di Andrea Petrini
Almatò, nato a gennaio 2020 quando la pandemia era appena alle porte, è un progetto ristorativo che, nonostante le difficoltà degli ultimi anni, oggi sta diventando sempre più punto di riferimento nel panorama ristorativo della Capitale grazie ad un giusto connubio tra sperimentazione culinaria, rispetto della tradizione e buona dose di entusiasmo, misto ad incoscienza, visto che il locale è gestito da tre amici poco più che trentenni.
Situato nel tranquillo quartiere Delle Vittorie, a metà strada tra il centro storico e la movida di Roma Nord, Almatò devo il suo nome dall’unione dei nomi di Alberto Martelli (socio ristoratore), Manfredi Custoreri (restaurant manager) e Tommaso Venuti che, conosciutesi sui campi di rugby, hanno deciso di dar sfogo alla loro passione per la buona cucina dato vita a un locale che sin dagli inizi ha saputo distinguersi per l’originalità della proposta culinaria, in uno spazio curato nel dettaglio per risultare elegante e accogliente.
“La nostra cucina è cambiata molto nel tempo: puntiamo ora su piatti con la giusta dose di eclettismo, dal gusto intenso e al tempo stesso raffinato, ma senza dimenticare chi siamo, portandoci quindi dietro il valore della tradizione” sottolinea Tommasi Venuti, classe 1992, con un passato tra le cucine di Villa Crespi e con Heinz Beck a La Pergola Rome Cavalieri.
Da Almatò sembra vigere la “Regola del 3” perché oltre i tre volti e le tre anime dei soci fondatori sono tre anche i percorsi di degustazione, rispettivamente da 5, 7 e 9 portare a 75, 100 e 120 euro, e tre opzioni per ogni tipologia di portata che il cliente può scegliere nel menù alla carta. Il motivo? Semplice, rendere snello e dinamico il lavoro in cucina fornendo allo chef tutto il tempo creare i suoi piatti partendo da poche materie prime stagionali di qualità altissima.
La sala, elegante ed essenziale nei suoi caldi colori, è il regno di Riccardo Robbio, maître e sommelier, campano classe 1989, giunto a questa nuova sfida professionale dopo gli importanti trascorsi da Kai Mayfair a Londra, Imàgo all’Hassler, La Pergola e Pipero a Roma. A lui spetta curare i circa 20 coperti del locale proponendo interessanti abbinamenti grazie ad una carta dei vini che, come il menù, è abbastanza snella contando al massimo un centinaio di etichette che fanno riferimento essenzialmente a grandi cantine sia italiane che internazionali come, ad esempio, Bollinger, Mastroberardino e Tasca d’Almerita.
Durante la mia ultima visita al locale ho optato per il percorso di degustazione da cinque portate con abbinamento vini incluso, che è iniziato con tanti deliziosi piccoli appetizer tra cui spiccano un ottimo calvofiore in tre consistenze (arrosto al burro nocciola, in crema alla base, in carpaccio, avvolto in salsa tartara e kefir) e il classico uova di quaglia alla monachina con crema di tuorlo d’uovo, da sempre presente nel menù di Almatò.
La tradizione romana e la cucina del recupero, temi cari allo chef, sono esaltati dalla proposta culinaria successiva costituita da un golosissimo maritozzo alla picchiapò di agnello accompagnato da maionese al wasabi e sedano croccante. Da mangiare rigorosamente con le mani! L’abbinamento perfetto, grazie a Riccardo, mi porta in Franciacorta con un ottimo 61 Rosé di Berlucchi.
Arriva il primo piatto e si inizia ad usare la forchetta con la tagliatella, coniglio, beurre blanc all’arancia e olive, un piatto delicato e bilanciato il cui ragù rimasto nel piatto è vittima, successivamente, di una irrinunciabile scarpetta fatta con la buonissima focaccia calda preparata da Tommaso poco prima il nostro arrivo. Il piatto è stato abbinato ad un calice di Ferentano (100% roscetto) prodotto dalla famiglia Cotarella
Il secondo piatto ci porta invece nella zona di Campagnano di Roma da dove proviene il succulento manzo 30 mesi alla brace con fave, piselli e carciofi, omaggio alla primavera e alla vignarola romana, il tutto accompagnato da una kombucha prodotta con i baccelli dei piselli e le foglie esterne del carciofo. Piatto interessantissimo che sintetizza un po’ la filosofia culinaria di Almatò fondendo in un’unica proposta ricerca, tradizione, leggerezza e attenzione alla cucina del recupero. Chapeau!
L’abbinamento al calice proposto dal sommelier è stato un Etna Rosso DOC “Ghiaia Nera” (100% nerello mascalese) di Tasca d’Almerita. Matrimonio perfetto.
Dopo la mousse di melanzane al cioccolato, predessert che strizza l’occhio al sud Italia, arriva Gianni, il dessert che è anche uno dei manifesti gastronomici di Almatò. Presente in menù sin dall’apertura del ristorante, è un omaggio a Manfredi, Gianni per gli amici, e alle sue passioni ovvero al sigaro, che in questo caso è di cioccolato aromatizzato al tabacco, e al gelato che Tommaso interpreta al gusto variegato di nocciola e cacao con fondo di biscotto alla nocciola.
Chiusura golosa e per nulla stucchevole, degno finale di una cena che mi ha lasciato grandi speranze per questi tre ragazzi che portano finalmente un po’ di aria fresca all’interno del panorama ristorativo della Capitale. Bravi!
Almatò
Via Augusto Riboty 20/c – Roma
Tel: 06/69401146
www.almato.it
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