di Carlo Macchi
Annata 2016 oramai alle stelle (molte più di 5 a sentire tanta stampa), Riserva 2015 osannata come mai, 141 cantine presenti, più di 400 vini in degustazione.
Questi pochi dati fanno capire quanto bendidio ho avuto a disposizione nello scorso fine settimana e visto che mio padre diceva sempre che “nel troppo ci si rientra sempre”, in questa anteprima per soli 25 giornalisti mi ci sono proprio crogiolato. Infatti se i vini erano tantissimi i giornalisti, per chiari motivi di Covid, non solo erano pochissimi ma ben distanziati, “tamponati” (abbiamo dovuto presentare un tampone negativo) e serviti da sommelier dotati di varie mascherine, anche in plexiglas.
Credo che il Consorzio abbia dovuto e dovrà superare ancora una serie notevole di problemi per organizzare quest’anteprima a tappe, che vedrà nei prossimi tre fine settimana succedersi blogger, influencer, sommelier, addetti ai lavori, opinion leader, sempre e comunque a gruppi di 25, in qualche caso anche con accessi ristretti a due sole ore.
Non c’è che dire, il mondo in un anno è cambiato tantissimo e allora mi è venuto da pensare a quanto e come sia cambiato il Brunello di Montalcino, non in un anno ma, per esempio, negli ultimi 20-25.
Parto dagli assaggi della tanto osannata vendemmia 2016: indubbiamente un’ottima annata, già aperta e ben declinata, con tannini dolci ma a cui, per me, manca qualcosa. Cosa? Da una parte (in una parte dei vini) quella freschezza che, per esempio nel 2001 era quasi sempre presente e dall’altra la “ruvida dolcezza” dei tannini del sangiovese.
Accanto a queste due “mancanze” ci sono però tanti punti a favore per chi ama vini più pronti anche se importanti: notevole dolcezza tannica, equilibrio generale già di ottimo livello, legno sempre ben dosato. Inoltre sarei cieco se non vedessi che oramai non esistono più da anni vini difettati a Montalcino, che la qualità media è altissima, che la piacevolezza è indubbia.
Molti punti positivi in un vino che però è anche molto cambiato, credo soprattutto a livello analitico: sono convinto infatti che se si confrontassero i pH dei vini di 20-25 anni fa , per non parlare delle acidità e del grado alcolico, con quelli dei vini attuali ci troveremmo di fronte a parametri molto diversi. Indubbiamente il riscaldamento globale ha dato una mano a fare Brunello più rotondi, “pronti con corpo” , apprezzabili in tempi più brevi, in definitiva più (mi si passi il termine) “internazionali” per un mercato sempre più globale che ama molto di più la rotondità, sopporta in un vino importante l’alcol non sempre contenuto e cerca di evitare la ruvidezza e gli spigoli.
A questo però dobbiamo aggiungere ulteriori considerazioni: ho fatto un conto veloce di quante aziende oramai presentino tra i loro prodotti una o più selezione (di vigna o di cantina) e sono arrivato circa alla metà dei produttori. Poi mi sono messo a dare un’occhiata a quanti producano una o più Riserva e qui il numero è salito e non di poco. Infine ho fatto il calcolo di quante cantine non abbiano selezioni e Riserva e non sono andato oltre un 10%.
Da una parte quindi il territorio di Montalcino ha impattato un cambio climatico non indifferente, che ha messo i produttori di fronte a problemi viticoli mai affrontati, dall’altra è esplosa da alcuni anni la “tendenza”, che oramai e diventata quasi un obbligo, delle Selezioni. Queste, specie con l’albo vigneti bloccato e con alcune delle vigne più vecchie che bisogna incominciare a ripiantare, toglie ottime uve (probabilmente le migliori) dal Brunello “base”. Se poi ci mettiamo che a monte (e devo dire finalmente!) tante cantine si sono messe a selezionare alla vendemmia le migliori uve che andranno nella Riserva, ci troviamo di fronte in diversi casi ad un quadro dove il Brunello “base” è la terza/quarta scelta dell’azienda. Se l’annata non è buona questi tre livelli si riducono a due o a uno, con selezioni e Riserva che finiscono nel Brunello “base” per rimpolparlo, ma quando l’annata è ottima, come la 2016, ci ritroviamo con tutti i livelli e quindi in diversi casi con vini buonissimi (perché i produttori sono diventati veramente bravi!) più facilmente abbordabili ma con meno “grip” al palato, già pronti, aperti, ampi, con tannini rotondi e alcolicità che spesso spicca. In passato invece, con clima, pH, acidità, tecnologie diverse e senza tante (ottime) selezioni, si trovavano vini con trama tannica più accentuata, acidità ben presenti, alcol più contenuto e tempi di maturazione molto allungati.
Per questo il mio giudizio sulla 2016 non è stato in linea con tanti colleghi, perché mi riservo di capire la metodica evolutiva di diversi vini e perché vedo sempre di più innalzarsi lo scalino tra le Selezioni e i Brunello annata e vorrei veramente capire cosa questo comporta. Ripeto che oggi i Brunello sono molto più levigati e piacevoli che in passato e che questa è sicuramente una scelta commerciale vincente, ma permettetemi di avere nostalgia per un diverso modo di pensare questo grande vino.
Bisogna essere chiari: il Brunello di Montalcino non è il solo su questa strada, altre grandi denominazioni si ritrovano quasi nella stessa condizione di “cambiamento”. Una su tutte il Barolo, che ha avuto le due ultime vendemmie (2015-2016, la 2017 verrà presentata a fine mese) con un andamento molto simile. In particolare nella 2016 di Barolo, ottima sotto tanti versi, non ho trovato quella potenza tannica da nebbioli di razza che mi sarei aspettato da una grande vendemmia ,ma una buona potenza con tannini dolci e vellutati, molto diversi da quelli che annate come la 1996, la 1999 o la 2001 mettevano in campo appena in commercio.
Quindi la vendemmia 2016 a Montalcino è figlia di vari cambiamenti che alla fine portano a disegnare un profilo diverso per il Brunello, in parte da esplorare per quanto riguarda non tanto la durata nel tempo ma i tempi e i modi con cui questa durata si potrà sviluppare.
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