare nel 2009, dopo che Tommaso Marrocchesi e Leonardo Di Vincenzo l’avevano “pensata”, quasi fosse un divertissment, al Vinitaly.
Del resto sono almeno 150 anni e cinque generazioni che, sulle colline di Castellina in Chianti, i Marrocchesi Marzi fanno vino. Un secolo e mezzo, coi tempi che corrono, vale in continuità parecchi dei secoli precedenti. Inevitabile dunque che ai due titolari venisse prima o poi qualche pensata originale. E così, accanto a Invigna, il tradizionale appuntamento conviviale a tema che i due fratelli organizzano in estate tra i vigneti aziendali, con grande sollucchero degli invitati, ecco la trovata della birra.
Prodotto affascinante, lo ammetto. Per nascita e per tecnica, gusto, colore. Frutto del blend tra un 50% di mosto fresco di Sangiovese chiantigiano e un 50% di mosto di Duchessa, la birra di farro del birrificio di Borgorose, che parte fermentando con da lieviti da vino e poi rifermenta in bottiglia con lieviti da Champagne. Dopo un anno in cantina, il birraio procede alla sboccatura, aggiungendo liquer de expediction a base di distillato di Duchessa. Ed ecco nascere L’equilibrista, non filtrata e non pastorizzata. Una birra che sa di vino, oppure un vino che sa di birra. Che va giù come la birra ma ha l’alcool (10,5°) e il corpo di un vino. Insomma un gran bere.
La agiti nel bicchiere per trovare l’aggettivo adatto al colore, ma non ti viene. Oro rosso tendente all’arancione, tono vinoso, poca schiuma compatta. Inutile girarci intorno: ricorda il mosto. Al naso l’impatto è di quelli che colpiscono per la loro complessità e al tempo stesso per il senso di freschezza, senti il farro, note d’orzo e di tostatura, poi l’inconfondibile aroma del vino e infine l’ondata dei lieviti, la crosta di pane e, ma sì, proprio un po’ di champagne. E quella strana vinosità la ritrovi anche in bocca, con un fondo acidulo che lega insieme una struttura complessa, lunga, sostenuta dal nerbo di un alcool capace di farne una bevanda importante, da abbinamenti consistenti. Anche se poi pure sorseggiata da sola, affacciati in una sera d’estate su un tramonto chiantigiano, fa una gran figura.
Ed è buffo pensare che questa birragne (cioè birra-champagne, il neologismo è mio) nasce almeno in parte da un modesto, per sua stessa ammissione, bevitore di birra come Tommaso Marrocchesi e da un’azienda che apparentemente non ha nulla di “birroso”, coi suoi vini solidi e lineari, sempre eleganti, poco inclini alle mode e agli eccessi, tradizionali ma non noiosi. Tutto il contrario insomma dello stile un po’ scapigliato a cui la retorica affida un certo mondo della birra.
Forse il nome, L’equilibrista, non è stato scelto a caso.
Alta fedeltà
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