di Laura Guerra
Frattaglie – zendraglie. Il suono e il significato accomunano queste parole. Italiano e napoletano per definire il quinto quarto, cioè tutte le parti dell’animale fuori dai quattro tagli: organi interni, intestini, musi, zampe e code che da secoli sono la base di piatti poveri, nutrienti e popolari della cucina partenopea.
Zendraglie forse risale a quando cuochi e camerieri della casata angioina le lanciavano ai lazzari dai balconi del Palazzo Reale gridando: “Voila les entrailles, magnatevelle”! Per il sapore forte e deciso poco si addicevano ai palati dei signori che le destinavano con un gesto di beneficenza al popolino. In piazza accorrevano soprattutto le donne dei vicini quartieri poveri che si accapigliavano, scomposte e rumorose, per afferrarle e venivano additate spregiativamente “zendraglie”, nomignolo ancora oggi in uso per indicare le donne dai atteggiamenti provocatori e rissosi.
La parola ha poi dato il nome Le Zendraglie una delle trattorie più antiche nella popolare strada della Pignasecca fondata nel 1927 da Emilia Fiorenzano, discendente della storica famiglia che ha mantenuto e conservato in vari punti vendita, la tradizione dei piatti a base di frattaglie. Trippe, centopelli, piedi e muso di maiale trionfano in vetrina sotto un getto di acqua continua che li mantiene idratati; tagliati a striscioline sottili vengono sia venduti a peso per preparare a casa l’insalta di “pere e musso” insaporita con olive verdi e lupini, abbondante sale e limone, sia serviti in trattoria in insalata o zuppe di carnacotta e di trippa.
Qui c’è sempre la zuppa forte o suffritto: piatto per palati adulti e stomaci forti, mette insieme polmone, cuore, rognoni, milza trachea, cotenna, pezzi di carne più rossa, lardo cotti in sugna, sugo e concentrato di pomodoro e salsa di peperone piccante. Dopo almeno due ore di cottura a fuoco lento si ottiene un condimento rosso e corposo usato per condire spaghetti, bucatini, fette di pane raffermo.
Un vero e proprio piatto povero elaborato dall’intelligenza popolare per battere la fame in tempi di miseria, è il must della trattoria O’Russ di piazza Nazionale che lo propone rispettando i canoni della ricetta tradizionale. La prima a raccoglierla e a codificarla in un libro fu, negli anni Sessanta, Jeanne Caròla Francesconi che nel suo classico “La Cucina Napoletana” del 1965 bibbia della tradizione gastronomica partenopea dopo il ricettario del Calvalcanti, ne riporta la versione di soffritto senza salse. Molto amato dal poeta Salvatore di Giacomo che lo mangiava nella trattoria “La Pagliarella” in zona Vicaria, quartiere tra la stazione centrale e via Tribunali e così ne scrisse “…Qui veniva a mangiare gente più fine, che sollevava a onori non più immaginati il suffritto…”.
Negli anni delle mode salutiste e della fettina al burro il soffritto è stato quasi rinnegato e consumato di nascosto nelle trattorie di quartiere, oggi vive una stagione rinnovata fama e dignità grazie a tanti ristoratori che lo tengono in menu senza esitazioni, senza sensi di colpa calorici e sentimenti di inferiorità gastronomica. Ordinare soffritto è diventato trendy tanto alla Tripparia del Vomero dove lo prepara lo chef Vincenzo Russo che lo ha reso aromatico oltre che gustoso, quanto da Isabella de Cham alla Sanità che lo propone in una cottura molto elegante sulla pizza fritta.
Stessa scelta anche per tanti pizzaioli, non solo napoletani, che lo usano come topping della pizza, fra questi Francesco Martucci a Caserta, Pasqualino Rossi ad Alvignano, Gaetano Genovesi a via Manzoni mentre Franco Gallifuoco della Pizzeria Franco ci fa una Parigina!.
In ripieni fritti invece accanto alla storica ed immutabile versione della friggitoria D’ e Figliole , troviamo le interpretazioni di Enzo Coccia, quella dei fratelli Francesco e Salvatore Salvo, di Antonio e Marco Pellone.
La virata gourmet di questo piatto di umili origini e la sua consacrazione nei menu delle pizzerie di ogni generazione sono il segno non solo di una rivincita del cibo umile ma anche della sua capacità di trasformarsi rimanendo un piatto di resistenza che ha trasformato le frattaglie in un ingrediente di tendenza.
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