MARISA CUOMO
Uva: falanghina, biancolella
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio
Tiro fuori questo bianco dalla mia cantinella di campagna. E’ lì da tempo immemorabile, fermo tra gli altri, senza un riguardo particolare. Vino base, è. Buonissimo, ma vino base. Lo apro perché, come sempre più spesso voglio, mi piace usare i bianchi dopo aver bevuto un buon rosso di corpo per rinfrescare la bocca, tornare alla frutta primordiale che c’è in me.
Così la stappo, scommettendo ma ormai abbastanza sicuro perché tutti quasi tutti i campani possono stare benissimo cinque, sei anni, senza problemi, anche, forse soprattutto, chissà, quelli passati in acciaio come questo.
Mi inebria il profumo intenso e ampio di conserva di limone e pesca bianca, intenso e persistente. In bocca il vino ha grandissima elasticità, lo bevo subito ed è un errore: perché dopo una decina di minuti la freschezza è messa ulteriormente in risalto, il bicchiere è ben equilibrato al palato, ha corpo, forse solo una punta di alcol in eccesso.
Davvero una bella bottiglia, magari da non spendere più sui crudi, ma su piatti strutturati, direi persino salsati, di pesce, le carni bianche con i funghi. Resta perfetto il palato dopo aver camminato sul filo dolcezza/sapidità senza cadere né da un lato e né dall’altro. Bottiglia di ginestre e fichi d’India, spazi conquistati alla roccia, paesaggio recuperato con le pergole a ogni curva che dal mare porta in cielo. Furore, meno male che c’è.
Scheda del 1 febbraio 2007. La prima cosa che colpisce è la tipicità dei bianchi della Costiera Amalfitana, sempre ben marcata, evidente, di tono. Il base bianco di Andrea e Marisa continua ad avere una marcia in più rispetto al corrispettivo rosso, ma questa è un caratteristica di tutti i produttori di questo terroir baciato dall’atarassia oltre che dalla bellezza. Forse, dopo le colline attorno ad Avellino e Ischia, è la zona più bianchista della Campania per vocazione naturale e per commercializzazione. Sia come sia, abbiamo trovato il 2005 abbastanza complesso, per nulla un vinello. Questo non tanto per il naso, sempre delicato e discreto fra il floreale e il fruttato, quanto per il palato dove l’ingresso è imponente, molto fresco, sapido, caldo con alcol a quota 13,5 e dunque sicuramente vicino ai 14, lungo, ben strutturato. Dunque chi ha ben lavorato in questa vendemmia ed è stato facilitato dall’avere le vigne sulla costa con un clima sicuramente più caldo di quattro, cinque gradi in media rispetto alle zone interne, è riuscito a proporre bei prodotti sul mercato. Lo beviamo allora sui crudi di Rocco Iannone e di Tuccino, il pescato al forno o al sale, gli spaghetti con la colatura di Alici di Cetara e la genovese di tonno. Direi che siamo ad un bel rapporto tra qualità e prezzo perché questo vino si può proporre tranquillamente anche in occasioni importanti con appassionati e gourmet. Suggerisco l’introduzione di tappi di vetro perché i bianchi campani passati in acciaio hanno solo da guadagnare in fragranza da questo metodo già diffuso in Friuli, allungano la vita al vino, evitano sorprese e conservano la freschezza da ogni processo ossidativo.
Sede a Furore, Via G.B. Lama, 14. Tel. 089 830348 e fax 089 8304014 . E mail: info@granfuror.it, sito: www.granfuror.it. Enologo: Andrea Ferraioli. Ettari: 7 di proprietà. Bottiglie prodotte: 50.000. Vitigni: aglianico, piedirosso, falanghina, biancolella, fenile, ginestra.
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