CANTINA GIARDINO
Uva: fiano
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno
Forse, prima ancora del vino, vale la pena sottolineare il valore commerciale di questa esperienza. Ossia come è possibile affermarsi decidendo di distinguere piuttosto che imitare. Antonio Di Gruttula sottolinea e costruisce l’immagine della Cantina Giardino partendo dal valore d’uso del vino anziché da quello di scambio, precisamente come bisogno personale di esprimersi in maniera differente, autonoma. Così facendo apprezza il proprio lavoro incassando il rischio del coraggio.
Orsù, invece di presentare la cantina irpina numero 155.963 con Taurasi-Aglianico-Fiano di Avellino-Greco di Tufo-Falanghina del Sannio dai bicchieri pulitini, ufficialmente a 6,5 euro di fatto sotto i cinque, anche quattro, i vini di questa esperienza fanno sempre discutere e appassionano, conquistando un pubblico circoscritto ma colto, comunque capace di esprimere domanda sempre superiore all’offerta.
Intelligenza a partire dalla ricerca di vigne antiche e impianti di allevamento a raggiera, nella lavorazione in cantina con torchiatura a mano, niente chiarifiche e filtri, una strizzata d’occhio alla moda già passata dell’anfora, nella capacità comunque di esprimere sempre pezzi unici.
Parlo di intelligenza, non di astuzia commerciale. La prima presuppone cultura, studio, aggiornamento e anche passione. La seconda implica il navigare a vista guardando il vicino cosa fa cercando di anticiparlo in qualche modo.
L’astuzia commerciale ha portato tutti a fare tutto ed è il prologo di un disastro prossimo venturo molto facile da prevedere in Irpinia se le cose resteranno in questa direzione.
Queste riflessioni mi sono venute quando Pino Esposito del ristorante Sud mi ha chiesto se preferivo Gaia 2006 o il 2004.
Il secondo, ovviamente. Nel bicchiere un giallo paglierino non filtrato, un colore denso, ma non ossidato, simile a quello dei vini contadini di un tempo imbottigliati da poco.
Quanti clienti lo avrebbero rimandato indietro? Almeno 98 su cento. E la risposta spinge all’ottimismo perché rivela quanto lavoro di alfabetizzazione ci sia da fare nei prossimi anni.
Il Gaia 2004 è stato un vino indimenticabile, di livello assoluto, forse per me il migliore 2010 superato poi da un Duca San Felice 1995, peccato davvero averlo aperto: in carta era a soli 26 euro, prezzi troppo bassi a Sud ragazzi, ne vale almeno 100 in un mercato maturo commercialmente e culturalmente.
Di più: se il Patrimo costava tanto, un Fiano in 600 copie, il primo della cantina Giardino, vale almeno quattro volte un merlot banale e dimenticabile.
Mi ha seguito nel buon cibo di buona compagnia ma con la testa piallata da una tremenda preoccupazione. E siccome sono scaramantico secondo il più classico dei cliscé partenopei, ho deciso mentre lo bevevo: ne scrivo solo se sarò libero dall’oppressione dell’animo, sarà il mio vino portafortuna o l’ultimo di tutti, che terrò però solo per me.
In netto ritardo rispetto all’Adam, il Fiano conferma anche in questo caso l’allungo speciale sui tempi. Già, perché se è vero che il Greco di Tufo va bevuto almeno dopo quattro, cinque anni, l’esperienza accumulata in questi ultimi mesi dimostra però che superata l’asticella quinquennale solo il Fiano (con la Falanghina e il Carricante) innesta le quattro ruote motrici e inizia a correre toccando spesso e volentieri vette eccelse.
Il Greco resiste, naturalmente, ma scarnito di frutta alla fine esprime spesso solo acidità scissa e sapidità abnorme. Non ha senso gustativo, insomma, continuare a spingere nell’attesa.
Parlo di esperienza, non detto regole.
Il Fiano invece va avanti, si eleva davvero in modo strepitoso. Il Gaia 2004 alla prima zaffata aveva per esempio il piacere infantile delle pere conservate sotto spirito, si allargava ai lati su note di macchia mediterranea (più evidenti a bicchiere vuoto) seccata dal sole, rosmarino e mirto, salvia, proseguiva in maniera strepitosa, intensa, precisa, lunga riproponendo un frutto rinfrescato poi rimbalzato in bocca e nel retrolfatto.
Un palato di buon attacco, fresco, non dolce. Poi il fruttato ma non zuccherino, sempre ben sostenuto dall’acidità e da piacevoli notarelle balsamiche, ancora l’allungo ovale aderente alle pareti come una dentiera o una macchinetta per tenere i denti fermi. Infinito con una nota di sapidità, agrume, arancio, candito che alla fine diventa dominante e caratterizzante.
Bere questo vino mi ha calmato l’animo, mi ha dato fiducia in una prova che mai avrei pensato, mi ha trasmesso l’idea che non poteva non esserci un lieto fine se la natura ha equilibrio etico nel suo respiro eterno.
Così è andata, e adesso ne vorrei ancora, e un altro. Un altro. Ma Gaia 2004 è finito. Il primo da Don Alfonso tre anni fa, il secondo ancora più buono da Marianna e Pino.
Lo stesso vino, ma io non sono più la stessa persona.
Scheda del 2 maggio 2007. Quando ho visto questa bottiglia nella magnifica carta di Don Alfonso mi si è allargato il cuore per la conferma di come la famiglia Iaccarino lavora per valorizzare alcune eccellenze ancora poco conosciute del nostro territorio e che io ho incontrato già due anni fa grazie ai ragazzi dell’associazione Terra di Vino.
Tutti i vini di un certo livello sono stati lanciati dalla mitica sala piena di luce di Sant’Agata dei due Golfi. Il Nude 2003 mi coinvolse da Pisaniello a Nusco, il Gaia mi ha convinto ancora di più dopo un Sauvignon neozelandese del 1998 bevendo il quale ho capito come il mio palato sia cambiato negli ultimi anni: il naso evoluto di pera matura è davvero molto gradevole, il passaggio in legno realizzato in barrique con doghe piegate al vapore e leggera tostatura ha regalato complessità olfattiva e spalla larga in bocca dove il Fiano lavorato in un’azienda nella quale sono stati già introdotti principi naturali (niente filtri, niente chiarifiche tanto per citare due cose), unica in Campania, esplode con una mineralità assoluta e tipicità da manuale.
Intenso e persistente al naso, lungo, caldo, ben in equilibrio in ogni sua componente, sono sicuro della lunga vita di questa bottiglia che conferma in ogni modo l’eleganza assoluta dell’annata non particolarmente facile per i nostri viticoltori. La frutta matura sulla raggiera tipica avellinese che nelle colline vicino Taurasi è ancora ampiamente diffuso, c’è la volontà da parte del giovane Di Gruttula di conservare la tradizione senza essere invasivo in vigna lasciando lavorare soprattutto la natura.
Questo bianco di nicchia, da pasdaran della biodiversità, si sposa benissimo a molti piatti di Don Alfonso, tra cui, tanto per citarne una del 2007, la buona passata di piselli, scampo e zenzero. Ove si conferma di come l’eccellenza e la ricerca maniacale del prodotto può avere come contraltare solo vini ricchi di carattere e personalità: insomma, la grande ristorazione vuole vini capaci di raccontare verità.
Sede a Ariano Irpino, via Petrara 21/b. Tel. 0825.873084. info@cantinagiardino.com
www.cantinagiardino.com Bottiglie prodotte: 10.000. Enologo: Antonio Di Gruttula. Ettari: 1 di proprietà. Vitigno: aglianico, fiano, greco
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