Ricordate la Bomba a Sorbillo?
Venerdì scorso sul Mattino Valentino Di Giacomo ci ha messo al corrente dello stato dell’arte delle indagini sulla bomba a Sorbillo e sugli altri episodi di violenza (Vesi, Di Matteo, Pizza e Pummarola) che colpirono alcune pizzerie del centro storico di Napoli tra il 2018 e il 2019. La sostanza è che i locali del quartiere si trovarono in mezzo ad una guerra fra i clan Sibillo e Mazzarella. E’ una camorra antica, più guappi di quartiere, lo si vede dalle richieste estorsive: 500 euro insieme alle pizze gratis. Una camorra anche ottusa, incapace di capire che una bomba al pizzaiolo più famoso d’Italia avrebbe creato troppo rumore per restare senza conseguenze. Il quadro investigativo è ormai abbastanza chiaro, tutti sono stati ascoltati e l’ultima retata con 21 arresti sembra aver ripulito la zona. Una zona che proprio le pizzerie, gli artisti dei presepi, l’Università avevano contribuito a rendere agibile, ad illuminarla di fronte al mondo con frotte di turisti che sino allo scoppio della Pandemia percorrevano strade un tempo buie e pericolose.
Da sempre coltivo il vizio della memoria e sono grato al tempo perché spesso, oltre a trascorrere inesorabilmente, mi ha risolto tanti problemi senza che io me ne occupassi direttamente. Si dice che sia galantuomo, perché riporta a galla le cose come stanno al di là delle emozioni più forti del momento.
Ora io chiedo: chi chiederà scusa a Sorbillo?
Questa vicenda è paradigmatica di cosa significa fare impresa e avere successo al Sud. E’ paradigmatica perché la lotta alla camorra purtroppo non vede due eserciti distinti in campo, ma una zona grigia e spesso insperati alleati, consapevoli o inconsapevoli. Del resto il vizio di origine è nella presa di Napoli che Garibaldi potè fare arrivando in treno come un comune viaggiatore grazie al patto con i clan dell’epoca che erano passati armi e bagagli con i vincitori insieme a parte dell’apparato borbonico. Una cosa che ci si è ben guardati dall’inserire nei libri di scuola.
Sorbillo reagì alla bomba denunciando il fatto con forza. Esponendosi ancora di più perché contro la malavita organizzata non c’è altro modo che alzare il livello mediatico dello scontro per stare al sicuro da ritorsioni.
Questo atteggiamento determinò due contraccolpi tipici dell’Italia, un paese dove spesso invece di analizzare i fatti per quello che sono ci si chiede sempre cosa c’è dietro.
Selvaggia Lucarelli, giornalista sicuramente libera e dalla penna intelligente anche se a volte un po’ troppo ossessionata quando punta un bersaglio, rimproverò Sorbillo per eccesso di protesta sfruttando così quasi commercialmente la bomba mettendo in evidenza alcune incongruenze che presentavano le prime ricostruzioni.
Questa delegittimazione, perché di questo si tratta, che quasi trasforma la vittima in un colpevole ha avuto immediata risacca in città dove da un lato c’era il fastidio delle persone perbene che sono la stragrande maggioranza di vedere di nuovo accomunato il nome Napoli alla camorra, dall’altro gli odiatori seriali di Sorbillo che non gli hanno perdonato il successo e che lo accusano di ogni cosa, prima fra tutte di aver inventato lo storytelling e di aver avviato cause contro alcuni parenti sull’uso del nome.
Anche qua vediamo come la realtà si possa rovesciare: molti in città erano arrabbiati con chi denunciava e non con chi aveva messo la bomba. Questo atteggiamento ha le sue origini in una sorta di fatalismo ancestrale, pragmatismo si direbbe oggi, secondo il quale le cose non possono cambiare e allora tanto vale accettarle.
Gli odiatori, invece di affidarsi serenamente ad un giudice per dirimere le questioni personali, hanno scatenato una campagna di odio dove si è potuto leggere tutto, addirittura che la bomba era tutta una invenzione e che l’aveva messa lo stesso Sorbillo.
Ecco perché questa storia è paradigmatica: in Italia la lotta al crimine organizzato non è questione, solo, di uomini e mezzi, ma anche e soprattutto di mentalità con cui si entra in campo.
Un fatto semplice: due clan di straccioni che lottavano per il pizzo da 500 euro e avere le pizze gratis come simbolo di potere vengono dimenticati e la vittima diventa colpevole di denuncia.
Ora, mi chiedo, andando a ritroso nel tempo, rileggendo quei commenti: chi chiederà scusa a Sorbillo?
Ps: anticipo già le critiche deliranti a questo post che leggeremo sui social dove operano vigliacchi e fiancheggiatori (consapevoli e inconsapevoli) della camorra: è il pezzo di un giornalista che appartiene alla cupola che ha portato Sorbillo ai vertici del mondo pizza. Già, perché se al Nord è normale parlare di un bravo pizzaiolo o di un bravo chef, avere sponsor, promuovere iniziative, al Sud tutto questo diventa “sistema e cupola”. E fa specie che queste espressioni siano usate dietro alle spalle anche da esimi e insospettabili colleghi di Sorbillo (maledetti screenshot…), che evidente lo soffrono e raccontano cose infamanti a chi vuole ascoltarle per avere conferma di luoghi comuni e pregiudizi.
Tutti leoni da tastiera che parlano senza dati di fatto, per tesi precostituite. Senza uno straccio di prova. Ma soprattutto bravi nel gioco di interdizione e incapaci di essere più bravi di chi ha costruito tanto nella sua vita. Perché in Italia il successo non è emulato, è invidiato.
Per tutti i fiancheggiatori della camorra, soprattutto gli inconsapevoli, vale il bellissimo detto napoletano: O munn è comm un so fà ‘ncapa.
Ossia: il mondo è come lo vediamo noi, una sorta semplificazione didattica che sintetizza l’empirismo di Hume:-)
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