di Stefano Tesi
E ‘ friabile ma sodo, pieno di profumi inusuali, aspetto compatto, mollica dai toni cinerini e dalla crosta spessa, crepata, farinosa, di un bel colore invitante. In mano, sotto le dita, dà una netta sensazione di consistenza ed è anche abbastanza tenace al taglio. Insomma viene proprio voglia di prenderlo e schiacciarlo, per far riuscire quegli odori fragranti che si sentivano uscire dalle botteghe dei fornai di un tempo.
Stiamo parlando di pane, evidentemente.
Di un pane diverso dal solito, però. Per ingredienti, innanzitutto. Ma anche per storia. E per l’originale disegno “sociale” che, nella sua disarmante semplicità, tutto il progetto si porta dietro. Anzi, se non fosse che è pane reale, vero, che si tocca, si morde e si mangia, sembrerebbe il progetto di un pane utopico.
E invece no.
L’ho assaggiato infatti l’altroieri a Montespertoli, nel cuore della campagna fiorentina dove, in occasione della locale Mostra del Chianti, Vetrina Toscana e Unioncamere mi avevano chiamato a presentare due prodotti del paniere destinato a promuovere, appunto, le eccellenze alimentari toscane, le piccole produzioni, i prodotti di nicchia. Uno era il pecorino di Lucardo (presto su questi schermi) e un altro il pane “da grani antichi”.
Il fornaio che lo produce, Marco Panchetti, lo chiama proprio così.
Il nome dice tutto: si tratta di un pane fatto con farine ricavate dalle varietà di grano che, con l’avvento negli anni ’20 degli ibridi e della panificazione industriale, sono in breve tempo scomparsi, ritirandosi nell’alveo dell’archeologia agricola. Grani desueti, del tutto diversi da quelli odierni, con spighe altissime, come quelle che si vedono nei dipinti dei fiamminghi e dei macchiaioli, tagliati con la falce. Dai nomi strani: Verna, Frassineto, Abbondanza, Iervicella e così via. Ma tutti ricchissimi di sostanze nutritive (vitamine, antiossidanti, fibre) e poveri di glutine.
Sulle prime la cosa procede in modo empirico (“volevo fare per mia figlia il pame migliore possibile”), tra esperimenti, micropartite di grano trovate qua e là dagli “agricoltori custodi” (i volontari che da anni si impegnano a ripropagare le varietà dimenticate delle sementi toscane), moliture e panificazioni piccolissime (“bastavano appena a fare il pane per casa”). Poi i primi abboccamenti con l’Università, il rapporto di reciproca diffidenza tra gli entusiasti artigiani di campagna e i paludati professori, finalmente la messa a punto di un metodo e di una miscela di farine compiuti.
Eppure nemmeno questa è la parte più interessante della storia.
“I mio pane è il frutto di un disciplinare rigidissimo, ma autoimposto”, racconta il Panchetti. “Niente burocrazia, bolli, timbri e autorità. Ci si fida tra persone per bene. Io dò il seme agli agricoltori, loro mi producono il grano e io glielo ricompro, garantendogli un prezzo alto, spesso doppio di quello corrente, ma tale comunque da remunerare il loro lavoro e le perdite che hanno in quantità”. La coltivazione? Biologica, ma in senso letterale: “Macchè certificati o enti di controllo: i fornitori mi garantiscono di non buttare niente nei campi e di seguire solo le buone regole agronomiche, io gli credo, loro non mi deludono e così si va avani”. Biologico di fatto, insomma: “Questi sono grani troppo diversi da quelli di oggi, con il fusto talmente alto che sotto è impossibile ci cresca qualcos’altro”, scherza lui. In pratica sono varietà “autodiserbanti”, non serve la chimica per difenderli.
“Il mio amico Gianni del molino Paciscopi a Montespertoli, poi, macina tutto a pietra, ci impiega il doppio del tempo e del lavoro, ma anche lui si accontenta di guadagnare il giusto. E io stesso vendo il pane ai rivenditori con un margine che consente al prodotto di stare sul mercato a un prezzo di pochissimo superiore a quello del pane corrente: 3 euro al chilo nei negozi di Montespertoli e 3,5 fuori paese”, prosegue il coraggioso fornaio.
Com’è, come non è, ma il sistema funziona. Il pane da grani antichi viene prodotto in circa 100 kg al giorni ed è in vendita alla Coop di Montespertoli, alla Cooperativa Agricola di Legnaia e, a Firenze città, all’enoteca-panetteria Gambi, in zona Porta Romana, nonchè al bancone Sant’Ambrogio Formaggi nell’omonimo mercato fiorentino.
Scordatevi siti intenet e comuncazione 2.0. Il Panchetti si rintraccia solo al telefono fisso, meglio se a notte fonda (“a “quell’ora lavoro”). Il suo amico mugnaio, Gianni, ha una pagina Facebook sotto il nome di Molino Paciscopi.
Il resto va solo assaggiato.
Foto di Luciano Corti
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